giovedì 30 aprile 2015

La bandiera dei nostri padri

Siamo quasi arrivati alla fine si questa settimana corta, dovuta alla presenza del 1 maggio, festa dei lavoratori. Amo talmente poco questa festività che l'anno scorso ho preferito lavorare, seppur in giro non ci fosse nessuno. Trovo che questo genere di festività comandate nazionali lascino più che altro il tempo che trovino, facendoci sentire meno in colpa per non ricordarci per tutto l'anno del fatto che c'è chi lavora, che abbiamo una repubblica oppure che c'è stata una liberazione. Ecco, proprio di questo voglio parlare, perché questo va ricordato.
Qualche giorno fa era il 25 aprile, ovvero sul calendario la Festa della Liberazione. Se andaste in giro per i licei a chiedere "Liberazione da cosa?" non sono così sicuro che avreste una risposta univocamente corretta. La guerra, quella vera, quella mondiale, è ormai passata da due generazioni, e a noi non resta che vivere tutto ciò che viene dopo il dopoguerra. Non abbiamo visto la brutalità della guerra e nemmeno sentito gli effetti e le conseguenze di ciò che la guerra ha significato per milioni di italiani. Si cerca di farcela ricordare, ma come è possibile ricordare ciò che non si può immaginare?
Ieri sera guardavo un film di guerra molto bello, ovvero Flag of Our Fathers di Clint Eastwood, che fa un bellissimo ritratto della battaglia di Iwo Jima e dei suoi eroi immortalati nella famosa foto. Tutto dagli occhi della fazione americana, mentre la stessa battaglia vista dagli occhi degli sconfitti c'è nel film Lettere da Iwo Jima, sempre diretto da Eastwood. Mi sono piaciuti entrambi molto come film, perché hanno una visione reale sulla guerra, che non usano immagini di soldati a brandelliper enfasi, ma per mostrare la brutalità di quello che ci è sconosciuto. Mostra come dei ragazzi, perché quelli non erano uomini, siano stati capaci di imprese grandiose. E non parlo dello scalare il monte Suribachi imbottito di artiglieria giapponese come un panettone con l'uvetta, ma di difendere un ideale di fronte a tutto, la fratellanza tra soldati e l'importanza di una bandiera.
Un singolo, sciocco pezzo di stoffa. Quanto potrà mai significare quel pezzo di stoffa, che sarebbe potuto diventare una tovaglia, o una maglia in egual maniera. Quella bandiera significò liberazione per tutti i soldati sull'isola. Significò vittoria, e un passo in avanti verso la sconfitta del nemico. L'aver alzato quella bandiera su quel monte, quel giorno (la prima, non la seconda ritratta nella foto) può non esser contata molto per quei cinque validi soldati, ma è stato un messaggio al mondo intero. Penso a cosa significhi per la mia generazione la nostra bandiera, come molti di noi non sappiano nemmeno l'inno nazionale. Ignoriamo tutto ciò che quel tricolore significava per le persone che ricordiamo nel 25 aprile. Quelli che furono degli eroi senza sceglierlo. Quelli che prima della fucilazione urlarono "Viva l'Italia", seppur avessero solo 18 anni. Non voglio schierarmi politicamente, né dire che con la liberazione siamo passati dal male assoluto al bene totale, anzi. Voglio solo onorare la memoria di coloro che hanno combattuto per un futuro migliore. Il nostro.
E proprio come loro hanno combattuto per noi, noi dobbiamo essere fieri di quello che abbiamo, e rispondere a nostra volta alla nostra chiamata alle armi.


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