martedì 17 novembre 2015

Non sei di nessun aiuto

Ultimamente ho un sacco di tempo per meditare.
Sarà che ho molto più tempo libero, oltre che non c'è nessuno a casa ad aspettarmi quando torno, che, diciamocelo, formano assieme un'accopiata diabolicamente micidiale. Anche l'altra sera, tornando a casa, delle due strade possibili, ho scelto quella con più coda. Tanto non ho nulla da fare, mi sono detto. Così, come anticipato, penso. Oggi voglio condividere il pensiero riguardante l'aiuto che noi, esseri fallaci inadatti a giudicare, possiamo fornire ai nostri simili. Perché la domanda sulla motivazione per cui farlo è sempre non così scontata.
Perché aiutiamo gli altri?
Lo facciamo per un tornaconto personale, perché vogliamo farli raggiungere risultati autonomamente irraggiungibili oppure lo facciamo per noi? Penso che queste tre possibilità possano categorizzare i tipi di aiuti che si possono fornire, per cui scendiamo più a fondo, nel dettaglio.
Il primo tipo è un aiuto che non sempre è falso, ma si tende a pensare che lo sia. Può arrivare dalle persone che non ci conoscono bene, e segue l'antica regola del baratto. Lo faccio perché tu l'hai fatto, o lo farai per me. Non c'è nulla di male, spesso è una forma di gratitudine, anche se, come molte cose buone di dubbia provenienza, finisce per essere solo una moneta di scambio. Non è un qualcosa di cattivo di per sè, solamente non deve diventare l'abitudine. Un aiuto disinteressato, infatti, è sempre molto più apprezzato e sincero di quanto possa essere un tornaconto personale.
La seconda interpretazione è la più umana. È tipica delle persone che credono negli altri, ma avendo una visione realistica del mondo, si conosce la limitatezza delle persone. Si cerca quindi di aiutare qualcuno che da solo non ce la fa, ma non perché sia stupido o altro, bensì perché come ben sappiamo, molto spesso uno più uno fa più di due. Poter essere aiutati, sopportati e supportati da qualcuno rende più leggero il nostro viaggio, più piacevoli le nostre fatiche, più condivisibili i nostri timori.
La terza interpretazione, è quella che personalmente apprezzo di più. È quella in cui si aiuta qualcuno per aiutare se stessi. L'importanza di sentirsi utili viene troppo spesso trascurata, ed è parte integrante della nostra vita. Aiutare gli altri ci fa stare meglio, anche se noi stessi non siamo perfetti, proprio perché in un mondo di malati ci si cerca di curare a vicenda, aiutandosi per quel poco che si può. Aiutarti mi fa sentire una persona migliore, mi fa sperare meglio per me stesso. Mi fa sentire utile, e quindi ancora vivo. L'importante in questa pratica, è di non fare pesare i propri pensieri sugli altri, perché altrimenti non c'è il vero disinteresse e si finisce per tediare gli altri con i propri problemi. Questo riporterebbe la terza categoria nella prima.
Fortunatamente questa categorizzazione non fa al caso mio, perché normalmente non sono di nessun aiuto. Anzi, normalmente sono d'intralcio e faccio perdere tempo alla gente dicendo cose stupide, ma che almeno li fa ridere. Forse anche questo è un modo di aiutare le persone, distraendoli dalle loro quotidiane faccende, ma certamente non lo faccio apposta.
Perché, di qualsiasi categoria si stia parlando, quello che è importante nell'aiutare gli altri è la spontaneità.

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