giovedì 16 aprile 2015

Scende alla prossima?

Quanto possiamo sapere della gente che ci circonda?

Ieri sera, dopo una serata brava a base di aperitivo, vip, chiacchiere sul nulla e sushi (molto milanese, soprattutto l'ultima cosa) sono tornato a casa usando la metro. Non è che sia una cosa così mirabolante, tanto di esser degna di nota, eppure ogni volta mi fa strano. Utilizzerò i mezzi pubblici (principalmente la metro) almeno 2/3 volte a settimana, per cui non mi posso certo definire pendolare, più utilizzatore saltuario che neofita dei mezzi pubblici. So che mi devo mettere nel primo vagone perché la coincidenza con il cambio della metro alla tal fermata a cui scendo di solito è più comodo, ma se prendo la metro da una fermata da cui non sono mai salito può essere che sbagli direzione. Come è successo ieri sera. Spero di aver reso l'idea.
Insomma, quello che volevo dire, è che tutte le volte che mi ritrovo a prender la metro faccio sempre la stessa cosa. Guardo le persone. Ovviamente non con lo sguardo fisso e mantenendo il contatto visivo in maniera inquietante, ma do una sbirciatina, mi lascio incuriosire. Sì, perché le persone mi fanno lo stesso effetto delle versioni di latino. Sono strane, ne so poco niente, non le capisco e quindi invento delle bellissime storie su di loro, che magari non centreranno nulla con i personaggi reali, ma li rende più vicini, più umani. Non vi siete mai chiesti dove sta andando la persona seduta affianco a voi? Perché dovreste chiederglielo, in fondo non vi interessa in termini utilitaristici, ma è solo la vostra curiosità.
Mi sento un po' come si dovrebbe sentire Novecento, protagonista dell'omonimo film sulla Leggenda del Pianista sull'Oceano, quando in compagnia dell'amico Max comincia ad inventare le storie delle persone. Storie belle, che danno una spiegazione al perché la gente è lì, storie che mettono in mostra il bello e il brutto di ognuno di noi. Quella piccola licenza poetica che rende le nostre vite degli splendidi romanzi.
Vedere una donna molto stanca vestita bene mi fa pensare che lavori fino a tardi perché vive un periodo difficile, magari non ha tempo di curarsi di se perché ha dei figli, oppure una madre anziana a carico, e improvvisamente me la vedo tutta affaccendata nella sua vita. A volte immagino anche una musica di sottofondo.
I treni, che siano ferroviari o metropolitani, sono da sempre associati ai ricordi, all'immagine di un viso riflesso in un finestrino mentre guarda fuori. Io ho guardato fuori da un sacco di finestrini vedendo la mia immagine riflessa, e il sentimento che si prova è chiaramente descritto dal quadro di Boccioni intitolato "Quelli che vanno" (http://www.frammentiarte.it/dall'Impressionismo/Boccioni%20opere/32%20Boccioni%20-%20Quelli%20che%20vanno%20degli%20stati%20d'animo.jpg).
Magari sono tutto matto io, magari è solo un modo di passare il tempo mentre si è sotto terra, in aperta campagna, in mezzo al nulla. Ma mi piace pensare che ogni persona sia un'entità a se stante, che quindi merita rispetto a priori. Come quello specializzando che era in sala parto la notte in cui siete nati, una persona di cui nessuno si ricorda, ma che in quel momento ha incrociato la sua vita con un momento importante della vostra.
Poi magari non scenderemo alla stessa fermata, o andremo dalla stessa parte, ma entrambi ci andiamo per vivere le nostre vite.

2 commenti:

  1. Bioni quello che hai descritto è quelo che succede anche a me! Grazie! L'ho notato spesso: a volte le esperienze più personali, sono proprio quelle più universali. Suggerimento: perché non metti come immagine il quadro di Boccioni?

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    1. Ho scelto di mettere la scena della Leggenda del Pianista sull'Oceano (in cui si immagina la vita assieme alla ragazza) perché era più significativa del post per intero. Il quadro di Boccioni è bellissimo, magari la prossima volta che prenderò il treno gli dedicherò un post apposito.

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