mercoledì 30 dicembre 2015

Il Barone Rampante

In questi giorni,  in cui come molti di voi ormai sanno oltre ogni grado di sfinimento, ho avuto molto tempo per me.
Questo mi ha permesso di fare alcune cose che rimandato da tempo, alcune delle quali realmente desideravo di fare. Mi ero infatti procurato circa un mesetto fa una copia de "Il Barone Rampante" di Calvino, libro che avevo già letto ai tempi del liceo, ma allora avevo detestato. Vuoi per il fatto che non lo avevo letto con attenzione, vuoi perché questa disattenzione si era materializzata in un solido 4 nella recensione del libro, non ne portavo un gran ricordo. Ma si sà, il tempo porta consiglio, così, seguendo una buona idea che mi venne tempo fa, sto rileggendo con molta più calma e attenzione tutti i libri già letti. Il risultato ha dell'incredibile: mi trovo infatti ad adorare libri che non avevo capito per niente, e tuttora non ho ancora trovato un libro che non mi sia piaciuto. Questo mi fa anche capire perché certi testi si facciano leggere nelle scuole. Certo, magari a quell'età non si capisce, e soprattutto obbligare alla lettura è sbagliato.
Insomma, facendo buio alle 5, e dovendo aspettare fino alle 8 per la cena, e poi dopo cena, in un paio di giorni ho finito questo bellissimo libro. Per chi non conoscesse la storia, narra del Barone Cosimo di Rondò, che, per dispetto, a dodici anni decise di salire sugli alberi, e ci visse tutta la vita senza mai mettere più piede a terra. Certamente un personaggio interessante e originale, in cui è facile immedesimarsi. La tenacia delle proprie idee, la risolutezza delle proprie opinioni e dei propri obiettivi penso ci accomunino, anche solo l'idea che siano così. Il pensiero che presa una decisione, seppur tra mille difficoltà, questa rimanga siffatta in eterno, senza mai venir mutata. L'autore si scusa del lessico utilizzato, ma gli piaceva molto come era scritto il libro e sostiene che parlare così gli "dia un tono". Creativo. C'è un po' di Cosimo di Rondò in tutti noi, o almeno tutti vorremmo essere un po' come lui. Perché tra avventure, amori trovati e perduti e storie che hanno dell'incredibile, la vita del barone non ha niente da invidiare a quella di una persona che ha vissuto coi piedi a terra. Mi è piaciuto molto anche come nel libro, la stranezza di una vita sugli alberi, di cui non ci si riesce a capacitare mai, diventi sempre meno importante, fino alla mondanità: da capriccio diventa un'affermazione personale, poi una peculiarità, fino a diventare un vezzo. Quasi come un modo di acconciare i capelli. È la morale della gente, flessibile e capace di abituarsi a tutto, anche alle scelte illogiche.
Forse la morale del libro è proprio questa. Più della solitudine dell'intellettuale, che trova più compagni di viaggio che di vita, il libro vuole farci capire come non importi più di tanto l'immagine che si dà alla gente, perché ci si abitua a tutto, le epoche passano e i tempi, come i costumi, cambiano. Ciò che conta è la confidenza che poniamo in noi stessi, e nelle nostre scelte. Cosimo di Rondò è stato tante cose, ma mai si potrà dire che non fosse una persona risoluta.

Visse sugli alberi, amò sempre la terra, volo in cielo.

martedì 29 dicembre 2015

Fammici pensare

Sono ancora quassù, nella mia bella baita di montagna.

Tolti i vestiti fradici della giornata sulle nevi artificiali, sia ben chiaro, curate le ferite e fatta una doccia calda, mi ritrovo nella invidiabile condizione di essere pulito anche se questo capita più spesso di quanto pensiate, riposato e anche affamato. Sì, perché proprio come ieri sera sto aspettando che apra il ristorante. Che è un ristorante per modo di dire, dato che è il proprietario a cucinare, e gli ospiti siamo io e due coppiette. Al di fuori del mio target di interesse come età, non pensate sempre male, per cui non mi viene nemmeno voglia di socializzare.  Faccio tutte le mie cosine, che mi ero programmato i giorni scorsi, ma senza la frenesia per la quale se dovessi finire qualcosa prima non saprei che fare. Oggi, ad esempio, sono stato tutto il giorno a sciare, sempre da solo. Certo, ho fatto un sacco di chiacchiere con la gente che incontravo in funivia tutte le volte che risalivo, ma per lo più erano curiosi di sapere cosa fosse il "corno" che avevo montato sul casco. Per completezza, allego immagine qui sotto. Trattasi della prolunga per fare delle riprese con la GoPro, le quali mostreranno tutta la mia eroicità. O mediocrità. Non importa.
Oggi, come ieri, però non ho mai avuto la sensazione di essere solo, perché avevo sempre qualcosa a cui pensare. Nel momento in cui si trova un attimo di pace, per ragionare in maniera ampia sulle cose, le parole di conforto, le soluzioni ai problemi che ci attanagliano, prendono una forma diversa. È come se si sentissero i pensieri ad alta voce, e proprio come fare i conti è più facile se possiamo visualizzare i numeri su un foglio, si raggiungono numerose epifanie nel momento in cui si ha tempo di meditare. No, non sento le voci. Era per farvi capire lo stato meditativo.
Io penso decisamente troppo. Forse è anche perché ho troppo tempo per farlo, ma in questi giorni ho capito che lo faccio nel modo sbagliato, come qualcuno che davanti a una porta chiusa continua a ripetersi l'ovvietà di una serratura a lui contraria. Avere del tempo per sé, forse è la più grande vacanza che uno si possa prendere. Sto leggendo libri, facendo esperienze quelle che non mi uccidono, o meglio, per ora non mi hanno ancora ucciso, ma sento di essere me stesso al 100%, quasi con un livello di auto-consapevolezza maggiore.
Ieri sera, come avevo promesso e ho scritto, sono andato a vedere le stelle. Ho spaventato a morte il tipo che guida il gatto delle nevi la notte sulle piste che era venuto a farsi un goccetto prima di cominciare a lavorare, chissà perché le righe della pista erano tutte storte, perché mi ero messo seduto con la schiena al pozzo, per vedere meglio nel buio dove non era illuminato, e non mi ha visto fino a che non mi è passato a un metro, ma non voglio parlare di questo. Ha fatto un salto.. Dicevo, le stelle. Così belle, mi erano mancate così tanto, anche perché non le ho cercate per un sacco di tempo. Perché non ho mai alzato lo sguardo verso il cielo come ho fatto ieri, in questi ultimi anni. La pace che mi ha dato questa visione, l'idea che esistessero milioni di galassie fatte di gas che brucia milioni di chilometri di distanza grazie Pumba, mi avrebbe sicuramente aiutato durante alcune delle pagine buie di questa mia vita originale. Ero lì, a guardare in alto, con la bocca aperta, a cercare di capire se su questa terra fosse tutto troppo semplice o troppo complesso. Ma la risposta è qualcosa che voglio tenermi per me.
Se volete scoprirlo, venite qua anche voi.

L'autore è molto contento di aver trovato una chiusura ad effetto, cosa che gli riesce sempre difficile. Tuttavia, vuole informare il gentile lettore che non ha assolutamente nessun desiderio di invitarvi in questo posto, in quanto, quando ci vorrà tornare, non desidera certo trovarvi lì.

lunedì 28 dicembre 2015

E alla fine uscimmo a riveder le stelle

In questo momento mi trovo tra le nuvole.

Sì, non è un modo di dire, si tratta del posto dove sono realmente. Ma non sono su un aereo, né tanto meno in una fumeria d'oppio della Londra ottocentesca nonostante i miei baffi mi avrebbero garantito un accesso sicuro, ma sono in cima a una montagna. Ho trovato una bellissima sistemazione per qualche giorno, per ammazzare la noia tra le feste, uccidendo il tempo con un po' di aria buona, passeggiate e sci. Stranamente, come in tutti i miei racconti, pare che il tempo, che cerco di uccidere, provi a fare altrettanto con me, ponendo sul mio cammino, non sventure o terreni accidentati, ma quelle che molto spesso chiamo idee brillanti. Tipo quella che ho avuto oggi di non seguire il sentiero per il ritorno alla base dopo un'escursione, ma di procedere in linea retta fino al rifugio. Per mia fortuna mi ero portato dietro un coltello con cui sono riuscito a farmi largo nei passaggi più stretti del bosco, ma sono vivo, e questo è quello che conta. Approfitto per ringraziare Bear Grylls per avermi sostenuto con le sue trasmissioni, facendomi credere di essere un esperto di sopravvivenza. Se sono vivo devo esserlo per davvero.
Ma non voglio parlare di come sono scampato a morte certa e dolorosa, non anche stavolta, dato che è stato tutto registrato con la GoPro, voglio parlare di tecnologia. Sì, perché se penso alle mie giornate a casa, quando non c'è niente da fare, è un continuo rimbalzare di TV, computer, cellulare, streaming e ricomincia il giro. Ah, ogni tanto ci caccio dentro anche il blog, oppure un libro da leggere, ma sempre sul telefono. Insomma, sono sempre davanti ad uno schermo e la cosa non è giusta. Capirete quindi il mio disagio iniziale, quando qui, dove non prende bene e la batteria va risparmiata nel caso ci si perdesse nel bosco, mi sono trovato in una situazione non dissimile dagli anni 80. Elettronica ma non smartphone, quindi. Volete sapere come ho vinto la noia? Dormendo. Sono arrivato in cima alla montagna (Punta Regina, 2380 mt, 1100 di dislivello il 1 ora e mezza, scusate se è poco per uno fuori allenamento) e ho schiacciato una pennica in mezzo alla natura, e ho ricaricato le batterie. Ho scritto un po' e sono tornato giù, sopravvissuto, doccia e altra pennica. Ho provato a scrivere qualcosa sul blog ma proprio non mi veniva nulla. Ora sto aspettando che apra la cucina per andare a mangiare, il proprietario del BnB mi ha invitato con lui. Devo avergli fatto pena. Ma non volevo che questo pensiero andasse perduto. Che la giornata di oggi, vissuta come migliaia di altre giornate di miliardi di altre persone a cui non sono più abituato, andasse dimenticata.
C'è molto da fare se si alza lo sguardo dallo schermo. Io, dato che ce l'ho già in alto, stasera guarderò le stelle.
Che da qui si vedono per davvero.

martedì 22 dicembre 2015

Le parole che non ti ho detto

Rileggevo l'altro giorno un vecchio post, in cui parlavo dell'importanza di sapere, oppure non sapere le cose del nostro passato. E' curioso il modo con cui tramite i post, riesco ad avanzare all'interno del mio pensiero. Penso che sia un qualcosa che chiunque fa, eppure mi sembra sempre molto particolare. Tanto da doverlo denotare tutte le volte. In realtà, non sono del tutto sicuro che sia una cosa buona, sopratutto per il vecchio detto secondo cui, se scopri di essere dentro una buca, almeno smetti di scavare. Nello stesso modo probabilmente procedo io con i miei pensieri.
L'avanzamento di questo pensiero, all'interno delle mie quotidiane riflessioni, è tornato alla mia attenzione a causa di una discussione dell'altro giorno, in cui sostenevo insieme ad un amico di non riuscire a parlare chiaramente con una persona, in quanto ciò che avrei potuto dire sarebbe stato troppo da sopportare. In un certo senso cerco di trasformare sempre quello che penso per me, per i miei problemi, che sono confinati e ben noti, con quello che dovrei dire agli altri. In fondo un buon consigliere pensa sempre come si comporterebbe in una determinata condizione, dopodiché ragiona su come trasporre, traslare, e soprattutto tradurre, il tutto in un linguaggio intellegibile all'ascoltatore. Ciò che rende buono un consigliere, non è quindi la capacità di generare un pensiero positivo, ma è la proprietà di proiezione del proprio pensiero nei confronti di chi ci ascolta. Nel mio caso, quindi, non sono decisamente un buon consigliere. Non riuscendo a trasformare il mio pensiero personale in qualcosa di universale, mi trovo nella situazione di non poter dire ciò che penso. Qualcuno potrebbe obiettare che tutti siamo diversi, ognuno con i suoi problemi e le proprie esperienze, eppure penso che per un omologazione all'interno della vita umana, si possa considerare l'idea che ci siano delle somiglianze, anche se ognuno è fatto a modo suo. Determinate situazioni impongono vie d'uscita simili, anche se probabilmente non si potrà proporre la risposta facile e pronta ad ogni problema, si può provare almeno a fornire delle linee guida su come fare. La mia esperienza sarà sempre diversa da quella di qualcun altro, ma non sto parlando di me, sto parlando in generale, in quanto io sono fatto in una certa maniera prevalentemente sbagliata, credo.
La capacità di poter aiutare gli altri è molto importante come parte integrante delle nostre giornate, ci permette di sentirci utili. Una volta, parlando ad una mia cara amica, le dissi che a volte, fare qualcosa per gli altri è l'unica cosa che possiamo fare per noi stessi. Basti pensare che all'interno delle opere di misericordia della Chiesa, tra dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, c'è un importantissimo consigliare i dubbiosi.
Perché non importa sapere la risposta giusta per qualcosa che non può avere un'unica risposta giusta, a volte un consiglio basta per farci sentire meno soli, nelle scelte di questo mondo.

venerdì 18 dicembre 2015

Zitto e balla con me

Questa mattina mi sono svegliato contento.

Trovo che sia curioso che la maggior parte dei miei post comincino così. Anche un po' monotono e ripetitivo, a dirla tutta. Sarà che sono spesso allegro, oppure che mi succedono cose divertenti, ma è la verità. La mia vita improbabile è colorata da spunti di immaginazione che mi permettono di vedere tutto in un ottica diversa dalla semplice monotonia quotidiana. Un po' come se un marinaio in alto mare sorridesse tutte le volte che qualche pennuto sorvolasse l'imbarcazione. Non ci si lamenta della monotonia del mare, ci si stupisce dell'inaspettato.
Come dicevo, la mia immaginazione, che è una cosa bellissima da avere, mi fa viaggiare moltissimo, ma trova il suo apice di proiezione sulla realtà con la musica. La musica infatti, parte quotidiana della mia vita in tutte le sue forme, permette di immaginare, sognare e figurarsi scenari, così vividi che possono intaccare le nostre reali emozioni. Leggevo in questi giorni che Adele, una cantante professionista di altissimo livello, durante uno dei suoi ultimi concerti, si è messa a piangere mentre cantava una delle sue canzoni notoriamente tristi. Non ci ho trovato nulla di male, anzi, ho pensato che fosse una cosa normalissima. La musica ci porta in luoghi sconosciuti, ma spesso anche in posti conosciuti dove non vorremmo tornare. Non è un caso che quando si è innamorati, o meglio ancora quando ci si lascia si ha l'impressione che tutte le canzoni parlino della persona amata, e per la prima volta si ascoltano le parole, non solo la melodia. Ogni canzone racconta una storia, quindi è bello che viaggiando, si possa immaginare tutto quello che ci sia dietro questa. Avevo un amico che nella musica vedeva i colori: mi diceva frasi tipo "non senti questa canzone? È ovviamente arancione!" Ammetto di averlo sempre trovato un filo strano pure io, ma pare lo facesse pure Raffaello, e chi sono io per contraddire una delle Tartarughe Ninjia? Io non riesco a vedere i colori dalle canzoni, ma riesco a vedere storie, anche elaborate. Per questo mi piace montare i video al pc, per trovare sempre la musica perfetta per le immagini che scorrono.
E così torniamo a stamattina, perché mi sono svegliato con una canzone gioiosa, ovvero Shut Up and Dance with Me dei Walk The Moon. È molto meglio svegliarsi con la carica di energia di una canzone come questa specie se alle 6 di mattina, anche perché il testo è interessante. Ho immaginato un ragazzo timido che incontra una ragazza bellissima, che lo invita a ballare per vincere la sua timidezza, e lei diventa l'amore della sua vita. Molto commedia anni 90, forse ne ho viste troppe. È stato bello, quando la canzone è finita ero veramente contento per loro. Certo, si tratta di due persone che non conosco e soprattutto non esistono, però mi ha fatto sorridere. Se avessi avuto una ragazza sarei corso in mezzo alla strada per andare da lei con la sola forza delle gambe, per dichiararle tutto il mio amore o per "andarmela a riprendere". Credo sia principalmente per cose come queste che non ho una ragazza. In effetti spiega molte cose.
Insomma, il potere della musica è geniale. È bello avere una colonna sonora per ogni momento della giornata, dà più credito all'idea di essere i protagonisti di una storia molto interessante.
La nostra vita.

giovedì 17 dicembre 2015

My better is better

In questi giorni ho lavorato per 12 ore di fila, senza nemmeno fare la pausa pranzo.

Adesso qualcuno si arrabbierà non ho fatto la pausa pranzo l'ho fatto semplicemente perché altrimenti avrei dovuto lavorare 13 ore, non 12. Purtroppo questa settimana fa parte di quella settimana dell'anno terribile, in cui bisogna chiudere tutti i conti, visitare tutte le persone degna di nota, e cercare di essere gentile carino con tutti almeno fino all'inizio del 2016. No, non sto parlando della settimana di lavoro prima di Natale, ma proprio dell'unica settimana del'anno in cui anche io lavoro. Che lavativo. No, sto scherzando. Fino a un certo punto.
Ma come si affronta una giornata del genere? Come si comincia alle 5:30 del lunedì mattina per fare qualcosa tipo 350 chilometri ogni giorno con la macchina? Mi capitato spesso di pensarci, in queste lunghe giornate, a cosa mi desse la forza di uscire dal letto, ad un orario così mattiniero, e tornare così tardi che solo oggi pomeriggio ho visto casa mia illuminata dalla luce del giorno. In più, tutto per la prospettiva di una giornata così faticosa. Alla fine credo che si riduca tutto un semplice concetto di autostima. Io ne ho sicuramente troppa, e questo non sono sicuro che sia una vera e propria colpa. Mia madre, qualche anno fa, mi regalò un libro, il cui titolo era qualcosa su "pilastri dell'autostima". Scelsi deliberatamente di non leggerlo. Ma non per il contenuto, nemmeno per la copertina, perchè un libro non si giudica da fuori, si giudica dal numero di pagine, e quello ne aveva troppe. Certo, a volte me la credo troppo, e penso addirittura di essere di più di quanto sono in realtà.
Ma non è forse questo il segreto del successo? Spingersi oltre i propri limiti, ma soprattutto avere confidenza nei propri mezzi? Ho trattato questo argomento tante altre volte, ma secondo me è sempre bello ripeterlo. La confidenza in sé stessi deriva dalle proprie esperienze, dalla propria vita, e da tutto ciò che abbiamo provato, quindi anche le delusioni che ci sono capitate. Ieri mattina, guardandomi allo specchio, ho detto qualcosa di molto forte. Lo fanno fare a te perché sei il migliore. Sicuramente non è vero, questo penso sia evidente a tutti. Però, una frase detta alla mia immagine riflessa, che mi ha suonato in testa tutto il giorno, mi ha dato la forza di affrontare una delle giornate più difficili dell'anno e non ho avuto bisogno di chiedere aiuto a nient'altro, nemmeno all'energia del cibo, per arrivare fino in fondo. Non voglio fare una celebrazione di me stesso, per questo basta leggere una qualsiasi altra pagina del blog, voglio solo far notare come la capacità di credere in quello che si fa, nei propri mezzi, sia fondamentale per far pendere l'ago della bilancia verso il successo, e non verso il fallimento. In alcuni casi un "posso farcela" è più che sufficiente, invece in altri, di maggiore sforzo, è richiesto un "sono il migliore". Andare a parlare con una perfetta sconosciuta ma perchè finisco sempre a fare questi esempi? è un fallimento in partenza se non si crede nelle proprie potenzialità. Il leader, non è colui che non fa mai domande o che dà ordini, è colui che infonde sicurezza negli altri perché ha fiducia in se stesso. Non dubita le proprie decisioni perché ne accetta le conseguenze. Riprendendo un concetto già espresso, è coraggioso.
Tutti noi siamo pieni di difetti, imperfezioni e falle che ci rendono fantastici agli occhi di chi ci ama. E nel momento in cui qualcuno ci ama per le nostre imperfezioni, anche noi dobbiamo fare lo stesso. Perché, in fondo, amare se stessi è il primo passo per permettere agli altri di fare lo stesso.

lunedì 14 dicembre 2015

La solitudine dei numeri primi

Come sta in questo momento Holly Holm?

Penso che questa domanda, con cui comincio questa riflessione, necessiti una spiegazione, almeno per in non addetti ai lavori. Sono un grande appassionato di sport in tutte le sue forme atletiche, per cui spesso sconfino, nel mio interesse, anche al di fuori delle normali discipline mainstream, fino ad arrivare alla conoscenza  piuttosto blanda, lo ammetto di sport quali boxe, pugilato e arti marziali in genere. Alcuni di voi,  i più sensibili, obietteranno che picchiarsi non è considerabile uno "sport", ma bisogna vederne il lato romantico della cosa. Sì, parlo di romanticismo con i pugni. Pensate solamente all'impegno, la dedizione che  gli atleti ci mettono nell'allenarsi, avere un obiettivo, dedicare la propria vita, come una missione, alla realizzazione di un risultato. Non è settemplice colpire più forte degli altri, è mettersi in gioco con tutti se stessi, dimostrare che io, persona, sono più forte di te. Non che questa volta sono stato più fortunato. 
Gli appassionati di questo genere i sport, sapranno sicuramente che il mese scorso c'è stato un incontro importante per la conquista del titolo UFC tra Ronda Rousey e Holly Holm. Non pretendo che chi legge qui si intenda di MMA (mixed matrtial arts, quelli che si picchiano nelle gabbie, per intenderci), specialmente quelli che leggono giornali di bassissimo livello ad esempio quelli stampati su carta rosa, non se ne sono neanche accorti, non fosse che ultimamente questa Ronda Rousey è diventata abbastanza famosa. Per le sue doti atletiche o per la medaglia d'argento nel judo ottenuta alle olimpiadi forse? Assolutamente no, perché è carina. Per gli estimatori del genere, ovviamente. Ha fatto un mezzo calendario e la gente ha cominciato a parlarne, ed essere interessati allo sport. Non faccio lo stinco di santo, anche io mi sono interessato perché è carina, ma non è questo il punto. Campionessa imbattuta per 12 incontri di fila, si è deciso di organizzare un incontro con un'altra campionessa imbattuta per 8 incontri, per il titolo e la cintura. 
L'incontro è finito dopo poco. La  beniamina di tutti, Ronda, una macchina da guerra che tutti credevano imbattibile, è stata allontanata con un diretto al volto, giusto per metterla in traiettoria del piede sinistro delle Holm, che l'ha mandata al tappeto con un calcio in pieno volto. Bum. Incontro finito.
La Rousey, campionessa navigata, ha recentemente raccontato in un'intervista che, sebbene non abbia riportato fratture al volto, non riesce a parlare bene, oltre che mangiare nemmeno una mela dopo più di un mese. Tutti si sono preoccupati per lei, a ragion veduta: l'eroe caduto lascia tutti stupefatti. Il dio ferito apre un mondo di possibilità, e le cose per lei non saranno mai più come prima, quando era la migliore di tutti. Un curriculum invidiabile, macchiato in maniera indelebile. Certo, magari rimarrà l'unica sconfitta, ma ci sarà sempre. Ma la domanda dell'inizio mi ritorna in mente.
Sì, perché si pensa sempre, per umiltà o pietà, a chi perde. Chi invece ha dimostrato di essere più forte di quanto si pensasse come sta? Come ci si sente ad avere raggiunto un obiettivo che si credeva troppo lontano per chiunque, ad avere ancora forza di correre dopo il traguardo? Immagino che si senta quella sensazione da tutto qui? L'idea di avere perseguito i propri obiettivi, non è solamente pareggiata dalle aspettative positive che si avevano, ma implementata dai dubbi che si nutrivano in merito prima che se ne potesse prendere parte. L'idea di avercela fatta è una sensazione bellissima, completamente diversa da come ce la si potrebbe aspettare. Anche per il fatto che le attenzioni di tutti, in questo momento, sono altrove.
Ci si sente anche soli, lassù in cima, a volte, ma fa parte dei sacrifici affrontati per arrivare fino a lì. Ma non si può faticare tanto per poi rimpiangere di aver centrato l'obiettivo. Perché sarebbe un vivere in azioni che appartengono al passato, e quindi come dico sempre sbagliate. Bisogna considerare tutto come il punto di partenza. Cara Holly, insomma, non ti preoccupare se l'atteggiamento della gente è cambiato nei tuoi confronti da quando sei passata da sfidante a campionessa. Il bello deve ancora venire.
Non bisogna mai dimenticare l'atteggiamento che si aveva quando eravamo degli sfidanti, perché è questo che ci rende dei campioni. Nella vita come sul ring.


mercoledì 9 dicembre 2015

La teoria della Bruschetta

Cari amici,
già immagino i vostri commenti al post dell'altro giorno. "Perchè ci chiama amici? Noi non ti conosciamo". No, non quelli, ma tutte le vostre considerazioni in merito alla mia connessione superveloce installata nella mia supercasa. Bene, è con grande piacere che ho l'onore di comunicarvi che in questo momento vi sto scrivendo sotto l'ausilio di una potentissima rete Wireless! Lo so, massima gioia per tutti, anche se devo dire che trovo strano che a casa mia la rete appena installata si chiami Fast-qualcosa, quando io avevo sottoscritto un contratto con Voda-qualcosa. Forse sarà per il fatto che il tecnico Tele-qualcosa ha avuto la cortesia di non presentarsi all'appuntamento senza nemmeno avvisare, per altro, quindi non sto scrivendo da casa ma nuovamente dalla wifi dell'ufficio. Pazienza. Ci vuole calma nella vita, ma non abbastanza da arrivare a non pretendere niente dagli altri, che è sbagliato. Significherebbe non avere fiducia nel prossimo, ma non voglio parlare di questo.
Ieri sera ero a cena in un ristorante. Mi piace sempre uscire a cena la sera, specie se si tratta di lavoro. Sfortunatamente, non creo mai degli eventi mondani a casa mia che implichino l'uso della cravatta sono strano, ma non così tanto quindi è piacevole, di tanto in tanto, andare a una cena vestito bene. Questo comporta soprattutto il doversi comportare di conseguenza, con le buone maniere che mi sono state insegnate, e mi sono costate innumerevoli sgridate da pare dei miei. Come tenere i gomiti, le mani, le posate, il timing del mangiare, quando aspettare e quando darci dentro come uno che ha attraversato il deserto con i ranger alle calcagna. Ma c'è sempre un momento che divide, in queste cene importanti, perché non so mai come comportarmi. Il bon ton insegna che una buona preparazione dei piatti non comporta mai l'indecisione sul comportamento da tenere, ad esempio deve essere sempre palese se mangiare con le mani o con le posate. Sembra una scemenza, ma è così, motivo per cui alle cene di gala non viene mai servita la frutta, proprio per questa fatale indecisione. Il momento clou dell'indecisione è proprio agli antipasti, con la Bruschetta.
Sì, perché la bruschetta è tanto buona quanto traditrice. Il pane perfettamente tostato, passa da una condizione malleabile a una fragile, anaelastica. Il pomodoro in superficie invece, quanto più è buono e succoso, tanto più riesce ad ammorbidire un solo lato del pane. La condizione isotropica del pane (non ci sono punti di rottura preferenziali) dovuti alla tostatura, unita all'instabilità strutturale portata dal pomodoro, implica la situazione in cui appena si addenta la bruschetta, questa si rompa. Con le conseguenze che il pomodoro cade nel piatto nel migliore dei casi o sui calzoni molto più probabile. Capita anche che cada nel palmo della mano che sta reggendo il pane, con quella strana sensazione di fresco che si prova a causa del pomodoro bagnato.
Il motivo per cui voglio parlare di questo, è perché l'approccio che sia la bruschetta, spesso è ben esemplificativo di come si affrontano i problemi. Mi spiego meglio, se ci fate caso, ci sono persone che la bruschetta la studiano un po' prima di mangiarla, dopodiché la addentano, senza però attaccare con violenza, nella speranza che si rompa esattamente dove ci sono i denti, quindi che non vada niente al di fuori del loro controllo. Questo raramente succede, anche per l'approccio indeciso che si ha. È un comportamento in cui l'approccio non è perfettamente deciso al problema, quindi difficilmente porta dei risultati. Altre persone invece addentrano con forza la bruschetta cercando di forzare il punto di rottura con le proprie capacità. Questo è un approccio deciso ai problemi, in cui si cerca di essere artefici delle proprie decisioni, in modo da limitare il più possibile le conseguenze. Questo, seppur un approccio condivisibilmente deciso,  non è garanzia di ottimo risultato. Infine, degno di nota in mezzo a tanti altri, c'è un terzo caso: quelli che la bruschetta non la mangiano perché gli è già capitato che gli si rompesse in mano, e vogliono evitare ulteriori brutte figure. Questi sono quelli che hanno paura di sbagliare, a tal punto di non riuscire a prendere una decisione.
Non voglio stare a parlare di quale sia l'approccio giusto, voglio solo mettere il punto su una cosa. La bruschetta non è che l'antipasto, se ci si comincia a fare dei problemi su questo, probabilmente bisognerebbe riconsiderare tutta la cena.
Detto questo, voglio augurare a tutti un buon weekend.
Be brave.
Per la cronaca, a me ieri sera il pomodoro è caduto sui calzoni. Li laverò.

Una connessione impegnativa

Sembrava impossibile, ma ce l'ho fatta.

Stamattina mi ritrovo a casa perché sta per arrivare il tecnico che, finalmente, mi dovrebbe installare la rete ADSL in casa. Il che è una grande vittoria per tutto il team io, il mio ego e le altre varie personalità che abitano la casa, in quanto finalmente potrò fare tutto quello che prima mi era proibito, quale installare aggiornamenti nei vari dispositivi di casa e anche tutte quelle cose che facevo esattamente allo stesso modo con la rete mobile fino ad ora. Detto così non sembra un gran affare. Mi fa abbastanza senso questa cosa, perché sottoscrivere un contratto internet fisso è prendersi un impegno, e per questo avevo evitato, fino ad ora, di farlo. Scegliere di legarsi a una compagnia telefonica per 24 mesi, nel mio caso, significa essere più o meno sicuri di rimanere in questa casa per i prossimi due anni. Capirete che per me, che il mio continuum-spazio temporale si ferma a sabato prossimo, non dico l'anno prossimo, possa essere un grosso impegno. Ma è uno di quei rischi che vanno corsi, come dicevo nel post di lunedì. Non ho una prospettiva a lungo termine, ma se non si comincia da qualche parte, non si inizia mai.
In questo ultimi giorni di attesa ho avuto modo di pensare a lungo al concetto di impegnarsi in qualcosa di così longevo, essendo stato un weekend lungo e meditativo. Ho infatti passato buona parte di questo ponte ragionando, nella pace dei sensi, sulla mia vita. E per meditativo intendo dire che ho dormito come una pietra in fondo al mare, a spanne direi negli ultimi 3 giorni la bellezza di 40 ore. Ma dicevamo, la disponibilità ad impegnarsi.
Impegnarsi in qualcosa di grande è importante, perché ci permette di fare qualcosa di grande, ci permette di raggiungere risultati che stupirebbero noi stessi, e quindi a volte vale la pena di correre un rischio. In fondo è questo che fanno gli imprenditori, che sono coloro che mettono a rischio il loro stesso capitale a fronte di un risultato altrimenti irraggiungibile. Non è chi prende la strada più facile, che permette di arrivare prima in alto, anche se quest'ultima espressione è vera. Anzi, l'imprenditore è colui che prende le scale al posto della scala mobile, confidando che le proprie gambe gli permettano di arrivare in cima prima di quelli che stanno immobili a non fare fatica sul sistema automatico. Nessuno vi dirà mai, vantandosi, che è riuscito a salire fino in cima di un palazzo facendo usando solo le scale mobili o gli ascensori, così sono buoni tutti.
Il mio impegno di quest'anno è stato quello di aprire un blog. Sapevo che sarebbe stata dura, perché ci sono stati un sacco di giorni in cui non sapevo cosa scrivere o avrei fatto meglio a non scrivere, ma è stato bello. Questo è il mio post numero 100, e fa un sacco di piacere arrivare a un numero così considerevole, sapendo che è aperto malapena da Marzo 2015. Significa che avevo un sacco di cose da dire, oltre che, se le visite continuano ad aumentare, che la gente apprezza quello che faccio. Sarebbe stato molto più facile non fare niente, e starmene sul divano con quell'aria meditativa che contraddistingue le mucche quando dormono, eppure mi sono impegnato, e ora posso godere dei risultati del mio lavoro. E anche se non ho portato in salvo l'antico vaso con un aereo e 3 amici ubriachi di Amaro Montenegro, posso dirlo.
Sembrava impossibile, ma ce l'ho fatta.

lunedì 7 dicembre 2015

La paura e il coraggio

Che cos’è il coraggio?

Una vecchia storia che ci raccontavamo ai tempi del liceo dice che una volta un professore di italiano diede questa domanda come tema ai suoi alunni, da sviluppare per fagli capire meglio come la pensassero, mediante un tema descrittivo. Uno degli alunni, preso il foglio, ci scrisse sopra una sola frase, e lo consegnò al professore. Sulla pagina bianca c’era scritto solamente “il coraggio è fare questo”.
La leggenda dice che lo studente fu premiato con un 10 nel suo tema, apparentemente coraggioso. La cosa bella di storie come queste, che assolutamente non hanno niente di veritiero e sono assolutamente scorrelate con quello che vogliono esemplificare, è la capacità di concentrarsi su un unico punto, la cosa per cui l’esempio sarebbe calzante. Si potrebbe obiettare che il coraggio non si limita ad un’azione di forza, ad un singolo momento, ma sarebbe limitativo pure questo. Consegnare un foglio bianco è da spacconi, non certo da coraggiosi. Allora come si può dare un esempio realistico di un’azione che ci rimandi al coraggio? Da qui sono partito facendomi questa domanda, perché essere coraggiosi è una caratteristica a cui tutti ambiamo, anche perché, diciamocelo, è una delle migliori. Coraggiosi sono gli eroi delle storie che hanno infiammato la nostra fantasia da bambini, coraggiosi sono gli atleti e le persone del mondo che hanno modellato la nostra giovane concezione di adulti e poi coraggiose sono state le persone che come noi affrontano ogni giorno e ammiriamo. Non è qualcosa che si può valutare, solamente se ne possono vedere gli effetti, un po’ come a dire che non esiste un modo di dire “molto coraggioso”. La migliore definizione di coraggio che riesco a dare è avere al consapevolezza delle proprie azioni. Ma questo necessita delle spiegazioni, perché è legato in maniera vincolante al concetto di paura.
Tutti abbiamo presenti i cavalieri, gli eroi delle favole: essi sono consapevoli della loro forza e dal loro coraggio deriva l’assenza di paura. Senza macchia e senza paura, si diceva una volta. Crescendo abbiamo capito che però non esiste possibilità di non provare paura, e in certi casi è anche un bene averla. La paura ti permette di evitare di prendere alla leggera le questioni che riteniamo importanti, quindi in un certo senso ci fa stare sull’attenti. La paura è qualcosa di buono, in fondo, che cerca di preservarci . Ma proprio come un frigo che congela gli alimenti, la paura ci mantiene bloccati dove siamo, senza la possibilità di muoverci, di agire, di essere umani. È qui che entra in gioco il coraggio. Il coraggio è la consapevolezza delle proprie azioni oltre la paura. Perché quest’ultima ci sarà sempre, e cercherà sempre di fermarci. Ma il coraggioso non è colui che non bada alla paura in qualsiasi cosa, quello è il temerario, o peggio, lo sprovveduto, ma è colui che, con consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie potenzialità, quindi anche della paura e dei rischi, non lascia che qualcosa lo freni dal perseguire i suoi obiettivi. Coraggioso è chi si lancia, senza la paura di cadere, come un uccello che non ha paura che si rompa il ramo sopra cui si sta riposando. Non perché è sicuro del legno che lo sostiene, ma perché ha fiducia nelle sue ali. La paura ci sarà sempre, in tutto quello che faremo, bisogna solo avere la capacità di vedere oltre. Quasi come se fosse una scommessa, in cui quello che possiamo guadagnare è molto più di ciò che potremmo perdere.
Per cui la domanda che ci dobbiamo porre ogni mattina, guardandoci nello specchio, non dovrebbe essere se siamo coraggiosi, ma se in questo giorno che sta iniziando ci lasceremo battere dalla paura. La paura di vivere per davvero. 

venerdì 4 dicembre 2015

Il bue nella nebbia

Lentamente, ma ci siamo arrivati.

Ogni anno si ripropone la stessa storia. Finalmente, tra l'altro, è arrivata anche la nebbia in città, che potrà essere brutta e triste fin che si vuole, e oscurare il bel tempo che invece splende in altre parti del Belpaese, ma fa molto inverno. Poi per me, ragazzo di pianura, dà una sensazione di pace indescrivibile quindi non ci provo nemmeno. La sera, quando vado a correre al buio al parco con la nebbia, senza vedere a più di 10 metri di distanza, non si ha la sensazione di di non vedere dove si sta andando, anche se è vero, ma è come essere avvolti da una barriera protettiva, quella sensazione di stare dentro una bolla. Certo, non è proprio il massimo della sicurezza, se qualcuno arrivasse con una pistola oppure un coltello non lo vedrei fino a che non me l'avesse puntato contro. Non sono del tutto sicuro di aver aggiustato bene il congiuntivo di questa frase, nel caso fatemi sapere. Ma in fondo è anche questa la magia della nebbia. Di conseguenza, oltre la nebbia, arriverà anche la magia del Natale, che è come l'alcool, inebriante e gioioso, ma lo sento sempre di meno. Casa mia, oltre essere nel gelo più totale oramai mi sono acclimatato a 16 gradi e canto la colonna sonora di Frozen, il resto è lusso, non è minimamente addobbata per il natale, anche se mio fratello sostiene che da qualche parte io nasconda un bue e un asinello. Veri. Non ci sono mai a casa, quindi non ho molto tempo per pulire. Anche se il bue e l'asinello nel presepe c'erano per scaldare, quindi non sarebbe una cattiva idea averceli veramente. Tra l'altro sarebbe anche sicuro perchè i buoi, come le mucche, possono salire le scale ma non scenderle vi sfido a provare il contrario, quindi non riuscirebbe nemmeno a uscire da solo. L'autore si scusa moltissimo di questa digressione, ma sta veramente cercando online dove reperire un bue.
Siamo arrivati in questo periodo dell'anno, tempo di tirare le somme quindi è doveroso, oltre che divertente, fare un resoconto di tutto quello che è successo quest'anno. E sicuramente è stato un anno ampiamente soddisfacente, con un sacco di cose belle che sono successe, sono anche riuscito a non fare cose troppo stupide e non uccidermi, che è un successo senza paragoni, ma si ha sempre più spesso la sensazione che il tempo voli via velocemente, senza nessuna capacità di controllarlo. Quest'anno è passato con una rapidità impressionante, ho fatto tantissime cose, ma ce ne sono state tante altre che avrei voluto fare, mi riservo per i buoni propositi del 2016. Che in realtà sarebbero quelli del 2015, che avevo pensato nel 2014, e mi ero ripromesso di fare nel 2013. Proprio nel pieno stile di chi impara dai propri errori. Vero, si potrebbe dire che l'anno non è ancora finito e che siamo solamente all'inizio dell'ultimo mese, eppure pensando alla velocità con cui può  passare il tempo, e anche il caso di cominciare a pensare velocemente alla fine, perché sarà finito prima che ce ne accorgeremo. E a cosa fare per capodanno, ponendo la classica domanda, così, per generare un po' di scompiglio. Io fortunatamente non so se ci arriverò a capodanno, essendo successivo alla mia vacanza introspettiva e meditativa sulla neve. Che in realtà sarà una continua ricerca della ripresa perfetta con la GoPro. Come Schumacher. Mi troverò qualcosa da fare per festeggiare nel migliore dei modi un anno che comincerà sulla scia di una stagione fantastica. E mi basta pensare che il 2016 potrebbe essere come il 2015 per essere contento.
Intanto però godiamoci questi giorni di limbo, in cui tutto è magico. Sarà la magia del Natale?

domenica 29 novembre 2015

Senza parole

Lo so, sono un somaro.

Non occorre che me lo diciate nei commenti, nei messaggi o a voce, per chi ha la fortuna/sfortuna di poterlo dire guardandomi in faccia. Non ho scritto per più di una settimana, ma avevo le mie motivazioni. Mettiamoci anche che, rileggendo vecchi scritti di più di un anno fa, mi sono reso conto che all'epoca scrivevo molto meglio, per di più di cose molto più interessanti. Così mi è venuto il cosiddetto blocco dello scrittore. Non avevo molto da dire. O almeno, ero stufo di dire sempre le stesse cose. Se si mangiano tutti i giorni gli stessi cereali a colazione, per quanto buoni che siano, ogni tanto viene voglia di cambiare, di prendersi una pausa. Non avevo voglia di continuare ad apparire in pubblico raggiante, la miglior versione di me stesso, per poi essere, nel lato più intimo, triste. Chi mi conosce non se ne capacitava, a tal punto di non capire dove stesse la finzione, se nella gioia o nel dolore.
La verità è presto detta. Recentemente ho dovuto affrontare la fine una relazione sentimentale che non è andata come avrei sperato. Non voglio spiegare il come o il perché, anche perché, ad essere sincero, non l'ho capito bene neppure io. Ma la cosa ha colpito nel profondo, quindi questo spero basti per giustificare gli ultimi interventi molto cupi. Ma allora dove sta tutto l'ottimismo che tanto predico? Dove si trova la forza che ognuno di noi ha dentro per andare avanti, fronteggiando qualsiasi avversità di cui parlo nei miei interventi? Pensavo di avere perso queste cose. Ho pensato anche che se le cose belle succedono alle persone buone, allora io non ero una persona buona. Avevo perso la speranza, mi sono lasciato andare nello sconforto.
Poi mi sono accorto di una cosa. Che non potevo stare nel silenzio. Perché la voce è la mia arma, che come una spada sguainata può difendere tutti quelli che hanno bisogno, me compreso, di essere rassicurati, confortati, protetti. Dovevo fare un passo avanti io, per primo, e dire che non può piovere per sempre. Che, citando un famoso pilota di moto, bisogna "smettere di piangere, oppure smettere di correre". Le due cose assieme non si possono fare. Non si può vivere la propria vita per intero se la testa è ancora altrove, se il nostro pensiero è ancora rivolto a qualcuno o qualcosa che non è di interesse per noi. Questo è vivere la vita in maniera passiva, e non voglio, ne non voglio per chi legge, lasciare scivolare tra le dita come sabbia ogni singola esperienza che ci viene offerta. Voglio vivere con l'entusiasmo di chi si stupisce ancora dell'arcobaleno, di chi sorride vedendo un bambino, di quelli per cui una porta chiusa è solo un invito a definirsi in altro modo.
Oggi, in questo martedì soleggiato, primo giorno di dicembre, non lascio che niente mi abbatta. Sono troppo forte perché qualcosa mi scalfisca, e il sole davanti a me è troppo grande e bello perché possa dedicare il mio tempo a commiserare i miei errori. Ci sono così tante cose che non so, che voglio scoprire, cose più grandi di me che mi aspettano sotto questo cielo, sotto quel sole. Che il mondo e i suoi problemi diventano molto più piccoli se solo sali in cima ad un albero.
Che va bene così.
Senza parole.

Ndr. L'autore non è veramente salito su di un albero, anche se promette che farà qualcosa di molto stupido prossimamente, che verrà descritto in maniera ampia e dettagliata su questo blog.

lunedì 23 novembre 2015

La dura vita del blogger

Oggi è un lunedì di novembre.
Lo so che la frase sembra scontata, però se ci fate caso, col meteo che c'è stato fino ad adesso, non era ancora capitato un giorno così. L'estate si era prolungata fino a questo weekend, quando finalmente, eccezione fatta per me che continuo a tenere i termosifoni spenti quindi soffro un po' la cosa, ha cominciato a fare freddo. Fuori ci sono 4 gradi, il tempo qua è molto grigio, e si sente qualcuno venire da fuori città, o dalle montagne, dicendo che sta nevicando. Manca un mese a Natale, tutti i negozi hanno già le decorazioni fuori, ma non si sente ancora minimamente quello spirito natalizio che negli anni avvenire che significa passati, vero? contraddistinto il mese di dicembre. È una di quelle tipiche giornate uggiose in cui non succede mai niente, e a causa della pioggia caduta, lavora molto di più l'ESP della mia macchina rispetto al mio cervello in effetti, magari dovrei far ragionare di più il mio cervello e prendere le curve leggermente più piano e non tutte di traverso, ma almeno non mi annoio per cui non mi stupisco quando mi succede di soffermarmi tanto su un pensiero semplice. Magari anche inutile, come ad esempio stupirmi del fatto che la targa davanti di una macchina sia considerevolmente più piccola di quella di dietro. Cioè, ci avevate mai fatto caso? Non so se avete mai staccato due targhe ok non voglio cominciare questo discorso anche con voi, per cui taglierò corto e passerò direttamente al punto.
Tutto questo mi fa pensare a tante cose, e i pensieri spesso si ingigantiscono. Ieri ho avuto la fortuna, anche se per certi versi può essere considerato una sfortuna, di parlare con una persona che mi conosce abbastanza bene, la quale ha cominciato a criticare il mio operato nel blog. Già qui si vede la fallacità del suo intervento, dato che questo blog è universalmente riconosciuto come saggio e veritiero, però devo dire che ha toccato un nervo scoperto, che non era mai entrato in contatto con niente. Aprendo un blog sapevo che prima o poi, per esperienze di altri blogger che avevo sentito, qualcuno mi avrebbe fatto notare tramite commenti qualcosa che non piace. Questo può succedere per un fraintendimento, oppure per una diversità di pensiero del lettore rispetto all'autore del post. Ma sta di fatto che molto spesso quando questo succede, l'autore del post ci può rimanere male, e questo è anche uno dei motivi per cui i blogger notoriamente sono molto egocentrici, si interessano poco di quello che dicono gli altri, a tal punto da non prendere in considerazione i commenti negativi che gli arrivano. Io non sono per niente egocentrico invece.
Alla fine, altrimenti, che senso avrebbe scrivere in pubblico se non è per comunicare qualcosa? È molto importante ricevere un feedback dalle persone che leggono, per questo a chiunque mi parli di questa pagina suggerisco sempre di lasciare commenti, di lasciare un parere, in maniera tale che anch'io possa imparare dell'esperienza altrui, non solo i lettori dalle mie incredibili disavventure. Voglio solamente dire che aver ricevuto quel commento lì, mi ha fatto capire tante cose. Mi ha dato più spunti su come scrivere, cercando di capire tutti i punti di vista. Se l'avessi semplicemente ignorato, avrei continuato a scrivere nel solito modo, e invece oggi, quando mi sono messo a dettare questo post, l'ho iniziato con uno spirito completamente diverso. Anche se non mi stancherò mai di dirlo, è molto importante ascoltare gli altri e quello che ci possono dire. Soprattutto quelli che dicono qualcosa di diverso da ciò che pensiamo.
Adesso però vado, perché ha smesso di piovere e voglio andare a fare delle sgommate con la macchina prima che si asciughi l'asfalto.

mercoledì 18 novembre 2015

Questione di naso

Oggi voglio parlare di qualcosa che non si può esprimere.
Ah, quanto adoro mettermi nei guai già dall'inizio del post con frasi come questa. Sì, perché è un po' che mi passa l'idea di scrivere di questo e penso sia arrivato il momento di farlo. Oggi voglio parlare degli odori. Ovviamente capite perfettamente che è un qualcosa di irriproducibile, un odore, e quindi non può essere simulato in nessuna maniera produzioni industriali escluse. Molto spesso ci capita di sentire odori unici, odori che immediatamente colleghiamo a persone, cose o esperienze. Non necessariamente sono denotate in maniera positiva, ovviamente, una puzza ci può far venire in mente vecchi ricordi di cose disgustose ad esempio, ma per quanto ci si sforzi, è un qualcosa che è praticamente impossibile descrivere, anche con le parole. Si possono fare solo delle similitudini con qualcosa di noto, ma neanche così ci si avvicina alla grandezza e l'impatto sensoriale che ha un profumo.
Nella mia vita passata, vista questa attenzione agli odori, devo essere stato un cane ovviamente un bravo cane, di quelli grandi e un po' stupidi, perché nel momento in cui sento un odore non me lo dimentico più. A tal punto che collego gli odori e i profumi alle persone. Capita quindi che incroci mentre passeggio, esempio puramente casuale, qualche bella ragazza il cui profumo è lo stesso utilizzato da qualche mia conoscenza ovviamente femminile. Questo rievoca in me ricordi, sensazioni visive e tattili provate in compagnia di questa persona, insomma, profumo piacevole vuol dire spesso piacevole ricordo. Ora non vi sto a dire che se mi metteste in una stanza, bendato, con tutte le mie ex le saprei riconoscere dal profumo, anche perché io bendato in una stanza con le mie ex finirebbe che verrei randellato nel giro di pochi secondi dopo aver varcato la porta, ma che ogni profumo è unico. Unicamente indescrivibile. È bello che ci sia qualcosa di così semplice legato a così tante sensazioni, eppure l'olfatto è il più trascurato dei 5 sensi. Se ci pensiamo, rispetto vista/udito/tatto/gusto è quello di cui, dovendo proprio scegliere, si può fare anche a meno. Eppure l'olfatto ci regala sensazioni, emozioni e momenti che non possono essere descritti in nessun altra maniera. Un po' come cercare di spiegare la sensazione di toccare qualcosa di caldo senza il tatto.
L'olfatto ti regala il ricordo, passando di fianco ad una perfetta sconosciuta, di qualcosa di bello.

Martini, gin e ricordi

A volte fa bene guardare le cose da una nuova prospettiva, anche se siamo noi stessi a raccontarla.

Ieri sera ho avuto la fortuna di poter rincontrare una mia vecchia amica, che, paradossalmente anche se vive nella mia stessa città, non vedevo da più di un anno. È stata un'occasione per incontrarsi con una persona con cui in passato durante l'università avevo avuto grande confidenza, per cui ha voluto sapere tutto di me, e di come avessi passato quest'ultimo anno anno. La cosa bella della serata, oltre al posto molto trendy meneghino dove siamo andati a berci un Martini da bravo viveur devo conoscere i posti três chic, è stato il fatto che ho potuto raccontare, dando peso a ciò che ne ha, a che cosa sia successo in questi ultimi 12 mesi vissuti in fretta e furia, passati veramente in un lampo.
Ho avuto modo di ripercorrere le mie gesta leggendarie, delle quali vado fiero, ovviamente non di tutte, il che è qualcosa che aiuta sempre a fare il punto della situazione. Ultimamente, come si può notare dai post sul blog, non sono stato troppo allegro ma dai?. Eppure ieri sera, quando sono tornato a casa, ero molto contento. Questo è facilmente spiegato dal fatto che, guardando la ricapitolazione di quello che è successo negli ultimi 12 mesi, ho vissuto, sperimentato, amato, ma sempre con la caratteristica fondamentale, ovvero essere fedele a me stesso. Non ho nulla da recriminare di tutto quello che sia successo, e certi episodi sono stati talmente belli da raccontare che mi hanno fatto tornare il buonumore. Abbiamo riso per ore delle mie conquiste improbabili, di situazioni imbarazzanti in cui mi sono trovato, uscendone generando ancora più imbarazzo, del mio scarso spirito di autocoservazione e ci siamo divertiti come matti per tutta la sera coi miei racconti che è sempre meglio non divulgare troppo. Il ricordo che porterò di questa sera, la cosa bella è stato confrontare tutto questo con una persona che mi ha conosciuto quasi 10 anni fa, quindi che può apprezzare il mio cambiamento. Da timido ragazzo che pensava solo all'università a qualcuno che ha fatto del mondo e quindi della gente che ci vive la sua casa. Abbiamo ripensato a quando eravamo ragazzi, appena usciti dal liceo, e di come le nostre convinzioni e priorità fossero frutto solo di quello che avevamo sentito dire, mentre ora sono dettate dall'esperienza.
Anche se mi lamento delle mie quotidiane miserie, devo considerarmi un privilegiato. La vita è qualcosa di meraviglioso, e solo alle persone disponibili capitano cose incredibili. L'anno non è ancora finito, ma l'idea di cominciare a tirare le somme è abbastanza interessante.
Quest'anno è stato qualcosa di fantastico, per cui non mi pento di dire che rifarei volentieri tutto da capo. Cose belle, brutte, situazioni imbarazzanti soprattutto. Ma invece di vivere nel passato mi piace anche l'idea di continuare dal punto dove sono. Perché la storia più divertente che vi posso raccontare è sempre la prossima.

martedì 17 novembre 2015

Non sei di nessun aiuto

Ultimamente ho un sacco di tempo per meditare.
Sarà che ho molto più tempo libero, oltre che non c'è nessuno a casa ad aspettarmi quando torno, che, diciamocelo, formano assieme un'accopiata diabolicamente micidiale. Anche l'altra sera, tornando a casa, delle due strade possibili, ho scelto quella con più coda. Tanto non ho nulla da fare, mi sono detto. Così, come anticipato, penso. Oggi voglio condividere il pensiero riguardante l'aiuto che noi, esseri fallaci inadatti a giudicare, possiamo fornire ai nostri simili. Perché la domanda sulla motivazione per cui farlo è sempre non così scontata.
Perché aiutiamo gli altri?
Lo facciamo per un tornaconto personale, perché vogliamo farli raggiungere risultati autonomamente irraggiungibili oppure lo facciamo per noi? Penso che queste tre possibilità possano categorizzare i tipi di aiuti che si possono fornire, per cui scendiamo più a fondo, nel dettaglio.
Il primo tipo è un aiuto che non sempre è falso, ma si tende a pensare che lo sia. Può arrivare dalle persone che non ci conoscono bene, e segue l'antica regola del baratto. Lo faccio perché tu l'hai fatto, o lo farai per me. Non c'è nulla di male, spesso è una forma di gratitudine, anche se, come molte cose buone di dubbia provenienza, finisce per essere solo una moneta di scambio. Non è un qualcosa di cattivo di per sè, solamente non deve diventare l'abitudine. Un aiuto disinteressato, infatti, è sempre molto più apprezzato e sincero di quanto possa essere un tornaconto personale.
La seconda interpretazione è la più umana. È tipica delle persone che credono negli altri, ma avendo una visione realistica del mondo, si conosce la limitatezza delle persone. Si cerca quindi di aiutare qualcuno che da solo non ce la fa, ma non perché sia stupido o altro, bensì perché come ben sappiamo, molto spesso uno più uno fa più di due. Poter essere aiutati, sopportati e supportati da qualcuno rende più leggero il nostro viaggio, più piacevoli le nostre fatiche, più condivisibili i nostri timori.
La terza interpretazione, è quella che personalmente apprezzo di più. È quella in cui si aiuta qualcuno per aiutare se stessi. L'importanza di sentirsi utili viene troppo spesso trascurata, ed è parte integrante della nostra vita. Aiutare gli altri ci fa stare meglio, anche se noi stessi non siamo perfetti, proprio perché in un mondo di malati ci si cerca di curare a vicenda, aiutandosi per quel poco che si può. Aiutarti mi fa sentire una persona migliore, mi fa sperare meglio per me stesso. Mi fa sentire utile, e quindi ancora vivo. L'importante in questa pratica, è di non fare pesare i propri pensieri sugli altri, perché altrimenti non c'è il vero disinteresse e si finisce per tediare gli altri con i propri problemi. Questo riporterebbe la terza categoria nella prima.
Fortunatamente questa categorizzazione non fa al caso mio, perché normalmente non sono di nessun aiuto. Anzi, normalmente sono d'intralcio e faccio perdere tempo alla gente dicendo cose stupide, ma che almeno li fa ridere. Forse anche questo è un modo di aiutare le persone, distraendoli dalle loro quotidiane faccende, ma certamente non lo faccio apposta.
Perché, di qualsiasi categoria si stia parlando, quello che è importante nell'aiutare gli altri è la spontaneità.

mercoledì 11 novembre 2015

Snoopy & friends

Stamattina mi sono svegliato contento.

Lo so che lo dico come se fosse una cosa straordinaria, quando in realtà capita abbastanza spesso. La verità è che da quando ho impostato la radiosveglia, la mattina, mi sveglio sempre ascoltando la musica. Questa mattina ho avuto la fortuna di ascoltare uno dei miei pezzi del momento, di Meghan Trainor, ovvero I Feel Better When I'm Dancing. Mi piace molto questa canzone, perché è molto allegra e trasmette un sacco di gioia, oltre per il fatto che è stata scelta come colonna sonora del nuovo film dei Peanuts con Snoopy. Sono però molto combattuto se andare a vedere il film oppure no, perché vedere sotto forma di animazione quello che abbiamo sempre immaginato in quattro vignette potrebbe lasciarmi deluso. Preferisco continuare ad immaginare i movimenti dei personaggi, ognuno con la propria voce, che anche se non ho mai sentito, ho bene in testa. 
Mi sono sempre immedesimato molto in Snoopy, il che spiega anche perché sul logo del blog ci sia il Brachetto più famoso del mondo. La sua capacità di mutare forma, di interpretare diverse parti in funzione di quello che gli succede è straordinaria. Riesce a fuggire dalla monotonia dei suoi giorni da cane trasformandosi ogni volta in un personaggio diverso. E tanti di questi personaggi li sento vicini a me, come ad esempio il grande bracchetto quando ero rappresentante degli studenti, l'asso della prima guerra mondiale quando gioco a Battlefield, lo scrittore ovviamente o anche solo la sua semplice capacità di innamorarsi di qualcuno perché magari ha delle "zampine morbidissime".
Snoopy cerca di trasmettere gioia, la sua gioia, al mondo. Non possiede le risposte per i problemi della gente, al gruppo di persone, di amici che gli stanno vicini e poco lo capisco. Ma non si perde d'animo, e continua a vivere in un mondo suo, dove la realtà è solo la pista di decollo dell'immaginazione. 
Mi è sempre piaciuto questo paragone con il bracchetto, anche se va detto che lui non dice mai una parola, mentre io non chiudo mai la bocca. Essere come Snoopy significa essere dei sognatori, che non ci si lascia abbattere dalle delusioni quotidiane. Significa ballare anche quando non c'è la musica, significa sognare in grande.
Sì, mi sento meglio quando ballo.

P.s. Ascoltatela anche voi oggi questa canzone ;)

lunedì 9 novembre 2015

Lettera ad un amico

Oggi voglio parlare della grafoterapia.

Ammetto di pensare di essermi inventato questo termine, ma cercandolo online ho scoperto che la Grafoterapia esiste veramente ed è "l'utilizzo della scrittura per la riabilitazione della persona". Dato che era esattamente quello di cui intendevo parlare, sono molto contento di avere scoperto da solo qualcosa di universalmente riconosciuto. Un po' come Cristoforo Colombo.
Come molti di voi sapranno, scrivere è una mia grande passione. Al di là del mio innato narcisismo e del piacere che mi provoca sapere che altre persone sono interessate a leggere questi documenti, va considerata anche l'attività terapeutica rappresentata dal mettere nero su bianco i propri pensieri. Certe volte infatti si ha l'impressione di non riuscire ad esprimere a pieno quello che si sta pensando con le parole, ma nella scrittura il processo di estrazione dei periodi è più lento. Questo permette alla mente di elaborare in maniera più ampia il concetto che si vuole esprimere per poi metterlo, delle tante, nella forma migliore. Come se non bastasse, salvo nei temi di italiano che facevo al liceo che facevano schifo come i miei voti, se si fa un errore, o si vuole esprimere il tutto in una maniera diversa, tutto è concesso fino a che non si decide di farlo leggere. Anche per questo molte persone scrivono ma non fanno leggere niente a nessuno, perché rappresenta una parte di loro estremamente intima e privata, come una finestra che mostra il loro Io più vero. E non tutti sono disposti a mostrarlo.
Ogni volta che ho un problema, che ho qualcosa per la testa, qualcosa che rimane fisso nei miei pensieri per giorni, mi metto a scrivere. In queste ultime settimane ho scritto tantissimo, ma voi non ne saprete mai nulla, perché è roba che non si può pubblicare così, gratuitamente. Trattasi di lettere a me stesso, di quello che vorrei sentirmi dire, come di rassicurazioni o di lettere che non spedirò mai. E il semplice fatto di averle prodotte mi ha fatto stare meglio. Perché, anche se non amo molto questa espressione, sfogarsi fa bene. Chi ci capisce meglio di noi stessi, e di chi abbiamo fiducia se non noi in primis? Rileggevo ieri uno dei pezzi che ho fatto in questi giorni e mi sono stupito di quanto mi fosse utile sentire quelle parole. Come se un amico mi prendesse per mano e mi garantisse il suo supporto in tutti i miei problemi. Avere parlato di certe cose, senza essermele tenute dentro, le oggettivizza. Il ricordo di qualcosa può mutare nel tempo, un'emozione provata ancora di più. Per questo è bello mettere per iscritto cosa si prova, anche per poterselo ricordare in un secondo momento, fino al punto in cui, che capita sempre a chi scrive tanto, non si ricorda di essere stato così
Posso capire che molte persone facciano fatica a mettersi lì, con una pagina bianca davanti a parlare delle proprie emozioni, io ormai sono abituato e questi post li scrivo mentre guido con il comando vocale, come se parlassi normalmente. Può essere anche per lo sconforto del nulla che esprime il foglio nudo. Ma provateci. Provate a combattere il silenzio parlandogli addosso. Provate a fare capire al mondo cosa provate, anche senza che il mondo sappia. Perchè serve molto di più a chi scrive che a chi legge. 
Perchè molto spesso solo noi sappiamo di cosa abbiamo bisogno in certi momenti. Dobbiamo solo sentircelo dire.

Il mistero dell'energia

Che cos'è l'energia?

So che questa domanda può sembrare strana, ma 8 anni fa fu la domanda che mi posi quando cominciare a fare ingegneria. Oggi, mentre ero in sauna, con i soldi guadagnati facendo ingegneria, mi ponevo questa stessa domanda, cercando di darmi una spiegazione sufficientemente semplice e fruibile da tutti per quanto imparato. Lo so che la gente normale non si pone queste domande, ma punto molto sui curiosi.
L'energia non è qualcosa di semplice da descrivere, tanto è vero che la definizione di essa (la grandezza fisica che misura la capacità di un corpo o di un sistema fisico di compiere lavoro, a prescindere dal fatto che tale lavoro sia o possa essere effettivamente svolto) è talmente generica che non spiega nulla ai profani di fisica. Eppure ne abbiamo degli esempi quotidiani, quali le calorie, ai quali colleghiamo informazioni ben note. Esempio: Le cose grasse hanno tante calorie e ci fanno ingrassare. Discutibile, ma non è questo il momento di promuovere una dieta sana ed equilibrata.  La caloria, come si può trovare scritto su Wikipedia, è la quantità di energia sviluppata da un determinato elemento se sottoposto a combustione. Ovvero, se gli diamo fuoco, quanto scalda. Fin qui trattasi di una disquisizione scientifica, e quindi inattaccabile. Ma resta la domanda su che cosa sia effettivamente l'energia. Il problema vero è, come per le forze, che ne possiamo solamente vedere gli effetti, perché l'energia, come si può ben immaginare, non è materia. La materia stessa, che è composta da atomi, è fatta di energia in realtà. Per andare avanti richiedo un minimo di astrazione.
Noi siamo abituati ad immaginare gli atomi come piccole particelle, ma se fossero effettivamente delle particelle solide tonde come ce li figuriamo in mente, sarebbero composti da qualcosa, ulteriori elementi. Invece queste palline, come li vediamo, rappresentano un quantitativo energetico. Nessuno, con un microscopio, è mai riuscito a vedere un atomo. Un atomo possiede una sua dimensione, ma è una dimensione che corrisponde un quantitativo energetico. Non voglio, e non posso scendere maggiormente nel dettaglio, perché si tratterebbe di fisica quantistica, e non so quanti dei lettori che oggi hanno aperto questa pagina sono disposti a sorbirsi un pippone sulla fisica. Voglio solamente fare il punto su sul fatto che trattiamo quotidianamente con qualcosa che non riusciamo nemmeno a descrivere. È così strana questa cosa? Siamo veramente così superficiali e supponenti da parlare di ciò che non conosciamo? Il problema non è questo, non è nemmeno la nostra presunzione di sapere, o la mia di spiegare. Il problema risiede che esistono delle cose, che per limitatezza di intelletto o esperienza non possiamo capire. Un po' come immaginare uno spazio con più dimensioni di quello in cui viviamo. Lo stesso spazio quadridimensionale viene rappresentato come un susseguirsi di spazi tridimensionali, perché non abbiamo la capacità di pensare oltre la finitezza di quello che viviamo.
Tornando all'Energia, quindi, sarebbe riduttivo definire l'energia come qualcosa, perché qualsiasi cosa è composta da energia, nelle varie forme. L'Energia, risulta essere il mattone base di tutto l'universo.
Non riusciremo mai ad immaginarla con una forma, una dimensione o un colore, ma in realtà la percepiamo tramite tutti e 5 i sensi. Magari non capiamo cos'è, ma è proprio qui, davanti a noi.


venerdì 6 novembre 2015

The sound of silence

Finalmente è venerdì.
Oh, un’altra settimana particolarmente dura volge finalmente al termine. Non che il weekend che mi aspetta sia particolarmente roseo, ma intanto avrò tempo da dedicare alle cose che voglio. Riposarmi, in una parola sola. Tralasciando l’impegno fissato per le 14 di domenica, per il quale probabilmente non parlerò più con nessuno per un po’ di giorni stanotte ho pure sognato di parlarci, con Valentino, non ho grandissimi piani su cosa fare. So solo che oggi sarà una giornata più lunga del previsto, dato che devo far fare una prova di un dispositivo, quindi anziché riuscire ad essere sparato fuori dal lavoro alle 16 come un proiettile, probabilmente mi toccherà andare avanti ad oltranza fino a che non sarà tutto finito.
Parlando però dei lavori che si fanno durante il weekend, devo ammettere che per alcune cose ho già cominciato, ad esempio sistemare il blog. L’intenzione, come già detto, è quella di fare  una raccolta con tutti i post, ma la cosa è più semplice a dirsi che a farsi. Questo, come ogni volta, mi permette, non senza una certa introspezione, di riguardare tutti i post che ho prodotto fino ad ora, rileggendone alcuni. Ho già parlato di come mi capiti di stupirmi delle cose che io stesso ho scritto, ma stavolta è stato diverso. Mentre ho già parlato, anche in vari post, di perdere le parole, o non sapere cosa dire, oggi voglio parlare di quando sai perfettamente cosa dire, ma era meglio se stavi zitto. Perché certe cose vengono lette e interpretate da gente che magari non conosce, o, peggio ancora, si fa più bella figura a non dirle, certe cose.
È doloroso, il momento in cui vorresti dire qualcosa ma sai che non puoi, come un messaggio a cui non sai come rispondere, anche se hai perfettamente chiara la tua posizione in merito. Allora perché non rispondere? Perché non palesare la propria opinione, in modo che chi ci sta di fronte sappia come la pensiamo. Perché non siamo soli. Con questo voglio riallacciarmi al post di ieri, infatti se notate c’è un filo conduttore tra i due argomenti, dicendo che a volte, anziché proteggere noi stessi dicendo quello che pensiamo, è meglio proteggere gli altri DA quello che pensiamo. Non voglio arrivare all'estremo di chi sostiene che facendosi i fatti propri si campi cent’anni, perché non condivido questo pensiero. Intendo solamente che può succedere, certe volte, che un silenzio sia la risposta migliore. Non quella ad effetto, non quella che spiega tante cose (anche se un silenzio può voler dire molto), ma la cosiddetta meno peggio. Pure Paul Simon e Art Garfunkel che il dizionario di Word mi continua a correggere con "Gargamella" hanno fatto una canzone su questo, che dà il titolo a questo post.
Voglio concludere con un piccolo monito, che va bene sia nelle situazioni particolari che nella vita di tutti i giorni, ovvero quello di non giudicare mai le persone.
Perché non si sa mai cosa stanno passando.

giovedì 5 novembre 2015

Qualcuno ti ama

Ho decisamente bisogno di un weekend in mezzo alla settimana. 

Per questo sarei disposto ad aver una settimana di 9 giorni, ma in fondo almeno non si farebbero più di 3 giorni lavorativi di fila. La verità è che ieri e l'altro ieri sono stato a Verona, quindi mi sono stancato parecchio, tra le varie attività. Ah, la città di Romeo e Giulietta. L'amore, il balcone dei Capuleti, l'arena, la simpatia che distingue i veneti. Ammetto che non ci ero mai stato, quindi per me è stato tutto molto nuovo. Quando l'ho detto ai miei amici, mi hanno anche consigliato alcuni posti dove andare a mangiare, per poi fare una passeggiata nel centro, estremamente piacevole. Ecco, non ho visto niente di tutto questo. Avete presente quando gli atleti olimpici si lamentano che nella loro carriera hanno visto tutti i palazzetti del mondo senza vedere le città dove sono andati? A volte mi sento così, a differenza dell'attività di livello internazionale, dei fan e anche del fisico non proprio da atleta.
Ho passato due giorni chiuso in una stanza per di più con poca aria disponibile, in penombra a guardare una delle quattro pareti di un albergo illuminata da un proiettore. Ok, non che non fosse interessante, di lavoro si parla, ma avete presente quelle condizioni in cui si perde ogni genere di cognizione del tempo? Così, mentre le informazioni lavorative entravano attraverso il naso, rimbalzavano in fondo al mio cranio vuoto e uscivano dalle orecchie, ho avuto modo di pensare a un sacco di cose, di fare chiarezza con me stesso su molte situazioni recenti. Perché in questi momenti o mangi, perché a me pensare mette fame, oppure pensi ma poi ti torna fame. Il problema è che poi mangi troppo, in conseguenza di quanto hai pensato, e finisci per bramare la pausa caffè per utilizzare quella stanza con l'omino disegnato sulla porta, accarezzandoti la pancia come fa una donna incinta, ma con un'espressione leggermente più contrita.
In mezzo a tutte queste produzioni fisiologiche, come dicevo, si ha modo di pensare molto bene. Tante cose confuse sono successe ultimamente, quindi non vi stupirete se vi dirò che avevo bisogno di pensare un pochino, di un momento di riflessione e meditazione. Fortunatamente, prima di partire, ho avuto modo di parlare con una persona molto importante per me, che potrei addirittura definire il mio migliore amico. Quel genere di persona che ti dice la cosa giusta nel momento giusto, che c'è quando non ci sono tutti gli altri. Questa persona mi ha definito, prendendo spunto da tutto quello che è successo ultimamente, come "una persona che prima causa un incidente, poi cerca di salvare tutti quelli che sono coinvolti". Mi ha colpito molto quest'affermazione, perché mi ci ritrovo in questa definizione. Mi fa pensare, anche solo per il fatto che in questo momento, da solo, non ho nessuno che si preoccupi per le cose stupide che sta facendo. Allora è forse meglio finire in una palla di fuoco da soli, piuttosto che in un piccolo incidente coinvolgendo altre persone?
La domanda non è semplice da affrontare, anche perché è impossibile pensare di essere completamente da soli, come a dire di non dare pensiero a nessuno. Non possiamo vivere come degli eremiti, quindi dobbiamo sempre considerare che tutto ciò che facciamo abbia una relazione con le altre persone. Essendo quindi impossibile proteggere completamente le persone a cui vogliamo bene dal male, l'unica cosa che possiamo fare è cercare di non essere noi causa del loro male, o almeno cercare il giusto compromesso per la loro felicità. E se qualche volta questo significa compromettere la nostra di felicità, magari è il caso di pensarci.
Come non prendere a 120 di traverso la rampa di uscita autostradale, perché anche se non te lo dice nessuno che non va bene polizia stradale a parte, qualcuno se ne preoccuperebbe. In fondo qualcuno che ci vuole bene c'è sempre.



martedì 3 novembre 2015

Fai la cosa giusta

Quella di ieri è stata un giornata abbastanza convulsa.
Il giorno prima sono successe molte cose, alcune di cui ho molte voglia di parlare, come ad esempio aver realizzato il sogno della mia vita di riuscire a vendere delle rose. Sì, esattamente, sto parlando della pratica, normalmente praticata in outsourcing dai cingalesi, di andare nei luoghi di pubblico incontro a vendere delle rose agli astanti. E ci sono riuscito. Ma questo solamente perchè sono riuscito a vendere il sogno di possederla, il momento in cui la si ha, quella rosa. Non ho venduto un fiore, ho venduto un ricordo, e i ricordi non hanno prezzo. Per questo mi sono fatto pagare bene.
Ho anche lasciato 2 euro di provvigione al mio amico Ranjid che gentilmente mi ha mandato in giro a vendere le sue rose. Davvero un uomo del popolo.
Altre cose invece sono successe e non ho molta voglia di dirle, nè credo sia il caso di parlarne. Non sarebbe nemmeno corretto nei confronti delle persone coinvolte, trascinarle in questo vortice nero, per cui parlerò delle conclusioni a cui sono arrivato.
Oggi voglio parlare delle scelte, e del modo in cui possono renderci fedeli a noi stessi. Esistono situazioni, in cui ci si trova a dover affrontare la vita nella maniera più dura. Parlo dei momenti in cui bisogna fare la cosa giusta. In altri termini, scegliere
Ma che cosa significa veramente fare la cosa giusta? Significa semplicemente cercare l'opzione migliore, o il migliore compromesso? Perché ci sono dei casi, in cui l'opzione migliore non è una strada percorribile, e finisce, pur sembrando all'inizio dritta, contro un muro, senza lasciare via di scampo. Allora bisogna scegliere la strada più in salita di tutti, quella che comporta sofferenze, ma di cui si è sicuri dove arriva. Un po' come vedere in vetta l'arrivo, senza sapere cosa ci sarà durante il percorso. Avere la consapevolezza delle proprie scelte è fondamentale per poter essere risoluti nel perseguimento dei propri obiettivi. E non importa quanti errori si commetteranno, durante il percorso, quanto si potrà stare male, o cosa penseranno addirittura le altre persone di noi. Perché non è qualcosa che possiamo controllare. Non conta fare la figura del cattivo, e talvolta recitare questa aprte se poi in cuor tuo sai di essere buono, di volere quello che vogliono tutti gli altri.
Abbiamo solo scelto la strada che porta in alto, non quella che ci faceva mantenere lo stesso livello, una strada piena di difficoltà di cui però conosciamo il risultato. E lo potremmo fare per il bene nostro, per il bene degli altri, o per tutti e due, ma sapere di aver scelto la strada giusta è fondamentale. Prendere decisioni, nella vita come in qualsiasi altra cosa, ci permette di essere parte attiva di ciò che facciamo. Di non rimanere bloccati dove siamo, di muoverci. Perchè le cose belle succedono alle persone buone.
Voglio chiudere questo pensiero raccontare una storia, ormai resa celebre da un film western, "il mio nome è nessuno"

Allora, questo uccellino non sapeva ancora volare; durante l'inverno, in una notte fredda, ruzzola giù dal nido e finisce sul sentiero. Comincia a gridare "piio piio piio" come un matto e sta per morire di freddo, ma fortuna per lui ecco che arriva una vacca; lo vede e pensa di scaldarlo, e così alza la coda e... splash!, una margherita bella e fumante, grossa così.
L'uccellino al caldo è tutto contento, tira fuori il capino e ricomincia "pi-piio pi-piio" più forte di prima. Ma un vecchio coyote lo sente e arriva di corsa, allunga una zampa e lo tira fuori dalla cacca, lo pulisce ben benino, e poi... gnam! Se lo ingoia in un solo boccone.
Il nonno diceva che la morale c'è, ma che bisogna trovarsela da soli.

Perchè, come dice Jack Beauregard alla fine del film, non sempre chi ti mette nella merda lo fa per farti del male, come non sempre chi ti tira fuori dalla merda lo fa per farti del bene.




domenica 1 novembre 2015

A me sembra mezzo pieno

Le cose belle capitano alle buone persone.
Ieri sera sono andata a letto con questo pensiero, e pensavo che fosse giusto condividerlo con blog. Secondo me c'è un mondo dietro questa frase, anche solo per il fatto che racchiude nel suo interno tutta una filosofia. Partiamo però come al solito andando con ordine, analizzandola per intero: va detto che non è una verità assoluta, ma in fondo cercare verità assolute generaliste è un po' come cercare l'elisir di lunga vita. Si può studiare un caso, magari cento, ma ogni caso va valutato in maniera singolare. come a dire che ogni storia è a se stante, ma non mi piace vedere le cose così, preferisco pesare che le persone, i loro atteggiamenti siano legati da un sottile filo conduttore, che ci unisce, che ci permette di vere momenti in cui ci diciamo "ma davvero? pensavo capitasse solo a me!".
Non faccio mai mistero del mio atteggiamento positivo nei confronti delle cose, e penso che sia estremamente salutare. Cerco di convincere di questo anche gli irriducibili pessimisti, le persone che non vogliono essere compatite, chi pensa di essere senza speranza, e, mi scoccia dirlo, ce ne sono più di quanti se ne pensa. In una parola, i disillusi. Ma ho già parlato dei disillusi in un altro post, e per quanto ami il suono della mia voce, arrivo a detestarla quando ripete quanto appena detto. Quindi voglio parlare delle conseguenze. Non voglio stare a raccontarvi come ad essere tristi, cupi si viva male anche perché cercate di seguirmi nel pensiero, la filosofia per cui un ottimista, nel caso dovesse avere torto sarà deluso alla fine della sua vita, mentre un pessimista disilluso lo sarà in ogni momento di ogni ora, di ogni giorno, di ogni evenienza. Stiamo parlando di un sacco di volte. Alla faccia di chi dice che aspettarsi il peggio permette di prevenire, o anche semplicemente lenire le sofferenze. Voglio parlarvi di quello che la vita può metterti in braccio se ti fai trovare con le braccia aperte. 
Il fatto di essere persone che cercano di prendere il meglio da tutto non è certo il segreto per una vita priva di problemi, e bisogna comunque fare i conti con i momenti in cui la sorte, il destino, il karma o come volete chiamarlo ci tira una palla curva. I problemi ci sono, e dubito che si possa dire che a un certo punto si possa mai arrivare ad uno stato in cui la barca và da sè. Ma proprio qui entrano in gioco le cose belle che accadono. Le persone buone, i trascinatori, come piace chiamarli a me, che hanno un atteggiamento positivo, sono coloro ti tendono la mano per primi, che ti danno confidenza per fare maniera che tu ti senta al sicuro a parlare con loro, accolto/a, per certi versi. Sono quelli che quando gli viene proposta una sera a casa di gente sconosciuta, prima pensano che conosceranno un sacco di gente nuova, prima di dire "non conosco nessuno". E diranno . Quanto può essere potente una singola accoppiata di lettere. Quante cose, pensieri, affetti, sogni desideri o prese di posizione nasconde una s unita a una i accentata, ricordiamocelo sempre. 
Non siate vittime, siate carnefici. Dei pensieri negativi.


venerdì 30 ottobre 2015

Dr.Hyde e Mr.Jekyll

Tutti noi abbiamo un nostro lato oscuro.
Bam, non ve lo aspettate un ingresso di questo genere, vero? Quello che voglio dire, è che molto spesso la caratterizzazione di una persona passa per dei lati della nostra personalità che non sono sempre evidenti. Il termine lato oscuro, almeno per come è inteso qui, non ha sempre una accezione negativa, non si tratta quindi sempre di qualcosa che vogliamo nascondere perché brutto, pericoloso o tormentato. A mio parere, la qualifica di oscuro è dovuta alla interiorità di questo lato molto personale, come scendendo nelle profondità degli abissi la luce fa sempre più fatica ad entrare. Ma non per questo nelle profondità abissali succedono cose brutte, al massimo buie.
È quindi perfettamente normale che la personalità di qualcuno sia composta da lati non perfettamente evidenti. Io sono un esperto in materia, non dal punto di vista clinico/psicologico ma dal punto di vista diagnostico, in quanto ho tutte le mie belle psicosi che non sono evidenti e mi rendono una persona estremamente interessante cerchiamo di tirare fuori qualcosa di buono, se no sono solamente pazzo. Tutti abbiamo delle cose che ci disturbano, e chi soffre di disturbi ossessivi compulsivi (OCD) lo sa bene. Avevo un amico a cui davano fastidio le monete da 20 cent, non chiedete, è meglio, e a me disturba vedere i tombini per strada che dopo essere stati rimossi non sono stati riposizionati come erano prima, per cui magari le linee stradali sono storte. Mi rendo conto che siano manie, che ognuno vive a modo suo, facendosi condizionare nella propria vita da questo o meno, che è il grosso spartiacque tra chi è pazzo per davvero e chi non lo è. Perché nella cultura moderna c'è una grande facilità nel descrivere un atteggiamento come un disturbo del comportamento. L'abuso che c'era nel 19esimo secolo della diagnosi di "isteria" è molto simile a quella che nel 21esimo abbiamo per la "depressione", che ormai è la diagnosi base per tutto. Un ottimo esempio che si può fornire in merito di arriva dal pluripremiato film "Il lato positivo", la cui morale è che in fondo siamo tutti pazzi, ma solo alcune pazzie sono socialmente accettabili.
La verità, e questo è la pratica clinica che ce lo insegna, è che una psicosi non è riconosciuta come problematica fino al momento in cui non ci impedisce di condurre una vita normale. Sentire le voci non è un problema, il problema sorge se questo ti impedisce di uscire di casa. Il che è un controsenso, perché se ci pensate significa che esistono molti gradi diversi di normalità, non un unico, grosso, standard in cui rientra la maggior parte delle persone.
Come dire che, ognuno a modo suo, se lo guardi da vicino, nessuno è normale.

lunedì 26 ottobre 2015

#Escile

Non mi ritengo una persona particolarmente social.
Per carità, apprezzo tutto quello che i social portano, la possibilità di rimanere in contatto con persone care lontane o sconosciuti tanto famosi quanto altrimenti irraggiungibili. Tendo a non frequentarli molto, perché non amo non poter controllare le informazioni che finiscono in maniera pubblica su internet, che mi riguardano. Per questo ho aperto un blog in cui parlo di me, con la mia tipica coerenza. Tendo ad avere anche una cultura abbastanza internazionale, infatti preferisco guardare le notizie non dai quotidiani nazionali, ma dai social stranieri. Questo, mi preclude molte volte delle notizie che spopolano sul web nazionale, che però, per ovvi motivi, vengono ignorate dai media stranieri. Capirete il mio stupore, quando vi spiegherò il motivo del titolo di questo post. La realtà è che sono venuto a sapere di questo hashtag ormai celebre solamente una settimana fa, e la cosa non mi ha lasciato del tutto indifferente. Non è certo la prima volta che un hashtag ho un argomento a livello sessuale raggiunge vette così alte, soprattutto a livello di conoscenza umana. Basti pensare a quando Kim Kardashian provò a "rompere Internet", oppure al filmato di Paris Hilton, oppure al filmato di Belen. Insomma, basta solamente inserire un argomento che faccio impazzire gli uomini in un bar, e internet non farà che parlarne. #Escile però, è qualcosa di tipicamente italiano.
Quello che mi piace fare e analizzare i risvolti sociali di queste episodi, soprattutto cosa significa il fatto che una parola scritta peraltro in italiano non del tutto corretto raggiunga un livello di fama così importante da offuscare le notizie riguardanti il presidente del Consiglio. Va anche ricordato che il verbo uscire non è transitivo quindi non si può associare a qualcosa, seppur sappiamo e conosciamo tutti persone che lo usano in tal maniera. È bizzarro come diventi famoso quasi più qualcosa che è sbagliato, anche dal punto di vista grammaticale, piuttosto qualcosa che di concerto.
La domanda, subito dopo quella riguardante di che cosa si tratti questo hashtag famoso, ovvero di chiedere a una modella di mostrare il seno, diventa subito come sia possibile che diventi così famoso un argomento del genere. Siamo veramente diventati così poveri di contenuti, materialisti e immorali che una donna che mostra il seno ci può svoltare la giornata? Non sono certo la persona più morale di questo pianeta, chi mi conosce lo sa, e soprattutto non so resistere al fascino di una bella donna. Trova però che sia assurdo il clamore mediatico che si è creata attorno a questa cosa. Un po' come stata la barzelletta di Berlusconi riguardante il bunga bunga, ormai diventato diventato termine di uso internazionale per descrivere il nostro premier, oppure i suoi loschi festini. Se una cosa nasce con una battuta, dovrebbe rimanere tale, senza essere snaturata dal contesto in cui è nata. In realtà il problema è realisticamente pleonastico come sempre adoro questo usare questo termine, tutto ciò che fa ridere infatti su Twitter, Facebook e tutti gli altri social, ha una durata di tempo estremamente limitato in termini di attenzione dedicato dagli utenti. Mi auguro quindi che anche questo finisca nel dimenticatoio velocemente come il Gangnam style, il gatto Virgola, le capre che urlano, il video di Belen, il video di Kim Kardashian, e tutte le altre cose inutili che abbiamo guardato negli ultimi anni, senza le quali avremmo vissuto in maniera assolutamente identica a come viviamo adesso.
Anche se ammetto che alcuni commenti me lo hanno strappato un sorriso.