giovedì 9 giugno 2016

Fine di una storia.

No, non poteva finire così. Non avrebbe dovuto finire così.

Non sempre le cose vanno come vorremmo. Si fanno piani a lungo termine, si pensa che l'eterno, il per sempre felici e contenti sia solo dovuto ad un impegno, una passione che non diminuisce mai, ma non funziona così. Perché le persone, le cose, le passioni cambiano, e ciò di cui si pensa di avere in abbondanza, improvvisamente diventa povero, secco come un albero di fichi in estate dopo che sono passato io. Così può essere anche per l'ispirazione, che a me è venuta a mancare. Perché alla fine su questa pagina io ho sempre parlato di me, in varie forme, ma il soggetto cogitativo era sempre lo stesso. E, detto fra di noi dato l'ampio grado di confidenza che ci accomuna per il grande tempo passato assieme, la cosa ha anche stufato. Stufato voi, ma anche stufato me, che mi sento sempre più vuoto di idee, sempre a chiedermi dove trovassi così tante idee e tempo per scrivere, e a rimpiangere i post del passato, scritti decisamente meglio degli ultimi, non proprio al livello dei primi. Non sono cambiato io, non si è impoverito la mia vita di fatti interessanti, e non penso di meno ai fatti della vita i maligni diranno che non penso affatto, quindi non dovrebbe essere preso in considerazione, semplicemente non ho più voglia. Non ho voglia di fare un'attività di piacere senza il piacere di farla, solo per un obbligo verso i lettori.
Ma veniamo al punto, perché quelle che dovevano essere due righe di introduzione sono improvvisamente diventate non lo so, dovrei contarle e non ne ho nessuna voglia troppe, mi sono perso di nuovo, dove eravamo?
Va bene, è doloroso farlo, in fondo so che è anche giusto. Ho deciso di chiudere questo blog. In realtà, come ogni cosa che faccio io, rigorosamente lasciata a metà, non verrà propriamente chiuso, ma non sarà più aggiornato. Chiunque quindi potrà venire a visualizzarlo, ma non ci saranno più contenuti freschi, come era stato fino a qualche mese a questa parte. La motivazione è che non escludo che mi torni l'ispirazione, la voglia o il tempo di scrivere, magari con nuove avventure. Magari è solo un viaggio mio, ma sarebbe bello continuare a scrivere qualcosa di pubblico interesse, anche se devo dire che pure la scrittura privata ha subito una battuta d'arresto. Mi piace fare tante cose, avere molte passioni, e tra sport, musica, divertimento ed essere un'icona di stile oltre che un pallone gonfiato il tempo di fare anche il blogger introspettivo latita. Quindi mi toccherà usare un'espressione che non ho mai amato, cioè "mi dedicherò ad altri progetti".
Però non sarebbe giusto chiudere in grande stile, perché il successo di qualcosa non è solo merito del genio di chi lo esprime, ma anche nella competenza di chi lo riconosce. Ok, il genio magari è troppo. Vogliamo dire talento? Forse troppo lo stesso, ma sai una cosa? Questa, ancora per poco è la mia pagina, e ci scrivo quello che voglio. Per cui voglio ringraziare tutti voi, appassionati o occasionali lettori di questa pagina, iscritti alla newsletter oppure cittadini del sud est asiatico capitati su questa pagina per sbaglio. Perché grazie a voi ho potuto fare questa esperienza, essere una specie di scrittore. Voglio ringraziare anche le mie fonti di ispirazione, gli amici che mi vogliono bene anche se sono un idiota, e una ragazza in particolare, perché certi momenti, riflessioni e deduzioni possono essere considerate merito suo. Lei sa che sto parlando di lei.
Il blog mi è servito per conoscermi meglio, per ragionare di più ed essere più consapevole di me stesso. Non considero quindi questo passo di chiudere la pagina come una fine, ma l'inizio di un nuovo capitolo della mia vita, direttamente conseguente dal precedente. So meglio chi sono, cosa penso e se mi sono dimenticato qualcosa basta che me lo vada a rileggere. So quanto posso essere felice e ricordarmelo nei momenti tristi e viceversa, perché, come si dice, scripta manent.

Anche se io non parlo il francese.


giovedì 5 maggio 2016

Fenotipi da battaglia

Si nota di più se ci vado e sto in disparte o se non ci vado?

Sì, lo so. Sono un fighetto. Sto in una città di fighetti, e proprio come all'interno di un branco di lupi bisogna mostrare i denti per essere rispettati, anche in questa città per distinguersi, e anche per certi versi per eccellere, bisogna essere fighetti. Immagino quindi che non vi stupirete quando vi racconterò quello che sta facendo in questo momento. Mi trovo in mezzo a Parco Sempione, al tramonto, con come sfondo l'Arco della Pace. Una bella scenetta romantica, se vista in coppia, altrimenti, nel caso foste da soli come me, una meravigliosa cartolina di questa splendida città. Quello di cui però voglio parlare, non è di quanto sia affascinante la mia città in questa giornata di primavera in cui non c'è una nuvola in cielo, ma di quello che sto facendo e di quello che mi ha dato da pensare. Sto andando un aperitivo, sai che novità, e ci sto andando vestito tutto bello agghindato da festa. Giacca, camicia aperta, pantaloni e mocassino. Decisamente al di sopra dello standard medio per la mia età, ma il tocco di classe stavolta non è la giacca, seppur di alta sartoria, ma la bicicletta. Dovete sapere che durante l'ultimo weekend il mio vicino di casa stava sistemando il suo garage, buttando via le cose che non gli servivano più. Ha incrociato me per caso, e ha deciso di chiedermi se avessi bisogno di una bicicletta, seppur da riparare: conoscendo bene i prezzi dei ricambi, e vedendo che in realtà lo stato era integro, ho deciso di prendermene carico. Negli ultimi giorni mi sono messo di buona lena e la sera ho cominciato a riparare la mia nuova bicicletta, già soprannominata The Beast. Trattasi di modello Leri pieghevole simil. Graziella colore celeste chiaro metallizzato, tra l'altro, con copertoni bianchi e un manubrio a corna vintage, estremamente piccola, resa ancora più piccola dalla persona che ci sta sopra. Divertente, simpatica e autoironica, la bicicletta di uno che non si prende troppo sul serio, quindi ho pensato subito che era fatta per me. Arrivando qua mi sono fatto un bel giro panoramico di tutto il centro, sorridendo alle ragazze, che ovviamente, lusingate, rispondono con un sorriso. Mi è stato chiesto perché non mi fermo a parlarci, e il motivo è perché perché spesso mi piace solamente fare un apprezzamento, per far sentire meglio una persona: non deve essere necessariamente finalizzato a qualcosa. Non offendo nessuno ma, anzi, rende una persona più felice, come rende felice me se mi viene sorriso di ricambio. Ovviamente dato anche l'alto numero di persone vestite con magliette fluorescenti che vengono a Parco Sempione correre, mi sono chiesto che cosa cambiasse in questa figura di me vestito così su un trabiccolo del genere, che fa sorridere la gente, ma nel senso buono, rispetto alla mia versione di tutti i giorni, vestito in maniera poco differente, solo con la cravatta in più, che non ha lo stesso effetto sulla gente. È un discorso di confidenza, di sicurezza di sé, oppure dipende da qualcos'altro? Cosa significa veramente mettersi giù da battaglia, come ama dire il mio capo?
Mi è sempre stato insegnato che è molto meglio essere che apparire, eppure anche l'apparenza, il modo in cui ci poniamo nei confronti degli altri è molto importante. Non sto dicendo che sono due cose di pari livello, sto dicendo che sono tutte e due importanti, diverse, e quindi che vanno considerate entrambe. Essere sicuri di noi permette di relazionarsi meglio con le persone che ci stanno vicino, ci permette di avere meno barriere, e quindi di poter ottenere di più da noi stessi. Quindi non mi stupisco se le ragazze mi sorridono, perché so perché lo fanno. Non è la giacca, nemmeno la bici che mi è stato detto di dire che è vintage, non scarcinata come piaceva chiamarla a me, ma tutto il complesso.
Perché essere sicuro di me mi porta a sorridere, ed è quello l'accessorio che le donne notano. E apprezzano.

The blind side

Certe persone hanno bisogno solo di un occasione, per vivere secondo le loro potenzialità.

Una delle scorse sere mi è capitato di vedere un film di cui avevo sentito tanto parlare, ma non avevo ancora avuto l'occasione di vedere. Lo so che ultimamente sto recensendo molti film, ma mi capita spesso di non avere molti programmi la sera, per cui mi riposo, anche perché sto accusando un po' il cambio di stagione e mi viene continuamente sonno, quindi divaneggiare un po' la sera non è che mi dispiaccia. Il film in questione è una pellicola che è recentemente valsa un premio Oscar alla bellissima Sandra Bullock, ovvero The Blind Side: la storia, per altro tratta da una vicenda realmente accaduta, è quella di una famiglia benestante che decide di prendere sotto la propria ala protettrice un ragazzo di colore, proveniente da una situazione problematica. La cosa avviene senza passare per vie burocratiche, perché gli offrono un'ospitalità che lentamente diventa quotidianità, sempre senza mai giudicarlo per il contesto da cui proviene, ma solo per la persona che è. La storia racconta di come spesso le persone con un potenziale non riescano a trovare una loro strada nel mondo solo perché non abbiano questa opportunità.
Ma non voglio parlare del film, di come sia recitato o dei polpacci di Sandra Bullock, perché una storia diventa interessante quando se ne vede una rappresentazione nella realtà, che è quello che sta succedendo a me. No, non ho una mamma hot che abbia deciso di adottarmi me tapino, ma ho preso sotto la mia ala un ragazzo. Si chiama Rami, viene dall'Egitto e ha 15 anni. È stato mandato in Italia dai suoi genitori perché il suo futuro potesse essere migliore di quello che gli aspetta se fosse rimasto nella terra dei faraoni, e l'ho conosciuto perché tutti i pomeriggi che andavo ad allenarmi al parco lo vedevo fare esercizio in maniera confusionaria, quindi ho deciso di aiutarlo. Abbiamo cominciato a fare allenamento assieme, e vedo che avere una persona più grande che gli dà fiducia, rispetto lo sta facendo aprire. Mi racconta della sua vita in comunità, di come si trovi spesso ad essere una mosca bianca in mezzo a dei pari che non hanno una direzione nella vita, mentre lui ha tanti interessi, tanti sogni. Io gli racconto di quando io avevo la sua età, gli consiglio, gli faccio vedere in prima persona l'esempio. Non è certo un'amicizia profonda, ma vedo che lui è felice. Si sente accettato, sta imparando nei nostri allenamenti che avere della grinta non significa essere cattivi, e solo una persona intelligente capisce la differenza. Non penso di essere una persona buona solamente perché mi mostro disponibile con il primo 15enne che necessita aiuto, in fondo è un dovere di tutti prendersi cura del prossimo, ma volevo solamente cercare di spiegare il mio punto di vista. Questa persona un giorno diventerà un uomo, e diventerà un certo tipo di uomo in funzione delle esperienze che ha avuto. Io non gli sto fornendo un supporto economico, non gli sto dando un vitto e nemmeno un alloggio. Gli sto solo mostrando qualcosa che è gratis, ma non per questo risulta essere poco importante: la fiducia nel prossimo.
Non so se questo farà di lui un essere umano migliore, perché per questo deciderà lui come vivere la sua vita, ma se non altro potrà avere auto un buon esempio. E se sceglierà diversamente sarà una scelta sua, non imposta. 


martedì 3 maggio 2016

Il vestito del Commodoro

Che differenza c'è tra essere vestiti bene ed avere stile?

Oh, finalmente. Per dare un po' di motivazioni per essere preso in giro, visto l'esiguo e spietato numero di persone che sostengono che io sia un fashion blogger, oggi ho deciso di parlare di Stile. In realtà non voglio parlare dello Stile in generale, troppo complesso e astratto per essere delucidato in un solo post, quanto più del concetto di saper portare un abito.
Come molti sapranno, ci tengo molto a vestirmi bene. Non essendo mai stato particolarmente abbiente, che vuole dire ricco e non nello spirito, ho dovuto trovare la mia strada, il mio stile, al di fuori delle mode, al di fuori della fugace attrazione che dura per solo una stagione. Una cosa importante che ho capito è stata quella che i vestiti di moda li possono portare solo certi tipi di persone, quelli che sono abituati a farlo, mentre con un look classico è difficile sbagliare. Proprio come chi impara a suonare la chitarra, non parte dall'assolo di Voodoo Child, ma impara prima a fare tutti gli accordi, anche io ho cominciato a riempire il mio guardaroba, oltre che con gli abiti civili, lentamente anche con una serie di capi classici: una completo grigio scuro, un gessato, camicie azzurre e via dicendo. Niente di particolarmente eclettico, per intenderci. Trovo quindi che ogni uomo debba avere dei capi classici, formali, nel proprio guardaroba. Ecco, una persona che non ha questo era il commodoro.
Per quanto brava persona, di classe quando desidera che vuol dire non sempre, il Commodoro è una di quelle persone che non si mettono la cravatta perché sostengono che non rispecchi il loro stile, come sono fatti. Ora, a meno di essere Ralph Lauren, non conosco nessuno che possa permettere un'affermazione del genere, essendo la cravatta, e tutto il mondo del vestire formali di conseguenza, un gesto di rispetto nei confronti di chi ci sta di fronte, non solo un modo per apparire migliori. E cos'è una forma di rispetto per gli altri se non un modo di essere altruisti? Non si tratta quindi di ostentazione o narcisismo, ma un modo amichevole di porsi nei confronti del prossimo. Volendo fare un esempio su un altro campo di applicazione, chiunque riesce benissimo a sopravvivere al proprio odore la mattina, ma prima di uscire di casa ci laviamo tutti. Non lo facciamo solo per noi, anzi, lo facciamo quasi esclusivamente per gli altri il che dimostra perchè quando non abbiamo niente da fare e dobbiamo restare a casa, molti di noi non si lavano o peggio, non si vestono. Ma torniamo al Commodoro.
Dato che era imminente un matrimonio a cui doveva partecipare, ho deciso quindi di portare il mio amico in uno dei miei posti segreti per gli abiti, dove i commessi mi accolgono a braccia aperte, dato il prolifico numero di vestiti acquistati e perchè a me riescono a rifilare quei pezzi di campionario fatti per i modelli, cioè alti, magri e lunghi, e subito è cominciata la nostra avventura. La cosa divertente, di cui mi sono reso conto, era che non era necessario solamente trovare un abito per il mio amico, che gli stesse bene: erano necessari tutta una serie di consigli su come comportarsi quando aveva indosso questo, al fine di farlo rendere al massimo. Ho dovuto spiegargli come si sceglie una cravatta in funzione del colletto della camicia, di come le camicie bianche non vadano portate sempre ma solo in alcune esclusive occasioni di sera o in eventi che svolgono la loro maggior parte la sera, quando e come allacciare la giacca e quando tenerla aperta e via dicendo. Una sorta di manuale di istruzioni, probabilmente le due ore più lunghe della sua vita. Il risultato però è stato estremamente soddisfacente: innanzitutto perché il mio amico si è visto vestito molto bene, anche grazie ai miei consigli, perché quell'abito gli trasmetteva fiducia. Ci vuole infatti un sacco di confidenza per indossare un abito, o una giacca sportiva, specialmente quando sei circondato da persone che sono vestite molto peggio. Eppure, chi si sa vestire, chi ha stile come dicevo all'inizio, non si preoccupa di ciò, perché sa di aver fatto la scelta giusta quando infila le mani dentro l'armadio, non quando arriva in un posto. A me è capitato molte volte, ma non ho mai pensato di aver sbagliato per essere l'unico in giacca in mezzo a gente in maglietta, anche perchè non è come essere l'unico in maglietta in mezzo a delle giacche capitato anche questo. Abbiamo fatto tutti delle cose di cui non andiamo fieri.
Sono convinto che il livello base, quello che fino a 50 anni fa era il modo normale di vestirsi degli adulti sia alla portata di tutti. E per carità, non voglio obbligarvi a non mettere mai più una t-shirt e la tuta nel vostro tempo libero, ma non lamentatevi se ad un aperitivo il vostro amico in camicia rimorchia più di voi. Ma solo perché si sente più sicuro.
Ogni supereroe ha il suo costume.

Justin Timberlake - Suit & Tie (Official) ft. JAY Z


giovedì 28 aprile 2016

Raccontami una storia

Fare il blogger non è così facile come può sembrare.

Oggi sentivo l'intervista in radio di Favij, uno youtuber abbastanza famoso, sicuramente pubblico più giovane lo conoscerà, che ha costruito la sua fortuna recensendo giochi per computer e playstation su Youtube. È uno di quei lavori che fino a 4 anni fa non esistevano nemmeno, ma l'esplosione della multimedialità e la diffusione di Internet anche su dispositivi portatili, ha portato alla possibilità di nuove professioni, se così si possono definire. In fondo, quelli che fanno i video in cui parlano di qualcosa, o vlog, usando un termine ben noto alle masse, non costruiscono altro che dei blog in cui la trasmissione dell'informazione, la comunicazione viene effettuata tramite video. Il problema è sempre quello, un vero avere qualcosa da dire, qualcosa di cui parlare. Quest'esperienza, dato che ormai è passato un anno e posso cominciare a parlare del blog, mi ha aperto molti orizzonti, sia cercando di farmi capire qualcosa di più su me stesso, sia sulla capacità che le persone hanno di sfruttare esposizione mediatica come struttura professionale. Personalmente non sono riuscito a mantenere la cadenza che mi ero imposto, ovvero pubblicare un post a tutti i giorni lavorativi, ma questo anche perché è impossibile, per chi ha un altro lavoro, seguire tale professione. Dovrei dedicarci più tempo, più attenzione, ma essendo nato come un'idea da tempo libero, uno sfogo, mi sembrerebbe una forzatura, anche perché ho già provato a monetizzarlo e non ha portato ai risultati sperati. Voglio dire che non è sempre molto facile parlare di qualcosa, perché si possono raccontare le proprie esperienze, quello che si è imparato, ma non sempre i nostri racconti riescono a colpire nella maniera in cui magari colpiscono noi stessi. Ad esempio, potrei raccontare di come l'altro giorno Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo di Milano abbia spiumato la coda cercando di catturare un passero, cosa di cui mi dolgo ancora adesso, perché non ho avuto la forza necessaria, l'aggressività per prenderlo era entrato e bisognava farlo uscire in qualche modo. Potrei parlare di come questa esperienza mi abbia fatto capire l'importanza di agire con decisione, ma tutto questo potrebbe non interessarvi, oppure non potreste capirne il significato come una persona che lo vive direttamente. La comunicazione è basata proprio su questo, sulla capacità di trasmettere un messaggio, e forse è proprio questo il segreto di un buon blogger. La capacità di trasmettere il messaggio tramite un mezzo, far arrivare un emozione, essere e rendere partecipi della propria esperienza le altre persone, il lettore. Un libro è bello quando ci emoziona, un film è bello quando ci trasmette qualcosa, perché blog non dovrebbe essere altrettanto? Quindi vi chiedo scusa, per l'ennesima volta, se ho trascurato questo piccolo spazio a tal punto da far abbandonare alcuni di voi, però penso che la cosa debba essere naturale, per avere un successo, per essere speciale quindi.
E niente di quello che è speciale può essere fatto in maniera ordinaria.

giovedì 21 aprile 2016

Supereroi

Si può nascondere la propria identità sotto una maschera che copre solo gli occhi?

A tutti piacciono i supereroi. Ogni anno ci vengono riproposti in tutte le loro versioni  e forme cinematografiche, sia su pellicola che stampati su carta. Perché i supereroi sono una forza, riescono ad essere al di sopra delle capacità umane (super-) e mettere i loro poteri al servizio di un bene superiore (-eroi). Il pubblico più appassionato di questo genere sono sempre stati bambini, che grazie ad enormi campagne di marketing, ora possono non solo immaginarli, ma anche giocare con loro, vestirsi come loro, sentirsi come loro.
Ma perché ad un bambino piacciono i supereroi? Questa riflessione parte da questa domanda, che può avere delle risposte tanto semplici quanto significative. Un bambino, a livello di esperienza nel desiderare qualcosa, si differenzia da un adulto per una propensione a scelte dettate dall'istinto, più che dalla ragione e dall'esperienza? Per questo, quando deve scegliere i propri modelli, il paragone perfetto a cui assomigliare, farà pendere la sua scelta verso ciò che sembra fantastico, privo di difetti, per quanto surreale. Accantonando infatti il veto imposto dall'irrealizzabilità della condizione ad un adulto, probabilmente anche lui risponderebbe che vorrebbe essere un supereroe, ma non sarebbe la sua prima scelta. Ambiamo sin in tenera età a qualcosa di superiore, di più grande, che ci permetta di essere forti e proteggere ciò che amiamo e desideriamo, a difendere i nostri sogni. Ma una realtà fallace, dove il fallimento esiste e il buono non vince sempre ci porta a desiderare altro, ad accontentarci di risultati terreni, di non voler desiderare di essere degli eroi. Eppure qualcuno lo è stato per noi. Un padre, un fratello maggiore, un insegnante, visti con gli occhi di un bambino sono degli eroi senza macchia e ancor di più senza paura, sono l'esempio che ci forma. Un bambino l'altro giorno si è fermato a guardarmi mentre facevo esercizio al parco: era vestito con il costume Iron Man, quindi ha attratto subito la mia attenzione e simpatia. Mi ha chiesto che cosa stessi facendo, e gli ho risposto che mi stavo allenando per essere forte come lui, che era Iron Man. Questo soldo di cacio, che non mi sarà nemmeno arrivato al fianco come altezza, se n'è andato tutto contento, tronfio della fiducia dimostrata nei confronti del suo personaggio. Non so se questo bambino diventerà mai un eroe, ma alla sua età lo abbiamo desiderato tutti, e non sarebbe bello negare quell'innocenza, quel candore che si ha in un'età in cui tutto si può desiderare e tutto si riesce a immaginare e fingere.
Forse la nostra vita è tale che potremmo non sentirci mai degli eroi, vedendoci da dentro e sapendo i nostri limiti, ma questo non impedisce da essere considerati tali da qualcun altro. Proprio come chi nasconde la propria identità sotto una maschera che copre solo gli occhi.
Ma se non sei un bambino certe cose non puoi capirle.

Lui è tornato

Cosa succederebbe se Hitler tornasse in tempi moderni?

Tutti sanno che non amo particolarmente parlare di politica. A dir la verità, quando mi capita l'occasione, o sono assolutamente forzato ad esprimere un parere a riguardo di determinati argomenti, oppure cerco solo di glissare elegantemente. Credo infatti che indipendentemente da quanto possa essere intelligente una persona, può capitare che questa abbia idee politicamente schierate diverse da quelle nostre: ciò può portare a delle incomprensioni, pur essendo tutte le persone di senno. Volendo evitare proprio questo genere di complicazioni, tendo quindi di evitare proprio il discorso. Eppure ieri sera ho visto un film che mi è piaciuto veramente tanto, comico ma anche un reale spaccato socio politico dell'Europa moderna. Il film in questione è "Lui è tornato", commedia satirica tedesca tratta da un romanzo best seller in Germania, che racconta di come si comporterebbe Adolf Hitler se tornasse nel 2014 all'interno della Germania moderna. Al di là di alcuni siparietti molto divertenti, ovviamente dovuti alla caratura di un uomo di un certo livello all'interno della borghesia moderna, quello che ne esce fuori è come e in che modo i tempi e il modo di fare delle persone siano cambiate. Quello che un uomo del genere metterebbe in rilievo, senza nulla togliere alle cose orribili che sono state compiute da questo dubbio personaggio, è la depressione morale dovuta all'ammorbidimento dei costumi moderni. So che è un argomento di cui ho già parlato, ma mi è molto caro. Anche solo rendersi conto che i programmi in televisione trasmettano solamente ciarpame, come definito da Hitler, è simbolo di una società che non vuole occuparsi dei reali problemi, una società talmente politically-correct che è impossibilitata a schierarsi in qualsiasi maniera, impedendo quindi all'individuo di essere rappresentato, e al tempo stesso di poter esprimere il proprio pensiero. Il pensiero di non voler scomodare nessuno, di non fare male ad una mosca, porta a crocifiggere qualcuno perchè uccide un cane satiricamente geniale la battuta del direttore dell'emittente, secondo cui "la Germania non può tollerare una cosa del genere", dimenticandosi di tutto il resto, quando ci si dimentica dei problemi reali, di un popolo scontento per una gestione approssimativa delle risorse e un patriottismo che non significa più nulla. Il personaggio ha sicuramente un carisma unico, basti pensare che da solo ha convinto un paese sconfitto in una guerra mondiale solo un paio di decenni prima a dichiarare guerra al mondo intero, mostrando che tutto ciò non sarebbe stato possibile se non fosse stato appoggiato dal popolo.
Badate bene, il film non vuole essere un elogio a uno dei più grandi dittatori sanguinari della storia, per sempre ricordato nell'immaginario collettivo come incarnazione del male assoluto, vuole essere un attenta riflessione sull'importanza delle pagine più buie e tristi della storia, che non devono essere dimenticate. Questa non vuole essere un'espressione fatta e formata, già sentita 1000 volte nella Giornata della Memoria, vuole essere un importante paradigma, secondo il quale bisogna ricordare ciò che è accaduto in passato, non dimenticarlo, ma imparare da esso. Riportare alla memoria della gente che qualcosa di brutto possa essere successo, e le motivazioni per cui questo sia successo, è importante tanto quanto ricordare come se n'è usciti.

Il film sarà nelle sale cinematografiche dal 26 al 28 aprile, consiglio a tutti di andarlo a vedere. Si tratta di coscienza popolare.

lunedì 18 aprile 2016

Ferie private

Mi è tornata voglia.

Recentemente ho avuto un po' da fare. Lo so che ve ne sarete accorti dal fatto che ho trascurato il blog, ma in fondo avevo come al solito i miei buoni motivi. Ho avuto un po' la testa piena di cose da fare, tra lavoro e vita privata, e francamente il tempo per scrivere latitava. Ma a chi voglio a dare a bere, mi era proprio passata la voglia di scrivere. Perché mettere su carta, o su una pagina online che dir si voglia, è un po' un modo di esorcizzare i propri problemi, quindi uno sfogo, o per dirla in maniera del tutto corretta, un sistema elaborato per fare qualcosa di cui non vado per niente fiero: lamentarsi. Nell'ultimo periodo ero proprio stufo di lamentarmi delle cose che volevo cambiare, che non andavano bene e che sbagliavo nella mia divertente esistenza. Notoriamente tutto non può andare come uno voglia, nella maniera migliore possibile, per questo bisogna cercare di essere complianti nei confronti della nostra stessa vita. Avere tanti pensieri, può portare a dedicare meno tempo alla pace della mente e a delegare alla nostra parte lamentosa parte della colpa: si arriva così a far intraprendere alla nostra componente lamentosa un ruolo dominante nella nostra giornata, fino al punto estremo in cui si comincia a vivere male per questo.
Non mi piace lamentarmi, perché mi è stato insegnato che se qualcosa non va, devo prodigarmi io stesso per far e in modo che le cose vadano a posto. Ma non si può nemmeno seguire tutto con attenzione, cercando di fare tutto. Per questo mi sono preso un break, dal blog, come dai miei piani di vita e da tante altre cose che mi davano pensieri, ma sopratutto da me stesso. Mi piace molto definirmi così in questo momento: mi son preso una vacanza da me stesso, senza andare da nessuna parte. Non lascio che le preoccupazioni influiscano sul mio umore, egoisticamente penso di più a me stesso senza però dimenticare di vivere in un mondo in cui esistono anche altre persone, ma la filosofia di base è che tutto viene preso con più calma e, per certi versi, più alla leggera.
Potrà sembrare strano per quanto assurdo è sempre nel mio stile, ma sta funzionando. Ci si accontenta di meno, ma mentalmente ci rilassa e quindi la diretta conseguenza è una corretta ponderazione dei problemi quotidiani. Non so dire con esattezza quanto potrà durare questo periodo, ma anche dovesse finire oggi stesso, avrebbe già portato del beneficio. Che si chiami atteggiamento Zen, pace dei sensi, o in qualsiasi altro termine new-age, non penso di aver scoperto nulla di nuovo, eppure funziona. Detto questo, credo sia possibile che continuerò a mancare qualche appuntamento con il blog, ma continuando a mantenere il cervello attivo su nuovi argomenti su cui riflettere. Ma ci penserò poi.
Adesso sono in vacanza. E me la godo.

martedì 5 aprile 2016

Serenata metropolitana

È meglio sentirsi dire una verità scomoda o una mezza verità più comoda?

Ieri sera è stata una serata particolare. Ultimamente il lavoro non mi sta dando molto tempo per fare quello di cui ho voglia, per cui ieri sera, come stavo dicendo, ho deciso di fare qualcosa di diverso. Dovete sapere che ormai la primavera è arrivata, indi ci si cerca di godere il più possibile della bella stagione, soprattutto chi, come me, ha passato un inverno al freddo. Finalmente non si indossa più il pile, nemmeno la felpa in alcune occasioni, per cui poter girare la sera in maglietta è una grande liberazione. Quale occasione migliore, se non un giorno di bel tempo, di passare una serata al parco, a prendere del fresco, senza nemmeno ancora le zanzare? Così, con una mia amica, quella con cui l'anno scorso sono andata a farmi un bellissimo giro della città in bicicletta che purtroppo le hanno rubato nel frattempo, ho deciso di andare al parco, non per vedere le stelle visibilmente coperte dal cielo nuvoloso, ma a suonare. È sempre un'occasione bella, poter uscire con questa persona perché è un'amica vera, di quelle che le cose non te le vanno a dire. Non te le vanno a dire nel senso che te le dice in maniera anche troppo schietta a volte, però è un'amica sincera, quindi è sempre piacevole poter parlare con lei. Abbiamo parlato di tante cose e ho potuto condividere la mia visione su determinati argomenti con lei, così diversa, ma così onesta nei miei confronti. Un vero parere esterno, specialmente di una persona che ci capisce molto bene ma la pensa completamente diversa da noi, è sempre un'occasione per mettersi a confronto con noi stessi. Un parere contrastante con quanto pensiamo autonomamente, può darci una nuova visione sulle cose, specialmente da punti di vista necessariamente mancanti per carattere, o per esperienza passate.
Mi ha fatto ragionare su tante cose, ma mi ha dato anche risposte che avrei preferito non sentire, tanto erano sincere. Ho apprezzato che lei me le abbia dette, tali affermazioni, e ho ragionato tanto su quello di cui abbiamo discusso, anche dopo che ci eravamo salutati. Mi ha fatto capire che in fondo è meglio accettare una verità sincera, piuttosto che un mezza bugia detta solo per lenire, per indolare la pillola. Sulla maggior parte degli argomenti di cui abbiamo parlato, continuiamo ad essere in disaccordo, ma è comunque stato un confronto. Non perché sia completamente folle, ma perché è giusto fare vedere le cose per come sono, avere quanti più punti di vista su un argomento. Perché in fondo non tutto il mondo ragiona come ragioniamo noi, ed è anche giusto saperlo. Così, ieri sera, non solo ho suonato per un pubblico estremamente ristretto di anatre al laghetto del parco, non solo ho finalmente scoperto che cosa succede quando dicono che chiudono un parco, cioè che chiudono i cancelli e abbiamo dovuto scavalcare per uscire, ma anche capito qualcosa di più su me stesso.
Ho avuto le risposte che non volevo, ma di cui avevo bisogno.

Otis Redding - Sittin' on a Dock of a Bay

mercoledì 30 marzo 2016

Pasqua dal Commodoro

Avevo promesso che ne avrei parlato, e non mi tirerò certo indietro.

Oggi voglio parlare del pranzo di Pasqua a casa del Commodoro. Non posso parlare apertamente della persona in oggetto perché non è il genere che ama molto apparire, quindi mi ha proposto lui di appellarsi in tal maniera. Per quanto stupido possa sembrare, anche a me. Voglio parlare di come io, essendo in condizione di dover passare la pasqua da solo, sia stato invitato a casa di questo mio amico, almeno per pranzo, e quindi a trascorrere una giornata in compagnia della sua famiglia. Il tema della famiglia è stato molto caldo nell'ultimo periodo, quindi non vi stupirete certo se vi dico che ho appositamente evitato di trattarlo quando era in pubblica evidenza. Non mi piace sollevare dei polveroni il cui scopo è solo fare litigare le persone, perché, per qualche assurdo motivo, il diritto di parlare esprimendo le proprie idee sembra sia concesso solamente a chi ha un certo tipo di idee, come a voler dire che solamente chi si fa andare bene un po' tutto possa parlare. Ma quando uno vede una cosa bella, vuole condividerla, no? Come ho già citato, la bellezza esiste solo se può essere condivisa, per cui oggi voglio parlare di una bella famiglia.
Il Commodoro, mi buon amico non ha certo una famiglia a prima vista speciale. Non venga presa come una critica questa, anzi trovo che abbia quella normalità che deve fungere da esempio per gli altri. Domenica a pranzo ho incontrato delle persone normali, ognuna con le proprie storie incredibili, legate da un affetto, e una complicità unica. È stato bello fare parte di quella realtà, anche se solo per poche ore, perché fa valere ancora di più il concetto di unità familiare, di focolare: permette di valorizzare le cose belle che tutti abbiamo nelle nostre famiglie. Mia madre si arrabbierà tantissimo mentre dico queste cose, sostenendo che dovevo passarla con la mia vera famiglia la Pasqua, ma vabbè.
Tutto questo mi ha fatto pensare che in fondo, il concetto di integrazione familiare è molto simile a come può essere il nostro pensiero nella società: bisogna essere aperti a ciò che è nuovo, essere curiosi e non opporsi prima di conoscere qualcosa; al tempo stesso però le nostre idee possono essere tanto valorizzate quanto più solida è la nostra base, proprio come una famiglia unità dà di sé un'immagine di solidità, le nostre convinzioni devono essere essere motivate e sostenute nel rispetto dei valori. Altrimenti saremmo tutti banderuole agitate dal vento, mosse dallo spirito secondo cui "ognuno è libero di fare ciò che vuole finché non urta la mia libertà".
Per cui grazie Commodoro. Una bella famiglia è sempre un'ottima fonte di ispirazione.

Sister Sledge - We Are Family

lunedì 28 marzo 2016

The Breakfast Club

Siamo tutti strani. Alcuni di noi però sono più bravi a nasconderlo, ecco tutto.

Intanto devo dire che è un po che non scrivo, ma penso che possa giustificarmi dicendo che ultimamente non avevo molto da dire, e sopratutto per quello che volevo dire non mi sentivo libero di poterlo fare. Detto questo, ci tengo ad augurare una buona Pasqua passata a tutti, con l'augurio migliore, cioè che le prossime vacanze saranno quelle estive. Quest'anno sta viaggiando veramente con una velocità impressionante, sarà che ho sempre qualcosa per la testa, ma non voglio parlare nuovamente di questo argomento.
Oggi è lunedì, e anche se è pasquetta sappiamo ormai che il lunedì c'è la recensione di un film. Ieri sera, infatti, ho guardato un film di culto degli anni 80 culto per modo di dire, in Italia è quasi sconosciuto perché è di culto in America, ma tanto io degli anni 80 in Italia non so niente, quindi.. ovvero The Breakfast Club.
La storia racconta di un gruppo di cinque ragazzi che si ritrovano a passare un sabato intero in punizione in biblioteca, con come compito dover scrivere un tema su loro stessi. Sono personaggi volutamente diversi tra di loro, accomunati da problemi simili. Una reginetta del ballo, un ribelle, un bullo sportivo, un nerd e una ragazza fuori di testa, si trovano a scontrarsi indossando le loro maschere abituali, i personaggi che recintano nella società in cui vivono, costretti ad un confronto forzato dalla prossimità. Gettando però ognuno di loro queste maschere, si scoprono più simili di quanto credessero, e individuano quello che loro pensano sia il loro problema comune, ovvero la società degli adulti. Perché, a loro parere, non vengono capiti, ognuno di loro sente la propria esistenza deviata, traviata in qualche modo dai desideri altrui imposti. Sostengono di non riuscire ad omologarsi all'interno della società in quanto essenze libere e pure, tanto è vero che il film finisce con la famosa dichiarazione:

Quello che abbiamo fatto è sbagliato. Ma pensiamo che sia pazzesco fare un tema che le dica chi siamo. Lei ci vede come vuole vederci, in poche parole, nelle definizioni che più le convengono. Ma quello che abbiamo scoperto è che ognuno di noi è: un cervello, e un atleta, e una fuori di testa, una principessa e un criminale. Questo risponde alla sua domanda?
Cordialmente, The Breakfast Club.


Questa glorificazione dei giovani e delle loro idee può essere di grande stimolo per le nuove generazioni, è un inno al non sentirsi discriminati perché si è fatti in un determinato modo, e questo è tanto giusto quanto di vedute limitate. La forza di questi giovani è la loro voglia di spaccare il mondo, ed è proprio in questo che gli adulti hanno il loro compito. I giovani, con le loro idee e la loro forza sono un'energia pura, una risorsa quasi infinita, come del materiale radioattivo che può diventare energia nucleare di un reattore o di una bomba. Sta agli adulti guidarli, incanalare i loro desideri, le loro passioni, e fargli rendere al massimo per quello che possono dare. Un giovane che si ribella al genere adulto perché non si sente capito, perché pensa che tutti gli adulti siano degli imbecilli, sarà utile alla società, e ancora di più a se stesso come del plutonio libero in natura. Capace di reagire solo con ciò che gli risulta essere prossimo, ma niente di più. La chiave di lettura quindi non deve essere quella che ognuno è perfetto per com'è, anzi. Bisogna sì accettarsi, ma cercare di capire come fare fruttare questa potenzialità in una società in cui bisogna vivere, volenti o nolenti.
Insomma, il film mi è piaciuto, ma forse sto invecchiando troppo in fretta. Mi piace questa posizione in cui riesco ad apprezzare la bellezza della gioventù e al tempo stesso cogliere i lati belli dell'essere adulti. Perché in fondo, cosa che non hanno ancora capito tutti i membri del Breakfast Club, nessuno si salva da solo.
Ma lo capiranno.

Simple Minds - Don't You (Forget About Me)

venerdì 18 marzo 2016

Il Visconte dimezzato

A volte uno si sente dimezzato, ma è soltanto giovane.

Recentemente ho recensito dei film, il che è molto facile e pratico oltre che poco impegnativo, mentre oggi voglio fare qualcosa di diverso, anche se non è la prima volta. Voglio recensire un libro. La lettura in questione è "Il Visconte dimezzato" di Calvino, letto sulla scia dell'entusiasmo provocatomi dalla lettura del "Barone Rampante" e non ne sono certo rimasto deluso. Un italiano impeccabile, uno stile accattivante e sufficientemente leggero da poter essere apprezzato da chi, come me, non sia particolarmente avvezzo alla lettura.
La storia narra del Visconte Medardo di Mezzalba, che andando in guerra si prende in pieno una cannonata  ("non gli spiegarono che i cannoni si attaccano da dietro o dal fianco, e non da davanti") e viene diviso perfettamente a metà, dalla testa all'inguine. Grazie a delle cure miracolose, ne riescono a salvare una parte, ma la metà che torna a casa è esclusivamente cattiva, compiendo ogni sorta di maleficio. Nella seconda parte del libro compare però l'altra metà, che degli stregoni avevano riportato in vita, che di contro si rivela essere buona, ponendosi in contrapposizione del "Gramo", come viene chiamata la metà cattiva.
Su questa struttura si costruisce una storia basata sulla più classica delle battaglie, quella tra il bene e il male, fornendo anche il punto di vista di chi sia portato ad apprezzare indistintamente una parte in maniera superiore dell'altra, come il fabbro che produce più facilmente e meglio delle forche per il Gramo che dei mulini per il Buono. Questo fa ragionare il lettore sulla possibilità di identificare una propria parte buona e una cattiva, potendo notare, anche dentro ognuno di noi, l'eterna lotta tra queste due metà. La problematica affrontata nel finale, la cui trama preferisco non raccontare per non dispiacere a chi volesse leggerlo, è certamente molto interessante. Quello che viene fuori, è l'impossibilità della sussistenza di una singola parte, che la vita, e quindi le decisioni di una persona, non possono essere vincolate solamente da una di queste due metà. Entrambe lavorano in una armonia, dettata da una prossimità reciproca, perché nessuna metà può essere considerata completa, proprio per sua definizione di metà. Con un cliché abbastanza noto, verrebbe da dire che il Male può esistere solo se esiste il Bene e viceversa, ma questo è limitativo: come mi è già capitato di fare presente, l'equilibrio sta nel mezzo, il giusto bilanciamento è la capacità critica di discernere da che parte far pendere lago della bilancia del nostro essere.
E se ci si sente solo una metà, cattiva o buona che sia, probabilmente è perché ancora non ci si è capiti bene.

La rana e i pesci

Perché ci capita di sentirci fuori luogo?

C'è un paragone che mi è sempre piaciuto, esemplificato da una situazione naturale, ottima rappresentazione della sensazione di essere fuori luogo. Una volta, quando lavoravo in azienda, prima di cominciare a fare quello che faccio adesso, dissi che mi sentivo come una rana in uno stagno pieno di pesci. Mi riferivo alla mia posizione, inadeguata all'epoca, per quello che facevo: non mi sentivo valorizzato per quello che sapevo fare. lo sapevo fare bene delle cose che però erano inutili, e meno bene quelle che invece dovevo fare: come una rana che si trova a nuotare in uno stagno, in mezzo ai pesci. Potrà nuotare bene finché vuole, in fondo è un anfibio, potrà vantarsi di saper girare bene anche al di fuori dell'acqua, ma non nuoterà mai bene come un pesce. Perché una rana non è pensata per farlo: un anfibio è un compromesso, non è qualcosa che va bene sia in acqua che al di fuori, è qualcosa che non crea grossi problemi in entrambe le situazioni. È un compromesso, una via di mezzo, non potrà mai quindi essere completo né in una nella nell'altra parte.
Mi piace pensare che mettermi in situazioni dove non mi trovo a mio agio mi faccia crescere. Questo è sicuramente vero, perché si impara un sacco dalle situazioni a cui non si è abituati, eppure bisogna fare anche i conti con la realtà. Ieri sera sono andato a un concerto metal folk, decisamente non l'ambiente di uno che gira con le giacche fatte su misura, però mi sono divertito. È stato qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo, rispetto alla vita che faccio normalmente. Mi è servito per capire che sì, si può venire incontro ai desideri degli altri e divertirsi, però ho anche capito che non ci può piacere tutto, perché ognuno è fatto a modo suo, ognuno ha i propri gusti e di conseguenza è attirato da cose diverse. Anche per le proprie capacità, che ci condizionano nei nostri gusti, e nei nostri comportamenti. Mi sono nuovamente sentito la rana, in mezzo a un sacco di pesci. Di nuovo mi sentivo superiore su certi versi inutili, e inferiore in tutto il resto.
La verità è che quindi non si può scendere a compromessi sempre su tutto, bisogna accettare che certe cose non si possono andare bene. La soluzione in cui tutti andiamo d'accordo, non è sempre praticabile, perché il mondo è popolato da specie diverse, con esigenze diverse. Proprio come le rane e pesci. Una rana potrà scegliere di entrare in acqua per difendersi da un predatore terrestre, oppure per cacciare del cibo, quindi sia con uno scopo difensivo che offensivo, ma non nuoterà mai bene come un pesce.
Perché è una rana, ed è quello che sa fare meglio.

883 - La rana e lo scorpione

mercoledì 9 marzo 2016

Il bel samaritano

Stamattina è stata una mattinata qualunque, ad eccezione di una cosa.

Oggi mi sono svegliato, come spesso accade ultimamente, sul lato giusto del mio letto. Per lato giusto intendo quello appoggiato al muro, non quello che mi farebbe cadere di sotto. In questo senso è piacevole svegliarsi, anche se la notte a volte ci sbatto contro. Ho fatto la mia bella colazione, stando attento a mettere la margarina sul pane e la colla al silicone sulla tavola da snowboard, evitando di invertire le cose perché, ovviamente, i lavori di bricolage si fanno mentre si mangia la mattina, tanto non starei seduto comunque. Sono uscito di casa e ho fatto tutto il mio bel viaggetto fino al lavoro, dove, vicino al mio parcheggio c'era una Punto che aveva un po' di difficoltà. Stava cercando di fare manovra, ma aveva visibilmente bruciato la frizione, quindi la signora al volante non riusciva nemmeno a parcheggiarla. L'ho guardata per circa un minuto, con l'interesse che si ha per chi non riesce ad effettuare un parcheggio, poi mi sono reso conto che la situazione di stallo non era dovuto ad una mancanza di abilità nella guida, quanto più a un problema tecnico. A questo punto mi sono deciso a scendere e dare una mano. Da bravo maschio macho, mi sono offerto, nonostante fossi vestito di tutto punto, di spingere la macchina fino alla posizione di sosta, poi ho aperto il cofano facendo vedere dove fosse il danno ovvero la frizione che fumava. È stata una cosa bella, sebbene mi sia ritrovato con le mani sporche, perché l'auto non era certo nuova, tanto meno pulita. Mi ha fatto sentire utile, mi ha dato modo di cominciare meglio la mia giornata, la possibilità di aver fatto la differenza nel giorno di qualcuno. Per quanto non possa essere così grande cosa spingere un'automobile in panne, è sempre un'occasione per potersi mettere a disposizione del proprio prossimo. Quando sono rimasto a piedi io, mi chiedevo come mai la gente non mi aiutasse, e ho sempre apprezzato chi l'ha fatto nel momento in cui io stesso avevo bisogno. Certo, non si può nemmeno dire che bisogna stare a cercare di aiutare tutti quelli che si incontrano, specialmente se si tratta di tipi loschi la notte che devono cercare di cambiare una gomma, perché magari li stanno solo cercando di derubarti, però se si ha la possibilità, è sempre qualcosa di molto carino, utile per chi aiutiamo, e gratificante per noi.
Vi farà passare meglio la giornata avere aiutato qualcuno, perché in certi momenti, l'unica cosa che possiamo fare per noi stessi, è cercare di aiutare gli altri.

Damon Albarn - Mr Tembo

martedì 8 marzo 2016

Un branco di leonesse

Donne, non puoi vivere con o senza di loro.

Oggi è la festa delle donne. Così, giusto per fare gli auguri a tutte le donne che leggono questi post. Penso che sia bello, come spiegavo oggi, poter dedicare una giornata alle donne: non per ricordarci che la violenza su di esse, come su chiunque altro, sia sbagliata, come molti pensano, quanto più per fornire una scusa. È bello pensare che in questa giornata si faccia un pensiero carino, un regalo, un rametto di mimosa anche trovato per terra ad una donna, fornendo così un pretesto per fare qualcosa di speciale, una spintarella ad essere più gentili nei confronti delle donne. Ah, le donne.
Si potrebbe scrivere un libro che comincia con questa frase, anche se sono convinto che ci sia già stato qualcuno che lo abbia già fatto. Per festeggiare questa ricorrenza odierna, e perché io sono un personaggio estremamente lungimirante e autolesionista, ieri sera mi sono messo a guardare un film che non poteva avere un titolo più appropriato. "The Women", che per chi non è avvezzo a termini anglosassoni, indica proprio l'intero genere femminile. Il concept del film è anche abbastanza interessante, ovvero mostrare la vita, le esperienze e le reazioni di tanti tipi diversi di donne nel mondo, senza però mai inquadrare un solo uomo per tutto il film. Queste donne parlano, interagiscono, vivono con degli uomini, ma si sentono al sicuro e sentono la libertà di espressione solamente quando si ritrovano tra amiche. Il loro mondo è qualcosa di incondivisibile, di difficile per un uomo da capire, questo spiega anche la mia espressione da lobotomizzato mentre guardavo il film, cercando di capire la logica che ci fosse dietro, nonostante nel mentre stessi stirando coi capelli legati. Diversi tipi di donne, accomunate da diverse reazioni ad eventi simili (tradimenti, licenziamenti, etc.) riescono a sopravvivere nella giungla urbana solo facendo gruppo, rimanendo un branco unito che lotta per la propria sopravvivenza. Questo è assolutamente encomiabile, e trovo che sia un bel messaggio da passare: la sussistenza del gruppo è di primaria importanza per una buona vita del singolo, un po' come le leonesse che cacciano in branco. Ho trovato molto bello anche il modo in cui si chiude il film, perché la scena finale è il parto di una delle protagoniste, dove viene dato alla luce un bimbo maschio. Questo rappresenta la capacità generativa, il ruolo fondamentale nella creazione della famiglia della donna, senza la quale tutto il sistema crolerebbe. In tutto questo gli uomini ci sono e non ci sono, rappresentano l'intelaiatura della società femminile, come i tondini di ferro annegati nel cemento armato dei piloni di un palazzo, la società. Non sono visibili, e nemmeno indispensabili, in alcuni casi, ma rendono più completa e stabile la struttura.
Per cui grazie, donne e mamme di tutto il mondo, per il vostro essere e il mondo che questa presenza crea.

P.s. il film è una puzzonata, non guardatelo.

Billy Joel - She's Always a Woman

lunedì 7 marzo 2016

Quell'appartamento con la porta blu

È un sacco che non recensisco un film.

Sono più che convinto che questo blog, oltre esprimere le mie impressioni sui pensieri che ho durante la giornata, considerato poi che penso troppo perché sono troppo spesso da solo, debba anche essere un sistema per far fare nuove esperienze le persone. Quello che ho in mente in questo momento è qualcosa che ho già fatto in passato, ovvero recensire un film. Ieri sera infatti era una serata tranquilla, non avevo certo voglia di uscire, anche perché era domenica sera. Dopo una buona cena, mi sono quindi messo davanti alla tv, a guardare un film. La scelta, con i sistemi moderni di cinema on demand, è sempre estremamente ampia, e va dalla commedia romantica alla scemenza più demenziale passando per i film di azione. Ultimamente, sto riscoprendo alcuni classici film, classici poi per modo di dire, stiamo sempre parlando dei primi anni 90/2000, specie quelli noti a tutti, ma che io, per un motivo o per un altro, non ho mai visto. Questa è la premessa con cui ieri sera ho cominciato a guardare Notting Hill. Lo so, per questo verrò preso in giro e deriso, ma essere curiosi è anche questo, è anche provare qualcosa al di fuori della propria sfera di interesse.
L'avevo già visto, a pezzi, un po' di anni fa, ma mai dall'inizio alla fine. Non avevo quindi mai avuto l'occasione di guardarlo nella sua interezza, ed essendo un film ben noto la mia generazione, volevo capire il motivo del suo successo. Ora, avendolo osservato tutto, ho avuto modo di capirlo, e farmi quindi un parere a riguardo.
Per chi non lo avesse visto, si tratta della storia di un'attrice famosa (Julia Roberts) che si innamora di una persona qualunque (Hugh Grant), che lavora in una libreria di viaggi, appunto a Notting Hill, quartiere storico di Londra. La storia tra loro è assolutamente surreale, perché lei è proveniente da un mondo, una realtà incompatibile con quella del libraio: questa storia però ha qualcosa, nel modo in cui sono raffigurati i personaggi, che la fa funzionare. Per come è stato scritto, per come è stato recitato, si riesce a notare un realismo, una rappresentazione similare della realtà dei rapporti umani e sentimentali. Mi spiego meglio: nei loro dialoghi, che sono scritti molto bene, non me ne vogliano gli anti romantici, le parole, i silenzi, le pause che intercorrono tra una domanda una risposta, forniscono una rappresentazione concreta di quello che nella realtà è un vero rapporto. I momenti più importanti di ogni dialogo, infatti, sono rappresentati dai silenzi, che danno modo, sia alle parti, che allo spettatore, di immaginare la possibile rosa delle risposte, esattamente come succede nella realtà. La risposta quindi che viene palesata, non è un qualcosa di inaspettato, non è la risposta giusta al momento giusto, almeno non solo, ma è una delle possibili risposte che si potevano dare. Esattamente come succede nella realtà, quando in momenti del genere abbiamo bisogno di pensare, prima di esprimere ciò che proviamo. In questo il film è assolutamente realistico, e ho apprezzato tantissimo che fosse fatto così. Inoltre, va considerato un ulteriore aspetto, sul quale io mi sto battendo tantissimo. Hugh Grant, in questo film, non appare come un piacione che qualsiasi donna vorrebbe avere, non con lo stereotipo che si potrebbe avere guardandolo con degli occhi da uomo, almeno. Appare come una persona semplice, circondata da amici un po' sfigati, ma tutti molto sinceri. Non ha paura di essere messo in discussione, non ha paura di rimanere in piedi per difendere la propria donna, perché è fedele a se stesso. Quel poco che ha, quel poco che è, lo conosce molto bene, e lo difende per questo. L'uomo macho di contro, che per un retaggio del passato gli uomini è ancora considerato come efficace, non produce quasi mai effetti sperati. È infatti facilmente smascherato dalle donne, che quanto più sono in alto, potenti e sicure di sé, tanta più sicurezza cercheranno in un loro pari. Essere fedeli a sé stessi, non recitare una parte, è il primo passo per poter piacere a una donna, questo il vecchio Hugh l'ha capito molto bene e lo mette in pratica anche meglio.
Il giudizio finale su questo film è sicuramente molto positivo. Il contesto, e la storia di fondo, quella che una recensione normale chiamerebbe la trama, sono assolutamente discutibili. Quello che però mi piace veramente tanto è il modo in cui le emozioni sono rappresentate, come le persone agiscano in determinate situazioni, persone normali. Voglio quindi chiudere con la frase più d'impatto del film, che non è quella che tutti citano, anche perché rappresenta al meglio il mio giudizio su questa pellicola.
È stato surreale, ma bello.

Ronan Keating - When You Say Nothing At All

sabato 5 marzo 2016

Uno in più

Happy birthday to you, happy birthday to me,
Non cambierà un granché, tanto sei sempre tu, sempre scemo così...

Una vecchia canzone degli 883 fa così, e ieri mi è tornata in mente parecchie volte. Sarà che da piccolo avevo l'album, e non avendone molti altri lo ascoltavo in continuazione, ma mi è sempre piaciuta quella canzone sui compleanni, più dell'anatema ufficiale quale tanti auguri a te. Perché, come i più attenti avevano già notato, ieri era il mio compleanno.
In passato non sono mai stato un grande fan del mio stesso compleanno, forse anche per la sensazione caratteristica che, crescendo, assumono tutte le feste comandate. Ci si aspetta sempre di più, che il natale, capodanno e il compleanno siano delle feste fantastiche, come ce le ricordavamo da bambini, ma crescendo questa gioia, questo entusiasmo, molto spesso lascia spazio alla delusione. Per questo, nel tempo, ho dato sempre meno importanza a questa evenienza, ma più per un meccanismo di autodifesa, che per un reale disinteresse nei confronti del mi genetriaco mi sento molto Carmen Consoli per avere usato questa parola. Insomma, sono anni che il mio compleanno non lo pubblicizzo e non lo festeggio in alcun modo, se non organizzando qualcosa per me, e me solo. Ieri sera infatti dovevo andare a casa di amici, perché avevamo una mezza idea di uscire/stare lì a fare delle chiacchiere, ma il piano è stato disatteso. Quando sono entrato, veramente non me l'aspettavo mi sono trovato davanti una stanza piena di miei amici che mi gridavano gli auguri. Sono rimasto stupito, non di entrare in una stanza dove la gente mi grida contro, questo succede più spesso di quanto crediate, ma che i miei amici si fossero presi l'impegno di organzzare qualcosa, a mia insaputa, solo per me. La sensazione che ho avuto è stata di grandissimo stupore, perché non mi ritengo un amico così buono che qualcuno possa pensare di fare qualcosa di così bello solo per me. E anche se ho finto confidenza, e moderato stupore, ero veramente commosso, al punto tale che mi sono dovuto trattenere con grande sforzo. Ho imparato a non aspettarmi molto, da questa festa, eppure mi sbagliavo. Ho sempre avuto paura di rimanere deluso, eppure evidentemente ho avuto la capacità di circondarmi di persone buone, che mi vogliono più bene di quanto io possa pensare. Queste persone ieri hanno fatto un grande sforzo per me, e mi hanno fatto capire che non ha senso cercare di cavarsela sempre da solo, di non aver paura di essere deluso mai dal nulla. Perché essere un gruppo è sempre meglio. Per cui, il post di oggi voglio dedicarlo a questi amici stupendi, che mi hanno fatto una sorpresa graditissima. Non aver portato una torta o delle bottiglie da bere, ma solo fatto di essersi presentati. Anche se per farmi questa sorpresa, hanno costituito un gruppo segreto di WhatsApp, fatto da tutti i miei amici, tranne me. Gruppo che hanno detto di utilizzare in futuro, per escludermi dalle prossime serate.
Ai miei amici, fonte d'ispirazione, in ogni genere di serata.

883 - Uno in +

mercoledì 2 marzo 2016

Un hamburger divino

Quella di ieri sera è stata una cena fantastica.

Ieri pomeriggio, dato che c'ero andato domenica e non lunedì, sono andato ad allenarmi al parco. Dopo un buon allenamento, preceduto da un'intensa giornata di lavoro, c'è sempre la gratificazione di farsi una bella cena. Sono molto attento nell'alimentazione, specialmente quando ho necessità di recuperare le forze, quindi cerco di compensare il bisogno proteico e energetico dell'allenamento con una cena adeguata, per cui quando ne ho l'occasione, cerco di fare una spesa in maniera tale da avere carne e carboidrati per la sera in cui mi vado ad allenare. Ieri sera avevo la fortuna di poter mangiare degli hamburger di vitello che avevo trovato in offerta. Dovete sapere che a casa mia non c'è molta selezione alimentare, non dovuta la poca conoscenza chimico/nutrizionale, che è una delle poche cose di cui mi posso vantare, bensì dettata dalle ristrettezze economiche. L'alimento principe, per quanto riguarda il mondo della carne, è il maiale, estremamente saporito, economico ma un po' stucchevole. Poter comprare quindi degli hamburger di vitello, solamente perché in offerta, è stata sicuramente una grande occasione per provare qualcosa di nuovo. Il risultato è stato sorprendente. Mi sono piaciuti tantissimo, erano estremamente saporiti, e dato che in casa mia non si butta via niente, proprio per le motivazioni sopra citate, sono riuscito a cuocere il sugo della pasta nel grasso di questi hamburger, lo so che fa schifo ma è molto saporito. Ovviamente il pensiero è stato quello di cominciare a prendere sempre solo hamburger di vitello, perché sono più buoni a tutti gli effetti, ma mi sono dovuto ravvedere subito, pensando che non fosse giusto. Sono abituato col maiale, che ormai è diventato il mio standard, e già per questo devo potermi ritenere fortunato, nei confronti di chi le proteine le deve assumere dalle uova o dai legumi che per inciso erano il contorno della cena di ieri sera. Penso di essermi goduto così tanto il vitello solamente perché era qualcosa di straordinario, infatti gli hamburger di McDonald's sono anche essi stessi di vitello, ma li mangio talmente spesso che non ci faccio nemmeno più caso a quel genere di sapore.
Siamo abituati a delle cose normali, il nostro livello può salire, ma bisogna sempre riconoscere quando qualcosa sia speciale, e tenerlo come tale, tenendosi stretta questa sensazione. Non bisogna avere la presunzione di rendere ordinario ciò che è speciale, perché se ne perde il senso, e quindi viene meno la specialità. Per cui continuerò con il mio maiale, e la mia alimentazione a base di materiale più che edibile direi edile.
Non voglio negarmi da solo la gioia di vedere quando il vitello sarà di nuovo in offerta.

domenica 28 febbraio 2016

Costellazioni da marciapiede

Chi cammina guardando per terra non vede mai il cielo.

Oggi voglio cominciare con questa citazione, in questa piovosa domenica di Febbraio, una delle ultime. Non avevo nessuna voglia di stare malinconico alla finestra, magari suonando qualche canzone triste con l'ukulele. A dir la verità questo è molto difficile, in quanto qualsiasi canzone sembra allegra con l'ukulele, è anche per questo che ho scelto di suonare questo strumento. Per cui, essendo un giovane dandy annoiato, ma con la pancia vuota, ho deciso di andare a fare la spesa. Da grande artista tormentato, dove trovare un briciolo di ispirazione eccezionale se non nella trivialità della vita di tutti i giorni? Ok, mi sa che mi sto allargando un po' troppo e dovrei fare una bella doccia di umiltà. Oltre che una doccia vera. Insomma, ho raccolto le mie buste della spesa, perchè va bene tutto ma bisogna risparmiare sulle sporte, e sono andato sotto la pioggia, a fare la spesa. Ma qui qualcosa ha attirato la mia attenzione.
Mentre camminavo sul marciapiede, ho notato qualcosa di strano. Ero tutto assorto nei miei pensieri, niente di trascendentale, cosa comprare una volta dentro, quando ho visto delle linee per terra, delle linee bianche disposte in maniera casuale. Non ho dato molto peso alla cosa, in fondo si vedono spesso dei disegni sui marciapiedi e sui muri di questa città, e molto spesso non hanno nemmeno un senso. Eppure questi continuavano per decine di metri, ma non con disegni ordinati, sempre casuali. Finché non mi sono accorto della ragione che c'era in quelle linee. Ogni linea collegava una macchia, ogni chewing gum alla successiva, creando una sorta di costellazione con tutte le imperfezioni nel grigio dell'asfalto. Un ordine cera, non era più un semplice marciapiede, ma la gente poteva cominciare a vedere, grazie a quelle linee, delle forme e dei disegni, esattamente come è stato fatto con il cielo e le costellazioni vere e proprie. Chiunque abbia avuto questa bella idea, ha deciso solamente di riproporre qualcosa di già fatto in passato, cercando di dare un senso, un'ordine a ciò che appare come caotico e casuale. Che per carità, non fraintendetemi, lo è, ma ho sempre avuto ammirazione e curiosità per la capacità della mente umana di associare un significato a ciò che non riesce a spiegare. Vivere in un mondo intellegibile, ci permette di pensare che possiamo esserne padroni, e vivere quindi meglio. Così, mi sono fermato a guardare quei disegni, quelle costellazioni da marciapiede che decoravano tutto il camminamento e ho cercato di vederci qualcosa pure io. Purtroppo però, la mia mente bacata non mi permette di vedere oltre, e ricondurre delle linee a un disegno più complesso, facendomi immaginare paperelle, orse maggiori o sagittari. In ogni caso è stato un po' come guardare il cielo la notte.
Non riuscivo a vederci più di quello che vedevo, ma mi è piaciuto molto.

Nine Black Alps - Pocket Full of Stars

Un venerdì diverso

Non esiste buono o cattivo tempo, esiste solo buono o cattivo equipaggiamento.

Quella di oggi è stata una giornata strana, atipica persino per i miei venerdì. Tutto il giorno sono stato in giro, con la macchina, a cercare di fare contente tutte le persone con cui lavoro. Non è sempre facile fare contenti tutti, anche se penso di esserci portato per questa roba. Mi piace fare in modo di essere tramite attraverso cui le persone riescono ad ottenere i loro obiettivi. È una delle cose belle del mediatore, cercare di mettere tutti d'accordo per quanto possibile. Eppure oggi, neppure aver viaggiato dalle Alpi al Po e ritorno, mi ha tolto il sorriso dalla faccia; perché avrei potuto lamentarmi delle continue urgenze, del fatto che nessuno fa il suo lavoro quando dovrebbe, che la gente, se non viene spronata, o tirata per la giacchetta non si muove dal proprio posto, ma non l'ho fatto. Non mi piace notare le mancanze altrui, mi è stato insegnato quanto sia sbagliato e trovo che non sia nemmeno una cosa bella o corretta da fare. Mi piace invece parlare bene della gente, soprattutto quando fa bene il proprio lavoro. È per questo che spero di fare bene il mio, in modo che gli altri parlino bene di quello che ho fatto. Perché, con l'atteggiamento giusto, cercando di tirare fuori il lato positivo da ogni cosa, ogni occasione è buona. In questo momento sto dettando questo post mentre sono in coda in autostrada, mentre torno verso casa. Non ho particolare fretta di tornare, mi piacerebbe stare sul divano, ma in fondo farei la stessa cosa che sto facendo qua, quindi niente. Eppure aver fatto questo sforzo di questa gran mattinata in giro mi ha permesso di fare bene il mio lavoro, e non lo rimpiango, nemmeno se oggi pomeriggio avrei potuto e voluto fare altro.
Mi viene da sorridere in questo momento, pensando di aver fatto bene il mio lavoro, pensando di aver anche fatto quel miglio in più che mi è stato richiesto. Perché sono sicuro che facendo così mi riesco a circondare di persone disposte a fare un miglio in più per me, magari non tutte, ma sicuramente qualcuno. In un vecchio post, ho scritto che faccio questo lavoro perché sono il migliore. Non è assolutamente vero, e questo penso sia sotto gli occhi di tutti, eppure c'è un motivo per cui mi sento portato per questo. Non è certamente perché sono il migliore, bensì perchè sono disposto a farlo, cosa che molti altri non fanno. Ho l'atteggiamento giusto per affrontare le sfide che la vita mi pone ogni giorno, nella difficoltà di fare un lavoro sempre diverso ogni giorno. Ho la fortuna di potermi svegliare ogni mattina, e fare la differenza in quello che faccio.
Anche se questo non è del tutto corretto, perché tutti hanno la possibilità di fare la differenza, forse la mia fortuna è solamente averlo capito.


martedì 23 febbraio 2016

Il donatore di tempo

Non hai mai l'impressione che il tempo ti sfugga dalle mani senza accorgertene?

In questo momento ho appena preso il biglietto premendo il tasto "donatori senza prenotazione". Chi mi conosce bene sa che sono un donatore di sangue, e che lo faccio da quando ho compiuto 18 anni con regolarità. È una cosa molto bella, oltre che utile, e dà una certa qual soddisfazione quando scopri che qualche persona che conosci ha avuto la necessità di una trasfusione nell'ospedale dove vai a donare, perché potresti averlo aiutato direttamente tu. Il mio lavoro mi permette di vedere che fine fanno queste sacche di sangue, quindi anche come vengono utilizzate. Vi garantisco che vengono trattate come oro liquido, quindi, se rientrate nei parametri per la donazione, fate questo piccolo sforzo.
Ma quello di oggi non voleva essere un spot pubblicitario per convincerci tutti a fare questo piccolo regalo, quanto più un'osservazione sul passare del tempo. Dal punto di vista legale infatti, non si possono effettuare due donazioni consecutive senza che siano intercorsi almeno 90 giorni tra una e l'altra. Questo vincolo è di carattere clinico, in quanto è il tempo stimato che ci mette il nostro midollo osseo a riprodurre la quantità di globuli rossi che sono stati persi nella donazione. In un anno quindi, un maschio adulto in buona salute vedi sopra riesce a fare al massimo 4 donazioni, che è quanto faccio io. Quindi la mattina in cui sono seduto qui, ad aspettare per la visita medica prima della donazione, posso fare il punto della situazione su quello che è successo negli ultimi 6 mesi. La curiosità ha voluto che i questa metà di anno siano successe moltissime cose, perché 6 mesi fa sono andato a donare che mi ero fidanzato da poco, mentre 3 mesi fa ero stato lasciato da poco, mentre le valutazioni odierne le faremo tra 3 o 6 mesi. La cosa che mi ha fatto sorridere è stato come passa velocemente il tempo, perché mi sembra l'altro ieri di aver fatto la penultima donazione, oltre che l'idea che siamo a metà strada dell'anno per le vacanze estive. È certamente troppo presto per pensarci, ma ho avuto prova e limpressione che il tempo passasse sempre più velocemente. Ciò che ritengo sia importante, quando si sente il tempo scorrere così celermente, è cercare di imparare qualcosa, anche su noi stessi, in ogni momento, altresì possiamo essere portati a pensare che tutto ci stia scivolando dalle mani come sabbia che scorre tra le dita. Il nostro tempo non è mai buttato fino a che non diventa parte del passato, perché siamo stati noi a non usufruirne; ci sono momenti in cui è necessario attendere, e magari stringere i denti fino a che la tempesta non cessa, ma anche momenti in cui ci si accorge che il vento buono sta arrivando e quindi preparare tempestivamente le vele per il viaggio.
Così, mentre aspetto il mio turno, cerco di immaginare il futuro che mi aspetta in questi 6 mesi, ma non sono spaventato da quest'idea. Il cielo è terso, c'è il sole e il mare è calmo.
Nulla mi fa pensare che il vento non arriverà.

#GiveBlood
Queen - Let Me Live

lunedì 22 febbraio 2016

I walked the line

Sabato sera ho fatto una cosa molto stupida.

Lo so che la maggior parte dei miei post che iniziano con queste premesse promettono molto bene, con storie romanzate al limite della credibilità, ma stavolta non è una di quelle. Quando dico che qualche sera fa ho veramente passato il limite, intendo dire che non è stata una cosa bella, e voglio farlo notare. Non ho intenzione di entrare nello specifico di quello che è successo, ma posso solamente dire che è stata di gran lunga la cosa più pericolosa che abbia fatto negli ultimi mesi, che in confronto rischiare di scivolare in un burrone in montagna da solo è una passeggiata di salute.
La possibilità di aver fatto una cosa così stupida a cuor leggero mi ha dato molto da pensare. Perché dopo averla fatta, a freddo, ci ho ripensato e ho avuto paura. Non mi ritengo una persona che prova spesso paura, non perché sia un tipo macho che non ha paura di niente, au contraire, quanto più per il fatto che non lascio che la paura mi blocchi dal fare ciò che desidero. Eppure sabato sera ho avuto molta paura. Perché se qualcosa fosse andato storto, se solo ci fosse stata una sola interferenza, se una farfalla a Melbourne avesse battuto le ali più forte, se la teoria degli universi paralleli non è sono una teoria, c'è un universo in cui le cose sono andate diversamente. Forse c'è anche un universo dove sono morto. Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci.
La ragione per cui sto scrivendo di questo episodio è perché voglio parlare di come le esperienze, buone e cattive tendono a condizionare il nostro comportamento. Dopo questa esperienza, io sono sicuro che non mi metterò più da solo in quella codizione: per una leggerezza di gioventù si tende a dimenticare quello che si ha, e in un modo o nell'altro ho imparato qualcosa. Essendo un fortunello di natura, ovviamente a me è andata bene, ma ho comunque imparato qualcosa. Anche perché se fosse successo qualcosa, non avrei potuto dare la colpa a nessun altro, se non me stesso, che, diciamocelo, non è proprio il massimo della vita.
Penso che la paura, in questi casi, sia qualcosa di buono. Ci permette di imparare dai propri errori, di vivere con una conoscenza più ampia di ciò che ci circonda e, non da meno, di noi stessi. Sì, ho avuto paura, e ho tutt'ora paura di quello che è successo, ma di una cosa sono sicuro.
Ho imparato la lezione.

Johnny Cash - Walk the Line

giovedì 18 febbraio 2016

L'equilibrista squilibrato

Comincio a pensare che i guai abbiano la capacità di trovarmi sempre.

Ieri è stata una giornata strana. Un classico giovedì, vissuto come quando da lontano si guarda il traguardo che sarebbe il weekend, ma almeno si vede già. Così, essendo una bella giornata e non avendo voglia di fare molto altro, una volta arrivato a casa, mi son messo la mia bella tuta e sono andato allo skatepark. "E' un po che non ci vado, mi divertirò di sicuro" chi conosce l'ambiente sa bene quanto questa frase sia un'aberrazione clamorosa, essendo lo skate uno sport in cui si fa male spesso anche chi è allenato, figuriamoci chi non lo è. Insomma, imbracciata la mia tavola, cuffie nelle orecchie e vento nei capelli, mi sono diretto al paradiso del cemento, l'ameno luogo ove sin da lontano si ode frangere ferro contro ferro, pianto e stridore di denti. Il suddetto skatepark.
Ritagliato il mio angolino dove provare, mi sono messo per un po' a cercare di fare una cosa (uscire saltando dal pipe, il muro ricurvo), senza però avere successo. Ad un certo punto, vuoi la stanchezza, vuoi la frustrazione, ho provato a farlo un po' più estremo, e vi aspettavate diversamente? sono caduto. Una di quelle cadute da farsi male veramente, perché sono caduto in avanti sbattendo la spalla e un po' la faccia sul cemento. Molti saranno felici di questo. Fortunatamente non è stata una botta troppo forte, e ora la spalla è un po' scorticata e soprattutto è l'altra rispetto a quella dello snowboard di due settimane fa, quindi abbiamo pareggiato il segno. Un ragazzo per modo di dire ragazzo, ha 41 anni mi ha visto e mi ha chiesto se avessi bisogno di aiuto, l'ho ringraziato e ci siamo messi a parlare. Mi ha dato un paio di consigli e alla fine, riprovando, dopo qualche tentativo, sono riuscito a fare quello che volevo.
Quello che mi ha stupito, ad eccezione della mia incredibile stupidità e della capacità di trovare guai ovunque vada, è stato che con un paio di consigli ben piazzati, non solo sono riuscito a fare quello che volevo, ma ho fatto anche molta meno fatica. Questo mi ha fatto pensare. Cosa era cambiato in me in quei pochi minuti? La paura di sbagliare e farsi male non se n'era andata, anzi, forse era pure aumentata, ma qualcosa era cambiato. L'equilibrio.
Ho pensato che l'equilibrio era tutto in quel momento, che per fare quel determinato movimento, doveva essere più naturale, più armonico, meno forzato. Questo mi ha fatto pensare a tutti i casi della vita in cui ho visto gente che faceva di più di me mostrando meno fatica, grazie ad un equilibrio migliore. Non sto parlando della mera capacità di locazione in postura regolarmente eretta, ma parlo della capacità di dispensare la giusta misura per la giusta applicazione. Essendo meglio bilanciato, sono riuscito ad uscire con lo skate dal pipe, ma solo perché la mia mente ha rivolto la giusta attenzione ai segnali che i nervi delle mie gambe le stavano mandando. Nello stesso modo penso si debba operare nella nostra vita, cerando il giusto equilibrio: capire cosa è importante e cosa non lo è, capire per cosa spendere un minuto in più, e su cosa tagliare corto. Un buon bilanciamento permette quindi di discernere le cose importanti dalle distrazioni, e in questo l'esperienza è fondamentale. Nel mio caso, beh, penso che sia ovvio che sulla soglia dei 30 anni mi possa cominciare a sentire troppo vecchio per queste cose, e magari dovrei dedicare la mia attenzione ad altro. Non posso più fare tutto quello che vorrei, perché ci sono cose che cominciano ad avere al priorità. E a un certo punto il mio personale equilibrio mi farà stare fuori dallo skatepark e lontano dai guai.
Ma non ancora.

Youth Group - Forever Young


Io so chi sei

Recentemente ho combinato una serie di casini.

La mia vita, come si può immaginare dai miei racconti, i quali necessitano di essere leggermente romanzati ai fini prosaici della narrazione, è estremamente movimentata. Sono continuamente immerso in nuove esperienze, per lo più divertenti, in cui mi ritrovo coinvolto, più che attore principale. In altri termini, noto sempre più spesso che le cose mi accadono, più che ne sono attore, posso quindi solamente cercare di comportarmi al meglio. Dicevo, recentemente ho fatto un po' di casini con un po' di persone: come sempre non ho piacere nel parlarne in maniera esplicita, anche per non tirare in mezzo le persone coinvolte, ma nominare il fatto mi permette di introdurre l'argomento di cui vorrei parlare oggi. Perché oggi voglio parlare della Consapevolezza.
Lo scorso weekend, parlando con un amico molto riflessivo, ho espresso un pensiero secondo cui la consapevolezza, ovvero la capacità oggettiva di misurare le proprie caratteristiche, capendo quindi chi siamo veramente, sia il punto di partenza di una vita felice. Badate bene, non ho mai detto che una vita felice sia una vita priva di errori o momenti tristi, perché queste sono cose che succedono, anche indipendentemente dal nostro volere. Essere consci di noi stessi e delle nostre possibilità, ci permette di non trascendere mai noi stessi nel nostro comportamento, da soli come nella comunità, in parole povere essere noi stessi. Quante volte abbiamo sentito dire ad altri, o addirittura ci siamo sentiti dire "devi essere te stesso"? Perché è così comune e scontata questa affermazione, quanto spesso ignorata e confusa?
La risposta sta nell'accettazione dei propri limiti umani, nel desiderio di essere migliori di quello che siamo, nel continuo rincorrere risultati impossibili, come un Icaro che brucia volando verso il sole. Non ci accettiamo per la nostra mediocre limitatezza, e vorremmo essere più forti, più spiritosi, più coinvolgenti, più apprezzati. La realtà delle cose però è molto diversa: chiunque abbia avuto l'occasione di provare a farsi una nuova vita, scontento della vecchia, avrà notato che è impossibile prescindere da noi stessi, da chi siamo e da come siamo fatti. Prima o poi la nostra vera natura salta fuori e ci mostra per ciò che siamo. È qui che entra in gioco la consapevolezza. Chi possiede questa caratteristica conosce i propri limiti con un discreto grado di precisione, e agisce di conseguenza, sempre con mezzi conosciuti. Penso, nel tempo, di guadagnare sempre più consapevolezza di me stesso, arrivando anche a capirmi meglio.
Il che mi rende molto tranquillo e fiducioso sul futuro. Dove spero combinerò sempre meno pasticci.

Jimmy Cliff - I Can See Clearly Now

martedì 16 febbraio 2016

Je suis Cyrano

Ieri sera ho avuto una piacevolissima cena con un mio amico.

Non è qualcosa che faccio spesso, il gesto di invitare qualcuno a casa mia. Mi considero una persona ospitale, ma le mie abitudini di vita che i più potrebbero chiamare manie mi trattengono spesso dal farlo. Perché non è che sento l'orticaria quando qualcuno usa le scarpe anziché le ciabatte sul mio pavimento immacolato, ma ci faccio caso. Eppure ieri sera mi sono proprio divertito, anche perché è sempre bello fare il Cyrano De Bergerac.
Questo credo necessiti una spiegazione: ultimamente, vuoi per la mia passione per la dialettica, vuoi per il mio occhio critico e affascinato nei confronti dell'universo femminile, ho alcuni amici che mi chiedono consigli su come comportarsi con le loro presenti o future conquiste. Non sono certo un santone, tantomeno un esperto, ma in migliaia di "no, non sono interessata" ricevuti dalle donne ho imparato qualcosa, e non ho interesse a non trasmettere questa conoscenza. Perché troppo spesso una donna ti spiega anche, come dovresti comportarti, ma mai in maniera facilmente intellegibile. Allora qui arrivo io, che spiego che cosa significhi quando una donna ti dice "scrivimi pure quando hai voglia". Mi piace l'immagine del Cyrano, nascosto dietro una scala, che suggerisce le frasi d'amore al suo amico Cristiano per conquistare la bella Rossana. La solidarietà tra maschi permette di non essere soli davanti a degli esseri senzienti come le donne, incredibilmente più sveglie di noi, per di più.
Andando via, questo mio amico, ringraziandomi, mi ha fatto pensare al perché lo faccio, perché con lui sono stato disponibile e gentile, senza volere nulla in cambio. La verità è che non c'era uno dei miei diabolici piani sotto, una complessa quanto ingegnosa giocata del mio Playbook, perché la motivazione è un'altra. Mi piace circondarmi di persone di cui io possa fidarmi, persone intelligenti, persone che siano capaci di accettare, o almeno ascoltare anche senza poi seguire un consiglio che deriva dall'altrui esperienza. Siamo portati a cercare di fare gruppo con i nostri simili, a formare la nostra squadra, coprendoci le spalle a vicenda, senza dover dimostrare niente a nessuno da soli. La consapevolezza di essere un gruppo, permette di essere più sicuri di sé, perché, citando Chris Maccandless, il segreto nella vita non è essere forti, ma sentirsi forti.
Sono sicuro che il mio amico, se avrà l'occasione, e io gliene darò la possibilità, mi ricambierà il favore. Ma non riuscirà mai a sdebitarsi, per due motivi. Innanzitutto perché non è in debito con me di niente, ma anche perché i miei consigli sono oro colato.

Voglio chiudere con una novità, ovvero il brano suggerito del giorno. Cercherò sempre di mettere una musica che rispecchi l'augurio, il consiglio, oppure la riflessione del giorno.
Buon martedì a tutti.

New Radicals - You Get What You Give