sabato 30 maggio 2015

Storia della Città Senza Nome (esercizio di stile)

Sono sul treno.
Era decisamente tanto che non ne prendevo uno, specialmente uno di questi. Carta straccia per terra, sedili macchiati, una seconda classe che potrebbe tranquillamente essere una terza, e una prima che potrebbe essere classificata in egual maniera. Un treno che si prende per andare semplicemente da un punto A ad un punto B, magari anche scomodo, dove non arrivano tutti. Dove non devono arrivare tutti perché non è di interesse per tutti, ma solo per alcuni. Quegli alcuni che si guardano attorno, guardano fuori, cercano di dormire o leggono, assieme a me, su questo treno. Era decisamente troppo poco che non prendevo più un treno così.
Il treno avanza lentamente, taglia campi e colline con case che si affacciano sulla ferrovia. Mi chiedo sempre chi ci viva in quelle case, a 10 mt dai treni che passano. Ci sono dei panni alla finestra, è una bella giornata.
Il rumore di fondo copre tutto, tranne quando si apre la porta del vagone: allora si sente tutto amplificato, poi un sibilo e di nuovo rumore di fondo. Qualuno entra, qualcuno esce, si va in bagno e qualche furbo prova a sopperire al desiderio di fumare facendolo nella toletta. Lo so perché il controllore gli sta facendo la multa. Avrebbe dovuto saperlo.
Ci fermiamo in una stazione. Non ho fatto in tempo a vedere il cartello con il nome, per capire dove fossimo. Poco importa, non è la mia. È uguale a centinaia di altre stazioni. Le tettoie, le scritte "Vietato attraversare i binari", i pannelli luminosi per indicare i treni in arrivo sono uguali ovunque. So che non è la mia solo perché l'orologio mi dice che non lo è. È strana, questa stazione di questa città senza nome. Non so dove mi trovo, eppure esiste. Non mi interessa dove sia, eppure qualcuno ci vive. Non so come si chiama, eppure per qualcuno è molto importante.
Capisco che non è necessario dare un nome alle cose, perché esistano. Serve solo a capirle meglio, per poterci riferire noi stessi a queste. Potrei scendere, esplorare questa città. Ci troverei quasi sicuramente una piazza, una fontana o una chiesa. Diverse, ma come in tutte le altre città senza nome.
Ciò che per molti è il centro dell'universo per me non varrà la pena di essere nemmeno ricordato, nemmeno uno spazio di memoria vicino alla faccia di quel vostro amico con cui non eravate poi così amici da piccoli. Eppure esiste.
Un paio di persone scendono, 4 o 5 salgono. Vanno da qualche parte, come me. Vivono la loro vita, come me. Non so chi siano, come io per loro. Eppure siamo tutti qui, estranei, accomunati da una casualità geografico-sociale che ci impone vicinanza. Quando scenderò anche io farò così. Senza salutare nessuno, badando solo al gradino che mi separa da casa.
Cioè la città senza nome di qualcun altro.

Chiedo perdono per un post che nasce come intellettuale, e quindi suona depresso, ma per davvero ero su un treno. Prometto che dalla settimana prossima torno a parlare di scemenze. E poi lamentati poco, oggi è Sabato e non dovevo nemmeno scrivere. Eccheccavolo.

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