sabato 18 aprile 2015

Slow thinking

Era decisamente un po' che non mi capitava di iniziare un post senza sapere cosa dire. Questo non mi/vi autorizza a chiudere qua, anche perché sono abbastanza fiducioso di riuscire ad andare a parare da qualche parte. Al liceo ero abbastanza bravo, specialmente nelle interrogazioni di filosofia, ad riuscire a parlare fino a che il professore non mi interrompeva per cambiare argomento. Proviamoci anche qui.
Normalmente gli argomenti che tratto riguardano pensieri e riflessioni generate dal giorno precedente a quello in cui scrivo. Un evento, una discussione, un film normalmente sono gli eventi scatenanti di questi pensieri, non fosse il fatto che ieri, come in questo momento sono inchiodato ad una sedia a seguire un congresso. Per carità, interessante e utile dal punto di vista lavorativo, ma sicuramente al momento sono distratto dalla lignea e scomodissima sedia su cui mi trovo, che, con cadenza meticolosamente inquietante, mi blocca la circolazione di una gamba e dell'altra in funzione di come le ho incrociate. Dato che al congresso si sta parlando di trombi e coagulazione, mi sta salendo anche una certa qual ansia che potrebbe venirmi un ictus. Che morte ingloriosa. Non avrei nemmeno il gusto di chiedere "c'è un medico in sala?" in mezzo a una platea di cardiochirurghi/rianimatori. Insomma, sono parecchio distratto ma al tempo stesso non ho modo di interagire con il mondo, per cui lasciato miseramente a me stesso posso solo guardarmi attorno e fare la faccia di quello che sta ascoltando. Fai il disinvolto.
Il luogo in cui si sta svolgendo questo bell'evento è il prestigiosissimo Collegio Borromeo di Pavia, che pare sia uno se non il collegio universitario più importante della città, con rivalità accademiche, ideologiche e tradizionali nei confronti degli altri collegi. Questo mi ha fatto pensare al cameratismo di quando in collegio ci stavo io, a Roma. Mi ha ricordato quando organizzammo una caccia al tesoro a Vincenzo per fargli ritrovare il suo materasso (per un giorno e mezzo camera mia ha avuto un "divano"), l'abbruttimento dei periodi di studio matto e disperatissimo (quei 4 giorni prima dell'esame). Mi ha fatto ricordare al periodo dell'università, non così lontano temporalmente, ma distante come impostazione mentale. Sono cambiato molto, in questi 3 anni, al punto tale da guardare con occhi nuovi le foto di quel periodo. E pensare che non lo avrei mai detto, nel senso che quando all'epoca immaginavo me stesso come sarei stato ora, non avrei mai creduto sarei cambiato così tanto. Una volta ho sentito un saggio che ha detto che viviamo la nostra vita in fotogrammi, in cui tutto sembra immobile e niente pare cambiare, che però fanno parte del film della nostra vita. È una visione romantica, in cui piace pensare che, come un fiore che esce dalla terra, la vita scivola talmente lentamente che la frenesia del campionamento della vita moderna non ci fa apprezzare il cambiamento. La bellezza di essere una specie quadri-dimensionale è proprio la possibilità di poter considerare l'immagine di sé nel passato e soprattutto nel futuro, con possibilità e opportunità. Le fotografie dentro quali noi pensiamo di vivere sono tri-dimensionali, ma l'evoluzione di questi sistemi nella dimensione tempo genera un universo con un numero minimo di 4 dimensioni, di cui non siamo in possesso, seppur attori e interpreti delle variabili di questo sistema. La nostra azione ci farà discostare dalla retta dell'andamento ideale di poco o di molto, in funzione del nostro contributo. È il concetto di fare la differenza.
Sembra che tra poco si vada a mangiare. Devo rimanere sveglio, altrimenti mi passeranno tutti davanti. L'essere quadri-dimensionale si immagina con la pancia piena. Poi il resto si vedrà.

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