mercoledì 15 aprile 2015

Io dico quello che voglio

Tutti hanno il diritto di dire ciò che vogliono?

Oh, finalmente. Oggi si parla di temi di pubblico interesse, non come anticipato ieri solo di discussioni competenti alla rubrica dei cuori solitari. Alcune persone infatti, mi hanno fatto notare, dopo aver letto i miei post, le parti su cui sono in disaccordo. Non sto indicando nessuno, Bea. Come ogni meravigliosa idea e verità assoluta che esce da me con forbiti voli pindarici, anche gli ultimi post erano assolutamente incontestabili, ma evidentemente qualcuno non sta capito.
Battute a parte, mi fa sempre piacere che ci sia un riscontro sull'argomento trattato, anche da un punto di vista diverso. Questa è una delle motivazioni che mi hanno spinto a lasciare il commento pubblico, di modo che tutti possano esprimere il proprio parere riguardo all'argomento del giorno. Inutile dire che anche questo è un invito a lasciare commenti.
La questione però si sposta leggermente a questo punto, ragionando quasi simultaneamente sulla legittimità del commento. Io mi fido dei miei lettori, che proprio perché sono pochi li conosco quasi tutti, ma effettivamente, è giusto che chiunque abbia la possibilità di commentare? Verrebbe da rispondere in maniera automatica di sì, perché la libertà di espressione (di cui questo piccolo Blog è un esempio esso stesso) è una colonna portante della società moderna. Oppure no? Perché allora se uno dice qualcosa di fuori luogo, insensato o anche stupido diventa il soggetto dell'espressione "hai perso un'occasione per stare zitto"? Siamo veramente disposti ad ascoltare tutti? Una volta chiesi ad una persona se potevo fare una retorica domanda stupida, ovvero stupida nel senso di facile e banale, e in risposta ebbi un rifiuto. "Se la domanda è stupida non ha senso stare ad ascoltarla".
Penso che ci sia una divisione in categorie, che tra loro sono ben definite, delle opinioni che meritano di essere ascoltate e no. Un ottimo esempio ci può venire dalla discussione mediatica generata qualche settimana fa da un tweet di Jovanotti che (appunto) lodava Salvini per la capacità di discussione e libertà individuale di esprimere il proprio parere. Il polverone si è scatenato quando Fedez, che di mestiere fa il rapper (ricordiamolo), ha cominciato a inveire in quanto secondo lui non fosse giusto lodare chi discrimina.
In questo esempio Jovanotti fa parte di una prima categoria, che ascolta e risponde a ciò che legge/sente. Cerca il dialogo costruttivo e apprezza che ci siano persone che la pensano diversamente. Il rapper milanese invece fa parte di un secondo gruppo, il quale non apprezza chi la pensa diversamente, anzi li discrimina a tal punto che non vuole nemmeno sentirli. Il problema di questo gruppo non sta in quello che dicono, neanche diverso dal primo, ma in quello che ascoltano. La comunicazione, base della crescita, si basa sulla presenza di due parti, un mezzo (a voce o per iscritto) e la comprensione del messaggio. Due persone che esprimono entrambe il proprio parere non stanno comunicando, stanno parlando da sole. Potrebbero parlare anche contemporaneamente, tanto non si stanno ascoltando. Se invece si ascoltano, possono discutere e capire meglio il soggetto della comunicazione.
In sintesi penso che il problema non sia in quello che uno possa dire, o almeno non il primo problema, quanto quanto si è ascoltato prima di aprir bocca.
Lo so. Ho perso un'occasione per stare zitto.

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