Lo so, sono un somaro.
Non occorre che me lo diciate nei commenti, nei messaggi o a voce, per chi ha la fortuna/sfortuna di poterlo dire guardandomi in faccia. Non ho scritto per più di una settimana, ma avevo le mie motivazioni. Mettiamoci anche che, rileggendo vecchi scritti di più di un anno fa, mi sono reso conto che all'epoca scrivevo molto meglio, per di più di cose molto più interessanti. Così mi è venuto il cosiddetto blocco dello scrittore. Non avevo molto da dire. O almeno, ero stufo di dire sempre le stesse cose. Se si mangiano tutti i giorni gli stessi cereali a colazione, per quanto buoni che siano, ogni tanto viene voglia di cambiare, di prendersi una pausa. Non avevo voglia di continuare ad apparire in pubblico raggiante, la miglior versione di me stesso, per poi essere, nel lato più intimo, triste. Chi mi conosce non se ne capacitava, a tal punto di non capire dove stesse la finzione, se nella gioia o nel dolore.
La verità è presto detta. Recentemente ho dovuto affrontare la fine una relazione sentimentale che non è andata come avrei sperato. Non voglio spiegare il come o il perché, anche perché, ad essere sincero, non l'ho capito bene neppure io. Ma la cosa ha colpito nel profondo, quindi questo spero basti per giustificare gli ultimi interventi molto cupi. Ma allora dove sta tutto l'ottimismo che tanto predico? Dove si trova la forza che ognuno di noi ha dentro per andare avanti, fronteggiando qualsiasi avversità di cui parlo nei miei interventi? Pensavo di avere perso queste cose. Ho pensato anche che se le cose belle succedono alle persone buone, allora io non ero una persona buona. Avevo perso la speranza, mi sono lasciato andare nello sconforto.
Poi mi sono accorto di una cosa. Che non potevo stare nel silenzio. Perché la voce è la mia arma, che come una spada sguainata può difendere tutti quelli che hanno bisogno, me compreso, di essere rassicurati, confortati, protetti. Dovevo fare un passo avanti io, per primo, e dire che non può piovere per sempre. Che, citando un famoso pilota di moto, bisogna "smettere di piangere, oppure smettere di correre". Le due cose assieme non si possono fare. Non si può vivere la propria vita per intero se la testa è ancora altrove, se il nostro pensiero è ancora rivolto a qualcuno o qualcosa che non è di interesse per noi. Questo è vivere la vita in maniera passiva, e non voglio, ne non voglio per chi legge, lasciare scivolare tra le dita come sabbia ogni singola esperienza che ci viene offerta. Voglio vivere con l'entusiasmo di chi si stupisce ancora dell'arcobaleno, di chi sorride vedendo un bambino, di quelli per cui una porta chiusa è solo un invito a definirsi in altro modo.
Oggi, in questo martedì soleggiato, primo giorno di dicembre, non lascio che niente mi abbatta. Sono troppo forte perché qualcosa mi scalfisca, e il sole davanti a me è troppo grande e bello perché possa dedicare il mio tempo a commiserare i miei errori. Ci sono così tante cose che non so, che voglio scoprire, cose più grandi di me che mi aspettano sotto questo cielo, sotto quel sole. Che il mondo e i suoi problemi diventano molto più piccoli se solo sali in cima ad un albero.
Che va bene così.
Senza parole.
Ndr. L'autore non è veramente salito su di un albero, anche se promette che farà qualcosa di molto stupido prossimamente, che verrà descritto in maniera ampia e dettagliata su questo blog.
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