sabato 30 maggio 2015

Storia della Città Senza Nome (esercizio di stile)

Sono sul treno.
Era decisamente tanto che non ne prendevo uno, specialmente uno di questi. Carta straccia per terra, sedili macchiati, una seconda classe che potrebbe tranquillamente essere una terza, e una prima che potrebbe essere classificata in egual maniera. Un treno che si prende per andare semplicemente da un punto A ad un punto B, magari anche scomodo, dove non arrivano tutti. Dove non devono arrivare tutti perché non è di interesse per tutti, ma solo per alcuni. Quegli alcuni che si guardano attorno, guardano fuori, cercano di dormire o leggono, assieme a me, su questo treno. Era decisamente troppo poco che non prendevo più un treno così.
Il treno avanza lentamente, taglia campi e colline con case che si affacciano sulla ferrovia. Mi chiedo sempre chi ci viva in quelle case, a 10 mt dai treni che passano. Ci sono dei panni alla finestra, è una bella giornata.
Il rumore di fondo copre tutto, tranne quando si apre la porta del vagone: allora si sente tutto amplificato, poi un sibilo e di nuovo rumore di fondo. Qualuno entra, qualcuno esce, si va in bagno e qualche furbo prova a sopperire al desiderio di fumare facendolo nella toletta. Lo so perché il controllore gli sta facendo la multa. Avrebbe dovuto saperlo.
Ci fermiamo in una stazione. Non ho fatto in tempo a vedere il cartello con il nome, per capire dove fossimo. Poco importa, non è la mia. È uguale a centinaia di altre stazioni. Le tettoie, le scritte "Vietato attraversare i binari", i pannelli luminosi per indicare i treni in arrivo sono uguali ovunque. So che non è la mia solo perché l'orologio mi dice che non lo è. È strana, questa stazione di questa città senza nome. Non so dove mi trovo, eppure esiste. Non mi interessa dove sia, eppure qualcuno ci vive. Non so come si chiama, eppure per qualcuno è molto importante.
Capisco che non è necessario dare un nome alle cose, perché esistano. Serve solo a capirle meglio, per poterci riferire noi stessi a queste. Potrei scendere, esplorare questa città. Ci troverei quasi sicuramente una piazza, una fontana o una chiesa. Diverse, ma come in tutte le altre città senza nome.
Ciò che per molti è il centro dell'universo per me non varrà la pena di essere nemmeno ricordato, nemmeno uno spazio di memoria vicino alla faccia di quel vostro amico con cui non eravate poi così amici da piccoli. Eppure esiste.
Un paio di persone scendono, 4 o 5 salgono. Vanno da qualche parte, come me. Vivono la loro vita, come me. Non so chi siano, come io per loro. Eppure siamo tutti qui, estranei, accomunati da una casualità geografico-sociale che ci impone vicinanza. Quando scenderò anche io farò così. Senza salutare nessuno, badando solo al gradino che mi separa da casa.
Cioè la città senza nome di qualcun altro.

Chiedo perdono per un post che nasce come intellettuale, e quindi suona depresso, ma per davvero ero su un treno. Prometto che dalla settimana prossima torno a parlare di scemenze. E poi lamentati poco, oggi è Sabato e non dovevo nemmeno scrivere. Eccheccavolo.

venerdì 29 maggio 2015

Io non dormo, sogno.

Durante l'estate ogni tanto leggo dei libri. Lo so, avendo già scritto un post sulla letteratura e la passione per la lettura dovrei essere più acculturato, ma la verità è questa: leggo d'estate o quando sono in treno. Entrambe cose che capitano sempre meno spesso. Ho cominciato durante il periodo dell'università, a leggere d'estate, perché ero talmente bravo che riuscivo a finire gli esami nella sessione di giugno luglio, ricavandomi l'intera stagione libera. Solo un anno non ci sono riuscito, ma ero talmente felice di essere arrivato in fondo a quel calvario che me ne sono anche abbastanza fregato.
Tra i libri che mi è capitato di leggere, durante il periodo scientifico/filosofico, è stato "L'interpretazione dei sogni" di Freud. Molto bello, non ci ho capito moltissimo, a dir la verita, ma lo consiglio. Secondo lui infatti, ogni cosa che sogniamo ha un corrispettivo nella realtà, per cui tutto ha un significato. Non so se sia un miscuglio di inconscio e astrologia, ma spesso anche a me capita di sognare qualcosa, e a volte anche di ricordarmene. Mi vanto spesso di avere una vita movimentata, ma dato che siamo carenti di argomenti di pubblico interesse, ho deciso di raccontare cosa ho sognato stanotte. Così, per farvi capire che anche il mio subconscio è scemo.
Mi trovavo in un campo da golf con tutta la mia famiglia. Non so il perché di questa ambientazione ma vabè, e avevamo deciso di fare una gara. Sta di fatto che, a freddo, decido di tirare per primo senza essermi scaldato. Giusto per far vedere quanto sono bravo. La palla va a 10 mt da dove l'ho tirata, e per di più in acqua. Decisamente un campione. Mentre gli altri vanno avanti nella buca, decido di recuperare la mia pallina nel laghetto: è lontana dal bordo, più della lunghezza del bastone che sto cercando di usa per recuperarla. Credo che intuiate come va a finire, per cui ovviamente casco in acqua. La famiglia va avanti, io gli dico di non aspettarmi, che mi sistemo e li raggiungo. Bagnato fradicio, mi dirigo verso l'albergo che c'è di fianco al campo da golf, e quando arrivo alla reception chiedo le chiavi della camera 213. Perché quel numero? Perché è un numero di stanza che c'è sempre negli alberghi, e in fondo avevo solo bisogno di darmi una sistemata. Mi danno la chiave, senza fare storie. La mia faccia convincente ha funzionato, anche stavolta. Sotto me la rido.
Entro in questa meravigliosa suite, con mobili Luigi XII (o XIII), arrivo in una delle stanze da letto e mi spoglio per farmi una doccia. Mi avvolgo un telo attorno alla vita  e comincio a girare alla ricerca del bagno, che però non trovo. Passo attraverso camere da letto, saloni, cucine, ma il bagno proprio non lo trovo. Fino a che, attraversando un salotto di quella che più che una stanza mi sembra un palazzo, incrocio quello che, probabilmente, è il reale proprietario della suite 213. È di spalle, seduto su una poltrona, ma si accorge di non essere solo, si alza e mi vede. È troppo tardi per fare il passo felpato, mi ha visto. Ci guardiamo, un uomo brizzolato, in camicia, e l'altro (io) mezzo nudo con un telo da bagno attorno alla vita. Almeno con un telo pulito. Capisco che non è il momento di tergiversare, fuggire o scusarsi. Il suo cervello non è in grado di reggere, come se a un pranzo coi genitori della fidanzata andaste in bagno e uscite nudi: è troppo. Sfrutto il momento di indecisione sogno o son desto che leggo nei suoi occhi per attaccare.
"Si può sapere dov'è il bagno in questo posto?? Saranno 15 minuti che lo cerco!" gli dico.
Non reagisce, non capisce, non saprebbe nemmeno dove cominciare, se gli chiedessero di raccontare quello che sta succedendo. Timidamente mi indica una porta, allora, dopo aver esclamato il mio disappunto dicendo "era ora!" entro in bagno. Certa gente l'assurdità non la regge. Continuo a ridermela.
Mi sistemo, mi rivesto ed esco. Intanto i miei hanno finito la gara, e decidiamo di andare via, ma non ho con me le chiavi della macchina, per cui l'idea più furba è quella di prenderne una in prestito. Sì, non volevo dire rubare, ma stiamo parlando di quello. Apro la portiera di una Smart, l'accendo e parto. Passo a prendere mia madre, che salendo mi chiede dove abbia preso questa macchina che non ha mai visto. "È di un amico" le dico, sembra sia sufficiente come spiegazione. Mentre siamo in viaggio mi arriva una telefonata di lavoro, e dato che sono un ladro gentiluomo ho già associato il Bluetooth del telefono al Viva voce della macchina. Mia madre sente la telefonata e pensa che a parlare sia una sua conoscenza, per cui comincia a parlarci lei, fino a quasi litigarci. Cerco di spiegarle che si tratta di lavoro, che non centra niente, e sono imbarazzatissimo, quindi lei decide di mettere giù, e lo fa pure stizzita.
A quel punto apro gli occhi e vedo che la sveglia segna le 8.00. Ovviamente ho fatto tardi, ma chissà che avrei potuto sognare se avessi continuato a dormire.
Mi sa che devo mangiare di meno la sera.

giovedì 28 maggio 2015

L'ermo colle (del Portello)

Oggi non avevo proprio voglia di andare a casa dopo il lavoro.
Ho sentito dire che è una di quelle quattro giornate all'anno in cui si sta veramente bene. Saranno i 24 gradi, sarà il caldo che ti fa togliere la giacca ma non ti fa sudare, sarà semplicemente il fatto che cominciamo ad abituarci all'idea che l'estate stia arrivando, di nuovo.
Per chi non conosce Milano, dovete sapere che la città si sta rinnovando molto, Expo o non Expo. Lentamente, un quartiere alla volta, stanno spuntando come funghi palazzi di design e piazze da adunata oceaniche, tutte rigorosamente in pendenza. Sinceramente non capisco il discorso di fare le cose storte, ma ne posso capire l'estetica. Uno dei quartieri che sta vivendo una seconda vita è quello del Portello, una volta zona brutta ai margini della circonvallazione, ora inquadrato in tutte le immagini di repertorio Rai su Milano-in-Expo. È, per farvi capire, la parte coi palazzi della Vittoria Assicurazioni e di Casa Milan, ovviamente storti anche loro. Ci passo sotto molto spesso, perché per andare a Varese la circonvallazione si allaccia alla bretella per l'A8 Laghi proprio lì, quindi è una zona che mi vanto di conoscere bene. Tutte le volte, passando sotto al ponte pedonale, guardo la montagna del Portello e immagino come sia salirci sopra.
Dovete sapere che Milano è in piano, per cui tutto quello che supera in altezza un albero è artificiale. Probabilmente è stata costruita occasionalmente, molto all'italiana, quindi non oso pensare quanti rifiuti, copertoni, pannolini e pentiti ci siano dentro. Oggi avevo voglia, avevo tempo, mi sono fermato e ho deciso di vedere cosa si vedeva da lassù.
Mi ero immaginato una ascesa alla Rocky ascoltando Hearts on Fire e urlando Dragooooo arrivato in cima, ma appena ho capito come era la passerella per salire ho desistito. Praticamente, per fare 20 mt in altezza di montagna, hanno fatto due sentieri a doppia elica con passo cortissimo, per cui per arrivare su bisogna fare qualcosa come 8 giri della montagna. Roba da far vomitare una pattinatrice professionista. Arrivati in cima però ci si gode il panorama. Sì, la prima cosa che si vede è il viadotto Serra in tutto il suo splendore (ironico), ma dietro ci sono tutti i nuovi palazzi della fiera e di City Life non abbiamo solo i quartieri fighetti, ma anche i nomi fighetti per i quartieri fighetti. C'è un piacevole venticello, perché per la teoria dell'albero, qui non c'è mai vento, quindi fa strano sentire che, superata l'altezza dei palazzi, ci sia una brezza. La quale ha reso i 20 minuti passati lassù in contemplazione, ancora più piacevoli.
Mi è piaciuto scoprire che qualcosa che volevo fare da due anni e mezzo, e mi ero sempre chiesto come fosse, in realtà è completamente diverso da come me lo immaginassi, ma egualmente bello. Mi piace vedere la mia città da un altro punto di vista, perché qui basta cambiare angolazione per avere un'immagine completamente diversa. No, non farò uno sproloquio su come sia una metafora della vita. Sono troppo rilassato e in pace per fare riflessioni sulla vita e il modo di affrontarla. A volte basta questo, 20 minuti in pace, per non pensare a niente. Ed essere felici.

mercoledì 27 maggio 2015

50 sfumature di scemo

Stamattina mi sono svegliato di buon umore. Diciamo che avevo voglia di ridere.
Recentemente, mi è stato fatto notare che quando scrivo dei post che possono essere profondi come contenuti, in realtà sono abbastanza noioso. Pare che la maggior parte della gente che legge qui, mi legga solamente per sapere quando dico delle scemenze. Non so se sentirmi un po' offeso o lusingato, e questo teoricamente dice molto sulla mia intelligenza. Non mi sono mai considerato un comico, nel senso che non mi sono mai sforzato di esserlo. Il comico per lavoro fa ridere, io semplicemente riporto quello che mi succede. Poi che spesso mi succedano cose improbabili è tutto un altro discorso. Tra l'altro, il fatto che una delle frasi che mi viene detta più spesso sia "che scemo che sei" la dice anche questo lunga. Penso di avere una buona capacità di associazione di idee, ovvero che basta darmi una nota per partire con una melodia. Un po' come Roger Rabbit con "ammazza la vecchia...". Forse è per questo che c'è chi dice che la mia vita è come se avesse una colonna sonora: ho sempre una canzone per ogni momento. Vi faccio un esempio: stamattina, quando sono uscito di casa con la macchina, mi è partito in surround l'audio di una Audi S1 quattro di gruppo B on board tradotto in femminese una macchina da corsa che fa tanto, troppo rumore, per cui ho affrontato il dosso della strada davanti a casa ai 170, pensando di essere in una macchina da rally. Poi è arrivato il momento mariachi, che in ogni mattina di buon umore non manca mai. Parte la musichetta messicana e ogni volta che la musica si ferma bisogna gridare "Ehi!", tenendosi il sombrero immaginario no, non ho un sombrero in macchina, ma solo per un discorso di spazio. Ovviamente altri momenti che durante la settimana ci devono essere sono il momento Pooh in cui nessuno può fermare la musica e a volte un uomo è da solo perché ha in testa strani tarli, oppure affiancarmi a qualcuno in autostrada facendo finta di correre con le braccia. Sì, diciamo che se mi incrociate per strada non fareste fatica a riconoscermi.
Secondo Seneca un grande genio è sempre associato a un po' di follia. Ora, io Seneca non l'ho mai aperto al liceo, per cui non sono proprio un luminare della materia, ma qua non ci sono certo gli estremi per definirmi un genio e chi mi conosce sa che siamo sufficientemente lontani dal dirlo, però forse aveva ragione. In realtà mi sento più vicino ad un'altra definizione di genio (comico), che viene data durante e il film "Amici Miei", cult che tutti dovrebbero vedere:
Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione.
La capacità di essere geniali e parlo di "capacità" perchè secondo me bisogna applicarlo, non solo esserlo, quindi, non è una mera caratteristica intrinseca, ma si manifesta applicando le quattro caratteristiche. Menzione particolare per l'ultima, perchè le prime tre sono abbastanza comuni: magari a tutti viene in mente cosa avrebbero dovuto fare, o dire, ore dopo, a me quando capita mi succede mentre sto facendo la doccia, ma solo chi ha il "genio" ha la capacità di avere il giusto tempo per fare le cose. Timing, si direbbe oggi cercando di mescolare vocaboli inglesi con quelli italiani. E because io sono un young person molto trendy, mi adatto ai trend.
Essere scemi può essere un dono, ma solo chi lo usa con genialità conosce la sottile linea di demarcazione tra il dono e la sventura. Ovvero riuscire a strappare un sorriso a chi, guardandolo, gli dice "che scemo che sei".



martedì 26 maggio 2015

Il mercato del martedì

L'altro giorno ho scoperto che è un mio compagno di classe, di quelli delle elementari di cui ti ricordi malapena il nome e la faccia, solamente per la foto in cui sei venuto con gli occhi chiusi mentre tutti gli altri sorridono, è diventato un blogger di successo. E non parlo di successo provinciale, o del condominio, come posso essere io, bensì proprio successo a livello nazionale e internazionale. Sembra che sia diventato un'autorità in termini di vestiario maschile, a tal punto da ricevere un vero e proprio stipendio, quindi poter vivere di quello.
Ci pensavo stamattina, mentre uscendo di casa ho incrociato il solito mercatino dell'ortofrutta. Non ci sono mai andato a questo mercatino, anche perché ho la brutta abitudine di non comprare frutta e verdura fresca a dir la verità ne compro poca in generale. Tutte le volte, il martedì mattina, ci passo davanti e penso sempre la stessa cosa. Che, dato che c'è il mercatino, non è più lunedì e la settimana sta andando avanti. Mi mette sempre un po' di forza in corpo tutto questo, perché significa che sto andando avanti. Considerando il mio poco spirito di autoconservazione, come direbbe qualcuno, è da considerarsi un grande successo. Vedendo quello che era successo con il mio compagno delle elementari, stamattina mi è venuta un po' di amarezza. Non certo invidia, ho visto come porta i pantaloni lui con risvoltino e sinceramente non capisco perché adesso vadano di moda i pantaloni corti, non corti al ginocchio ma corti 10 centimetri sopra la caviglia, però mi sono fatto delle domande su cosa stia combinando io. Non sto dicendo che vorrei avere una vita come quella di Batman anche se qui va detto che nessuno ha mai visto me e Batman nella stessa stanza nello stesso momento, che è tutto un dire, ma oggettivamente le luci della ribalta sono attraenti per chiunque. Basti pensare a cosa è stato per Ulisse affrontare le sirene.
Quello che mi fa apprezzare questo periodo, in cui sinceramente dal punto di vista professionale e di crescita non sta succedendo molto a livello di disclaimer devo dire che da altri punti invece sto andando avanti, è che comunque per apprezzare un bel quadro ci deve anche essere un muro bianco attorno. Non può esistere la bellezza superiore se circondata da bellezza stessa, la bellezza deve essere circondata da normalità per poter risaltare. Per dirlo in un modo estremamente sessista, è l'amica brutta che tutte le ragazze belle si portano dietro. Il periodo in cui non succede molto di nuovo, quei cinque anni che avete passato a lavorare per la stessa azienda, alla stessa scrivania, quei cinque anni passati a scuola, non sono altro che i mattoncini nel muro che poi verranno dipinti di bianco per appenderci sopra il quadro meraviglioso che vi rappresenterà nella vostra vita. E probabilmente un giorno mi ricorderò del mercatino dell'ortofrutta il martedì mattina quando uscivo dalla mia vecchia casa, e di come mi faceva intuire il tempo che passava. Come la crepa nel muro del mio bagno, che a me sembra sempre uguale quando sono seduto lì, eppure diventa ogni mese più grande. Anche qui a livello di liberatoria, nel caso mi doveste trovare trovare svenuto nel mio bagno colpito da un mattone alla testa crollato dal soffitto, siete pregati di tirarmi su i pantaloni e dire che mi stavo lavando i denti.
Quello che oggi sembra inutile, domani sarà aver lavorato per qualcosa di migliore. Proprio come mangiare le arance che ho comprato tornando a casa al mercato. Almeno non mi verrà il raffreddore.

lunedì 25 maggio 2015

Oblio, sale e aceto

Comincio a farlo sempre più spesso.
Lo so, e mi dispiace. La verità è che certe volte quello che penso, specialmente nell'ultimo periodo, è troppo personale per essere pubblicato online. Perché, come dice una battuta di un bellissimo film (The Facebook), su internet non si scrive a matita, ma con l'inchiostro. Non si può tirare il sasso nello stagno e sperare che le onde non arrivino al bordo, non so se mi spiego. Per cui, sull'onda delle lamentele che mi sono arrivate a riguardo, voglio parlare proprio di questo. No, non delle cose personali, ma della riservatezza di aver cura di quello che si dice.
Sono un estimatore dei Social network. Mi vanto spesso di essere uno dei primi ad aver fatto un profilo di Facebook, nel 2007 (FB nasce ad Harvard solo 3 anni prima), invitato da un mio amico dell'università che conosceva gente in america, dove era già diffuso. Rimasi subito affascinato della possibilità di poter rimanere in contatto con tutte le mie conoscenze, vicine o lontane che fossero. E soprattutto di sapere se le ragazze fossero single senza chiederlo, prima che cominciassero tutte a sposarsi con le loro migliori amiche. Che cosa bizzarra. E inquietante. Come tutte le belle cose lasciate alla discrezione popolare, però, lentamente ha cominciato a degenerare. La gente non aveva più solo voglia di mostrare, voleva vedere. Ed ecco che si cominciò a curiosare nei profili altrui, e di colpo comparvero interi album di foto, vacanze, battesimi e feste della nonna intervallate da piatti di gastronomia improbabile. E comparvero i tag, ovvero le foto associate ad una persona, per cui non dovevi nemmeno più fare lo sforzo di pubblicare tu stesso le tue immagini, qualcun'altro lo avrebbe fatto per te. Inutile immaginare come la cosa sfugga di mano. Si comincia ad essere taggati su foto che non dovrebbero mai essere proiettate su uno schermo, o non dovrebbero esistere tipo quelle di una generica festa a cui ho presenziato io, ogni volta che si apre la pagina hai la possibilità di farti i fatti di tutti e sapere chi si è lasciato con chi e a chi piace cosa. Troppe informazioni. Quando tutto questo è stato troppo, era decisamente stato passato il segno. In quel periodo, studiando diritto, avevamo affrontato il D.Lgs. 196/03, riguardante le privacy, quindi ero fresco di argomento. Non mi andava quindi che il mio diritto all'oblio fosse negato per mano altrui. E anche perché quelli che mi conoscono bene e sanno la storia, sanno anche che non l'unica motivazione, ma in fondo si compenetrano. Quindi, come in una di quelle pubblicità progresso pietose che fanno solo venire voglia di cambiare canale ho detto "basta" e non ci sono più tornato. Social sì, ma con criterio.
Con questa filosofia è stato creato il blog. Su questa piattaforma ho il completo controllo di quello che succede. Se ho voglia di dire qualcosa lo faccio, e se mi metto in una situazione ridicola o imbarazzante succede più spesso di quanto crediate è per mano mia. Non sono certo un maniaco del controllo, è solo che, come tutti, voglio essere responsabile di e per i miei errori. E quindi se voglio scrivere che le cose belle succedono, ogni tanto, e scriverlo con un sorriso sulla faccia, non lo dico tanto per dire. E se voglio dire che a volte le cose belle hanno due gambe e due occhi (belli pure quelli) e anziché essere plurali è singolare, lo voglio dire io, non che si venga a sapere per sentito dire.
Ma di questo forse parlerò un'altra volta.


mercoledì 20 maggio 2015

I dieci comandamenti

Che stanchezza, questo mercoledì. Comincio a essere favorevole nei confronti di quelli che chiamano questo giornata "giorno collinetta". La settimana, è ancora lunga, specie con un tempo del genere. Il meteo qua è tutto grigio, bagnato per terra ma non in cielo. Poca luce, tanta stanchezza, e poca voglia di fare in generale. Meno male che c'è un modo di tenere la testa occupata, in giorni come questo. Certo, se uno poi si mette a parlare dei massimi sistemi, il tempo comincia a non bastare più.
Oggi vorrei parlare dei dieci comandamenti.
E, badate bene, non sto parlando dell'insegnamento religioso delle tavole della legge, almeno non in senso stretto, ma dello spettacolo ad essi legato interpretato da Roberto Benigni. Faccio una premessa, per correttezza. Non penso di essere la persona adatta per parlare di religione, almeno non in maniera pubblica come può essere questo blog. Ammetto di aver studiato la materia, ma non posso certo definirmi un esperto, o un esempio che gli altri potrebbero seguire. Tornando alla trasmissione del programma di Benigni, ammetto, facendo mea culpa, di averlo visto per la prima volta solamente ieri sera. Mi rendo conto che la cosa sia alquanto strana, essendo una trasmissione andata ormai in onda anni fa, solamente, ne avevo tanto sentito parlare, ma non avevo mai avuto il tempo o l'intenzione di guardarlo. A questo punto penso sia doveroso ringraziare la persona che mi ha consigliato e permesso di vederlo. Ammetto che all'inizio non ero particolarmente colpito. La teatralità di Benigni è sicuramente affascinante, anche se ho sempre contestato il modo grottesco che, certe volte, ha di cercar di far ridere il pubblico. Non mi sono mai piaciuti i comici che, per far ridere, cominciano a ridere prima loro. In realtà anche essa è parte dello show, e da persona intelligente sfrutta anche quello per mandare un messaggio.
Non voglio parlare dei dieci comandamenti a sé stanti, voglio parlare del modo in cui l'ha fatto lui. Trovo che quello di cui ha parlato sia di interesse pubblico, quindi non rivolto solamente alle persone che credono e si definiscono cristiani, bensì tutti, laici e non. La cosa meravigliosa di questo spettacolo, è la possibilità di dare spunti di riflessione alle persone. Non si tratta solamente della ripetizione di qualcosa che abbiamo sentito centinaia, se non migliaia di volte, magari senza neanche averlo capito così bene. In questo spettacolo, l'attore toscano permette di riflettere riguardo alcuni aspetti della vita di tutti i giorni. Certamente, sta alla teologia come Piero Angela sta alla scienza. La divulgazione ha sempre avuto, tra le sue necessità, l'esigenza di tagliare da qualche parte. Si può quindi obiettare Benigni la faccia troppo semplice certe volte, ma in realtà è una facilitazione del pensiero, quindi non necessariamente sbagliata. Si può essere d'accordo come non esserlo con quello detto durante lo spettacolo, sta di fatto che non è da prendere come una verità assoluta, ma solo un punto di partenza. La cosa bella che ho notato durante questo spettacolo, è come ognuno di noi possa ricondurre frasi dette alla propria esperienza personale. Lo spettacolo entra a far parte della nostra vita, e ci sentiamo presi in causa, come soggetti e attori di questa rappresentazione. Ho trovato quindi sterili le polemiche legate a questo spettacolo: ho sentito dire che alcune persone si sono indignate per il cachet ricevuto dall'attore, oppure che alcuni esponenti della Chiesa si siano arrabbiati per alcune espressioni o battute. Io stesso ho trovato che alcune interpretazioni non fossero del tutto corrette. In realtà non è un discorso di correttezza, ma di possibilità di interpretazioni multiple. Ma questo non influenza il mio giudizio sullo spettacolo. Se anche solo una persona, guardando questa rappresentazione, avuto modo di ragionare sulla propria vita, e delle persone che gli stanno accanto, allora significa che è servita qualcosa, e ha raggiunto il suo scopo. Lo scopo di Benigni non era certamente è quello di avvicinare la gente la Chiesa, ma di rendere più consapevoli tutti del fatto che esistono delle norme di vita morale, i dieci comandamenti che sono stati scritti per vivere bene in comunità, e che quindi riguardano tutti, di nuovo, credenti e non. Ha permesso alla gente di pensare, su un argomento tanto difficile e complesso. E se ogni tanto ci ha infilato una battuta per far ridere, sono sicuro certo che non l'ha fatto per denigrare qualcuno ma solamente per mantenere alta l'attenzione del pubblico.
Per chi, come me se lo fosse perso finora, allego il link dove si può vedere la seconda parte:
http://www.dailymotion.com/video/x2k1rn6
Mi rendo conto rileggendo il tutto di aver scritto un post un po' troppo serio. Per rimediare vi racconterò cosa mi è successo ieri a pranzo: mi sono fermato in un ristorante self service a mangiare, e ho ordinato al cuoco un risotto al radicchio. Avevo particolarmente fame, anche perché non avevo fatto colazione. Nel momento in cui lui mi ha chiesto se volessi il formaggio sopra il risotto gli ho risposto di sì. Subito dopo, spinto dalla fame, detto al cuoco "fammelo abbondante". Morale della favola, non essendo stato capito, ho ricevuto un piatto di riso normale, con sopra una montagna di formaggio.
Evidentemente, dovevo specificare.

martedì 19 maggio 2015

Il salto dal trampolino

Vorrei cominciare questo post con una dedica. Il mio pensiero va all'umorismo, alla sagacia e alla saggezza che aveva il post odierno, il quale è stato brutalmente cancellato (senza il mio consenso) dal programma che uso per scrivere. Proverò a riscrivere quello che avevo fatto, ma se non vi piace prendetevela con lui. Can'tan vegna 'n azidant.

Ieri è stata una giornata tosta. per carità, non intendo dire che è stata il contrario di quello che ho scritto nel post il giorno scorso, ma solo che è stata faticosa. Basti pensare che quando sono tornato a casa, abbastanza presto per fortuna, il vicino di casa mi ha accolto con un "ingegnere, già a casa a quest'ora?". Abbastanza per mettere alla prova e far sentire in colpa chiunque. Ho risposto solo sorridendo, anche perché che ne sa lui di quello che ho fatto io, o meglio, di quello che dovrò fare? Un mio carissimo amico avrebbe risposto con un sonoro "ma ci cazze vu? facite u cazz tui", molto colorito e che rendeva l'idea, ma ho scelto la via elegante. Anche perché poi sono rimasto per 2 ore davanti ad Excel, come un fesso, con la cravatta, in casa da solo. Morale della favola, finito tutto questo ero veramente cotto.
A quel punto dovevo scegliere che fare. L'idea di partenza era quella di mangiare qualcosa, sdraiarsi su un comodo divano e guardare fino all'ora di cena il mio programma preferito. Ma la realtà non è proprio così, e non nel senso che qualcosa si è messo in mezzo, ma per l'incapacità di realizzare il piano. Infatti, causa supermercato poco fornito, non avevo nulla da mangiucchiare, il mio divano può essere definito in tanti modi tranne che comodo, e in tv proprio non c'era niente. Allora perché non sfruttare la bella giornata e andare ad allenarci un po' al parco. Ma sì, perché no? Perché sono stanco, ecco perché no. Ma dai, ti fa tanto bene, poi lo sai che sei contento.
A quel punto mi sono ricordato di un evento che mi ha sempre fatto da esempio quando si parla di forza d'animo nel fare. La storia del trampolino.
Una volta, in una vacanza, di quelle che si facevano da piccoli in montagna d'estete con le bici, ci fermammo a fare il bagno in un lago. Un lago di montagna appunto. Gli austriaci non vanno tanto per il sottile, e anche se l'acqua non era proprio il massimo avevano costruito tutto un parco acquatico, con tanto di trampolino olimpionico, da 3, 5 e 10 mt. E cosa c'è di più bello per un bambino dei tuffi? Superati i primi due agevolmente, decido di lanciarmi da 10 mt, perché sono un uomo vero e non ho paura di nulla. Detto-fatto, infatti arrivato in cima me la sono fatta sotto guardando giù. Dovete sapere che a quell'altezza c'è molto più vento che a terra, e l'acqua sembra incredibilmente più dura di come sia qualche metro più in basso. Scatta una sorta di istinto di sopravvivenza. Però volevo farlo, a tutti i costi, anche solo per raccontarlo. Presi quindi una decisione incosciente, ma che mi sarei portato avanti per tutta la vita, pur di saltare. Saltai un metro prima del bordo.
Abbastanza per non vedere giù prima di buttarsi, ma anche troppo tardi quando, ancora in volo, avrei superato il bordo, per tornare sui miei passi. E adesso sono qui a raccontarlo. Ho scoperto che per questo genere di cose l'importante è mettersi in condizione di cominciare, perché poi il resto viene da sè. Fare il primo passo, il primo sforzo, che è sempre il più difficile. Quindi ieri mi sono vestito, e sono uscito di casa, che era l'unico obiettivo. A quel punto, fuori casa, ti passa la voglia di tornare dentro e dici il fatidico "già che sono qui..". Ho sentito dire che per avanti davanti a tutto bisogna bruciare i ponti e interrompere le strade, ma secondo me non è così tragico. Basta solo mettersi in condizione di cominciare, e, in un certo senso, di non poter tornare indietro.
Sono stato un'oretta e mezza ad allenarmi sotto il sole, e quando sono tornato a casa ero felice. Di essermi allenato e di aver fatto qualcosa che mi ha fatto bene di cui non avevo voglia. Dimostrando a me stesso che se mi ci metto posso.


lunedì 18 maggio 2015

Un lunedì come tanti

Rieccomi, scusate.
Non vorrei fomentare le voci di chi dice che chi scrive un blog è perché non ha una vita sociale, ma questa volta devo darci ragione. Negli ultimi giorni sono stato presissimo da un sacco di cose, avvenimenti e persone, quindi la scrittura è passata un po' in secondo piano. Se non altro, ho qualcosa di cui parlare. In fondo, se non c'è un minimo di azione, dopo un po' le cose di cui uno può parlare sono sempre le stesse, andando via via esaurendosi gli argomenti. Meglio quindi mettere anche la testa fuori dalla propria tana, ogni tanto, e chiedere al mondo, in pieno stile Bugs Bunny, "Ehm, che succede, amico?"
Vorrei fare tantissimi auguri ad una coppia di ex-neo-sposini, che ieri hanno festeggiato il loro primo anniversario di matrimonio. Sembra impossibile che sia già passato un anno intero, specialmente nel momento in cui mi chiedo che cosa abbia combinato quest'anno di così importante e coinvolgente da non avermi fatto fare niente che potrei ricordare in questo istante. Forse sono stato spesso ubriaco, il che spiegherebbe il vuoto di memoria, ma non credo. Credo che sia veramente collegato ad un misto di tempo che passa sempre più veloce e tempistiche mie che si allungano. Ci vuole più tempo per fare tutto, meno male che il tempo passa più velocemente. Ma veniamo al punto.
Finalmente è lunedì. È appena finito un weekend ormai pieno di ricordi. Ho fatto un sacco di cose, ma, appunto, sono dei ricordi. La cosa che mi mette di buon umore oggi è che oggi sia un giorno in più. Non è semplicemente il giorno dopo al weekend, ma è il giorno successivo. Ieri non ci contavo molto sul lunedì, ma oggi sono grato di averlo. Mi spiego meglio. Avete presente quando volete che un istante non finisca? Ecco, è un'immagine certamente fiabesca, ma è sintomo di continuità. Si vuole continuare a vivere quel momento ancora, e ancora, e ancora. Nel weekend ho avuto dei momenti in cui sono stato molto bene, e oggi continua. Oggi è il giorno in cui posso continuare a stare bene, di conseguenza tutta la settimana che verrà. E chi se ne importa se poi c'è da lavorare, ci sono le menate e via dicendo, perché quelle ci sono comunque, ogni settimana, ogni giorno, tanto vale tenerle in conto. Non parlo di ignorarle, ma di saperle affrontare nel momento in cui sai cosa ti troverai di fronte. Un po' come chi si lamenta delle tasse, pur sapendo che prima o poi arriveranno, in una certa quantità nota a priori. Non ti puoi lamentare di qualcosa che sai che succederà.
Il lunedì è così. È il tempo supplementare del weekend, che poi diventa, con la settimana intera, ogni volta, una partita a sé. Nuova, tutta da giocare.
Buona settimana a tutti.

mercoledì 13 maggio 2015

Le pagine della nostra vita

Premetto che non sono molto pratico dell'argomento. Avevo un amico che iniziava quasi ogni discorso in questa maniera, denotando più ignoranza di quella che si potrebbe capire dal semplice discorso. Mi definisco un ignorante in materia, ma forse ignorante può essere riduttivo, forse è più adatto dire gnucco, ovvero l'unione di una perseveranza cieca e furibonda con una pressoché totale mancanza di conoscenza sull'argomento. Una persona quindi che, pur dovendo stare zitta, ben oltre il limite dell'evidenza, continua a sostenere le proprie tesi. Ok, forse così ignorante è esagerato.
Dico tutto questo perché oggi voglio parlare di libri. Non sono, e non sono mai stato, un grande lettore. Da certi errori grammaticali evidenti su questo blog si potrà capire, perché anche solo vedendo l'altrui esempio si migliora. La costruzione verbale, la capacità di non ripetere la stessa parola in una frase, l'utilizzo forbito della punteggiatura, come se le virgole e i punti fossero esse stesse parole. No, non so fare niente di tutto ciò. Forse è perché non sono mai stato bravo a leggere, e non intendo che non leggo libri di una certa caratura ma proprio leggere leggere. Mi si accavallano le parole, allora cerco di indovinare la parola da alcune lettere che sto leggendo, tanto è vero che non sono assolutamente capace di leggere una pagina della Bibbia dove ci sono più di 2 nomi che non siano quelli famosi. Se non riesco a capire un parola tendo ad inventare, sono più un tipo da improvvisazione. Questo, miscelato al poco tempo dedicato in gioventù a coltivare la sana passione della lettura, mi hanno sempre più allontanato da questo mondo, anche se lentamente mi sono avvicinato alla dimensione ad essa complementare, ovvero la scrittura.
Questo è sbagliato. Ora, non voglio certo fare la pubblicità progresso in cui dico che è ora di dire "basta!" per stimolare la gente a leggere, solo voglio fare una ammissione di colpa. La maggior parte dei libri che ho letto sono quelli che mi sono stati imposti a scuola, che ho detestato. Gli altri, che ho letto spontaneamente, sono o eccezionalmente stupidi si spiegano tante cose oppure sono stati abbandonati a metà. Sì, perché seguendo il ragionamento del saggio che ho fatto mio, non si deve giudicare un libro dalla copertina. Si deve giudicare dal numero di pagine, e questo ne ha troppe. Non mi sono mai imbarcato in avventure più lunghe di 400 pagine, forse solo American Sniper, ma ammazzava della gente e c'erano un sacco di foto. E qui forse è il mio errore. Ho letto cose sbagliate.
Mi è capitato di rileggere, per pura curiosità, alcuni dei libri che mi erano stati imposti, per vedere anni dopo che effetto mi facessero. Ne sono rimasto affascinato. Non solo mi sono piaciuti, ma ho anche capito come mai fossero stati scelti come libri di testo. Il buio oltre la siepe, Il giovane Holden, Il ritratto di Dorian Gray. Altro che 50 sfumature di grigio e tutto il plotone di donne che guardano Sex & the City che si porta dietro. Altro che Ken Follett con i suoi romanzi tanto avvincenti quanto facili da dimenticare.
Un libro significa qualcosa per chi lo legge se ti lascia qualcosa. Se hai modo di capire che cosa succede, non solo fingere di essere il protagonista. Un libro può essere dimenticato, come può essere dimenticata una storia, ma non lo sarà se diventa un'esperienza. Prendiamo ad esempio la Storia con la S maiuscola: gli eventi che vengono ricordati sono quelli che ne hanno cambiato il corso, non i semplici aneddoti. Un libro può essere eterno, se lascia un insegnamento che vale per sempre.
Ho deciso di impegnarmi di più nella lettura, e consiglio di farlo a tutti con questo metodo che ho sentito ieri: dedicare lo stesso tempo alla lettura di quello che dedicate ad un altro passatempo sporadico, magari qualcosa che non fate neanche tutti i giorni. Per me è la Playstation: una volta ogni 2/3 giorni, per massimo un'oretta. Così non si toglie tempo a qualcosa che si vuole fare, dovendo rinunciarvi, ma si dedica comunque tempo a qualcosa di utile.
E poi in questo periodo in cui si tengono spesso le finestre aperte , un libro può fare comodo sul tavolo. Anche solo per tenere fermi i fogli quando c'è corrente.

martedì 12 maggio 2015

Il buongiorno del mulino

Giornata strana, oggi.
E dire che era cominciata in modo particolare, come non mi capitava da un po'. Diciamo quasi un anno. Sì, perché quando mi sono svegliato ho provato una sensazione familiare, che però non capita spesso. Comincia il caldo, anche la notte,  la mattina dell'estate è sempre particolare: il sole entra dalla finestra, non c'è bisogno di accendere la luce per prepararsi. Non fa né fresco né freddo, anzi, si nota il proprio calore corporeo, e retaggio dell'adolescenza, sembra sempre che sia vacanza. Non so perché continua a capitare,  ormai sono anni che lavoro e d'estate, anziché avere 3 mesi, ho soltanto 15 giorni di ferie, ma sembra sempre di essere in vacanza. Poi certo, ci si sveglia per bene e si comincia la giornata come nulla fosse, ma si ha sempre l'impressione che la giornata cominci bene. Di non essersi svegliati prima di quando si vorrebbe, perché il sole è già alto per modo di dire, non è che mi svegli alle 11 come qualcuno che legge qui.
Insomma, stamattina mi sono svegliato sorridendo, pensando che la giornata avrebbe avuto un senso. Sono andato a letto stanco morto, anche perché la zanzariera che ho dovuto montare in camera mia non si è certo assemblata da sola, e la tapparella del soggiorno ha deciso di suicidarsi al grido di "addio mondo crudele" verso le 22. Crollata, così, di botto. Per citare un celebre film, qui già nominato, ovvero La leggenda del pianista sull'Oceano, Fran! Non te lo aspetti, specie se stai andando a lavare i piatti in mutande che immagine raccapricciante. E così, armato di santa pazienza e validi strumenti ho aperto la cassa del meccanismo della tapparella e mi sono messo ad armeggiare. Potete immaginare che trafficare in un buco in muratura che non vedeva la luce dagli anni 20 non sia il massimo a qualsiasi ora del giorno, specie fatto con un piede sulla scala e l'altro sulla libreria. Perché se no non ero abbastanza in mezzo. Con la torcia in bocca per vedere. Tutto in mutande. Caro Cirque Du Soleil, se mi cerchi sai dove trovarmi. Riparata abilmente la tapparella, sono andato a letto, dopo una telefonata che mi ha messo di buon umore.
È così si ritorna a stamattina, a un giornata iniziata come se mi fossi svegliato nel mulino bianco della Mulino Bianco che per i meno informati esiste per davvero, e si trova vicino a Parma. Lo abbiamo scoperto facendo uno scherzo telefonico al loro servizio clienti, dove chiedevamo i biglietti per andare a visitarlo. Così, come se non avessi nulla da fare. Però questo mi ha fatto iniziare la giornata con un sorriso, e ho avuto la riprova di aver anche contagiato qualcuno con il buon umore. Anche perché non credo molto in quelli che non trovano giovamento da una persona vitale, posso capire che magari ci si possa svegliare dal lato sbagliato del letto io no, ho il letto appoggiato al muro, ma c'è sempre un modo di dare una svolta alla giornata.
E a volte non è necessario fare altro che guardarsi attorno. Come guardare fuori dalla finestra in un caldo giorno di primavera.

lunedì 11 maggio 2015

Per me sei come un fratello.

Si può uscire dalla friend-zone?

Domenica mattina, casa mia. Un raggio di luce filtra tra le persiane chiuse, come a dire che effettivamente sono andato a letto presto ed è tardi per chi non ha fatto nulla la sera prima, quindi è anche il caso di tirarsi giù dal letto. Perché lo scorso pomeriggio, quando tutto sembrava una buona idea il famoso momento di "non rimandare a domani quello che potresti fare oggi" in cui dici va bene, lo faccio domani che oggi non ho tempo, pure l'idea di svegliarsi prima per pulire casa era annoverata tra le brillanti idee. Sembrava, appunto. Così avrei avuto più tempo per fare le altre cose, entità indefinita a cui riservo sempre una parte di tempo. Metti caso che ci sia bisogno, almeno non mi tocca rinunciare a qualcosa che dovrei fare, anche se poi va a finire che non sai cosa fare e apri un blog. Ups.
Sta di fatto che, superato il primo scoglio della giornata contro cui non andare a sbattere, che non è la difficoltà titanica di alzarsi dal letto dopo che per circa 9 ore hai mantenuto una temperatura ideale sotto le coperte, bensì si tratta dell'ostacolo morale e fisico del poggiapiedi del divano, che come ogni mattina mi si para davanti facendomi inciampare con quell'atteggiamento tipico dei poggiapiedi o tavolini bassi del tipo "sicuro di voler passare di qui?", raggiunto l'agognato bagno, ho capito che avrei dovuto fare. Pulire casa. Eh, sì, lo devo fare anche io. D'altra parte mi ero svegliato apposta, che ci potevo fare. Mettiamoci all'opera. All'inizio ho trovato un po' di difficoltà nel mettermi i guanti, poi ho capito che erano al contrario. Logicamente nel momento esatto in cui ti infili i guanti di gomma ti arriva un messaggio sul cellulare a cui devi rispondere, quel "Ciao" con un sorriso che aspetti tutte le mattine, per cui rispondi usando l'unica appendice libera che funziona con lo schermo touch. Non pensate male, sto parlando del naso. Accendo al tv e metto sul primo canale che trovo, non alzo nemmeno il volume, tanto mi farà da sottofondo mentre pulisco il bagno. Non vedrò le immagini ma almeno sentirò qualcuno parlare. Suona un po' triste detta così, come se mi sentissi solo, il problema è che se sto in silenzio comincio a pensare, e questo non va bene. C'era un programma su ragazzi che volevano uscire dalla friendzone. Ah, la friendzone.
Per tutti quelli che non fossero avvezzi a termini inglesi molto usati su internet, la friend-zone è definita come il posto ove i bravi ragazzi vanno a morire. Detta in altri termini, quando un ragazzo/a è innamorato di una ragazza/o, ma per questa/o seconda/o lui/lei non è che solo un amico, ecco, è appena stato/a rilegato/a nella friendzone. Tutta questa generalizzazione fatta a barre è molto gay-friendly, va bene ma non era voluto. Insomma, quando ci provi con una bella tua amica che però non vuole "rovinare la nostra splendida amicizia" e dimmi che non ti piaccio, che è meglio. Essendo un esperto del mestiere, oltre che cintura nera 3 Dan di friendzone, so quello di cui parlo, anche perché prima di poter sbattere qualcuno IO in friendzone, sono passati qualcosa tipo 20 anni. Il problema è che non è facile dichiararsi ad una persona con cui si sta veramente bene, perché questo cambia le cose. Avere un rapporto intellettuale, come può essere quello di un'amicizia, è completamente diverso da quello che si può avere in un rapporto sentimentale. Trasformare una figura nell'altra significa applicare un cambiamento alla formula di un rapporto che funziona, quindi scuoterne le fondamenta. Non necessariamente però è una cattiva idea, anzi, nei casi più disperati si arriva a un punto in cui non si può più continuare, ed è giusto fare un tentativo, per togliersi d'impiccio. Durante questa trasmissione alcuni ce la fanno, riuscendo a scampare la morte nella friendzone, altri invece perdono tutto. Si tratta di un azzardo, quindi può andare fatta bene come male. L'unica cosa che ho da recriminare è che se stai bene con una persona come amico/a dovresti dare almeno una chance per vedere come può essere stare assieme. poi magari non funzionerà, ma almeno hai la certezza del perché.
La realtà è abbastanza semplice, ma difficile da accettare. Se una persona ti rilega nella friendzone, è perché non ti considera materiale da relazione. Punto. Si tratta del solito e ormai banale la verità è che non gli piaci abbastanza. Certo, si può sperare che comportandosi bene ed essendo buoni amici l'altro/a si renda conto che effettivamente possiamo essere al persona migliore con cui stare, ma raramente succede. Provarci però è d'obbligo.
Perché nelle relazioni, come nella vita in generale, è meglio avere il rimorso di averci provato e fallito che il rimpianto di non averlo fatto. Almeno potrai dire "è andata così".


venerdì 8 maggio 2015

We, sveglia

A cosa stai pensando?

Allora, come apertura del post odierno, ritengo sia giusto cominciare con delle scuse. Ieri non ho scritto, non è cattiveria ma proprio non ho avuto tempo durante il giorno e voglia durante la sera. Mi sento un po' in colpa per questo, anche solo per la delusione delle due persone che ieri sono andate sul blog e non hanno trovato niente, solo l'articolo vecchio sul pulsante dell'ascensore. Dico sempre che ci vuole un po' più di flessibilità in queste cose, anche per questo non mi impongo un orario entro il quale pubblicare l'articolo, ma l'affidabilità è anche sapere che se dopo 24 ore torni sul sito, allora hai ottime possibilità di trovare un nuovo contenuto. Detto questo, mi scuso nuovamente.
Sinceramente però pensavo che se non avessi scritto per un giorno, quello successivo avrei avuto un sacco di cose da dire, e invece no. Sarà anche che essendo un uomo, quando mi viene chiesto a che cosa stia pensando e rispondo "a niente", non sto veramente pensando a nulla, non certo un modo gentile per dire "fatti gli affari tuoi". Per dire quello dico "questo non interessa a nessuno". Oggi e ieri sono stati due giorni così. Non ho pensato a nulla, anche se ho fatto un sacco di cose. Infatti non mi ricordo molto del giorno appena passato, se non le cose che ho scritto nel calendario. Un po' come quando tornando a casa da scuola, alla domanda di come fosse andata la giornata, rispondevo con un eloquente quanto esaustivo "bene". Certo, non che fossi di molte parole all'epoca, come tutti gli adolescenti, ma ho capito col tempo quanto possa essere irritante per un genitore sentire sempre e solo questa risposta. Questo si proietta nel mondo degli adulti con la domanda sopracitata, quasi a voler rompere un silenzio a tutti i costi.
Le donne da questo punto di vista sono estremamente più complesse, anche se la domanda posta rimane uguale. Anche se la risposta stessa ("niente") resta uguale. Questo perché l'esperienza e per esperienza intendo quel libro sconfinato comprensivo di tutti i miei errori con le donne, dall'A di "Amore, lasciami vedere in pace il granpremio" fino alla Z di "Zitta, non mi interessa" mi insegna che la donne sono mediamente esseri più intelligenti di noi maschietti. Ebbene sì, l'ho detto. Ma penso che, maschilismo a parte, sia oggettivo. La loro parte emozionale è sempre attiva, questo le porta a ragionare su tutto quello che accade, che vedono e sentono.
Non capita mai di vedere una donna in quella meravigliosa espressione che mi contraddistingueva durante gli anni universitari in sala studio denominata "faccia della mucca che guarda le auto passare in autostrada", tipica di chi non sta pensando a nulla. Una donna al massimo si fa i fatti suoi, ma ciò non toglie che stia pensando a qualcosa in quel momento. Nel momento in cui una donna dice che non sta pensando a niente, e magari incrocia anche le braccia, io comincio a tremare. Sarà forse che mi sta chiedendo di fare qualcosa in maniera implicita? E che cosa dovrei quindi fare? Dovrei già sapere che cosa fare? Perché in questo momento non mi viene proprio in mente nulla? Ussignur, mi sono perso. 
Noi uomini invece siamo più semplici, può capitare che non pensiamo effettivamente a niente. Guardare un muro, fissare un banco, esplorarsi le cavità nasali ci rendono estremamente banali e anche un filo disgustosi, ma in fondo più semplici.
Credetemi quindi che se sono mancato in questi due giorni non è per cattiveria, ma è perchè mi ero perso. Stando perfettamente fermo.


mercoledì 6 maggio 2015

Il teorema del tasto dell'ascensore

Sono talmente contento del post scritto ieri che per un solo istante oggi ho pensato di lasciar perdere. Di non scrivere più. Ormai considero questa pagina un po' di più che un semplice posto dove vuotare il sacco sui miei pensieri, è diventato un modo di comunicare con le persone che conosco e non, un modo per trasmettere quello che secondo me ha senso essere diffuso. Per cui ho pensato che fosse bello chiudere con una bella lettera al nuovo arrivato, anche a simboleggiare la circolarità dell'esistenza,che si chiude una porta e si apre un portone.
Poi un tizio ha premuto il tasto di chiusura delle porte di un ascensore.
No, dico sul serio, non è una sottile metafora per indicare qualche subliminale idea di chiusura mentale o superficialità, è successo per davvero.
Ero lì, bel bello, che vagavo tra mille pensieri, e stavo prendendo il mio ascensore per andare dal piano terra al terzo piano quindi salivo, per quelli scarsi in matematica, quando l'ascensore si è fermato al primo piano perché qualcuno lo aveva chiamato. Questa persona sale, preme il suo tasto, ovvero quello per andare al piano terra, e preme il tasto di chiusura delle porte. Si possono già notare vari grossolani errori. Il primo, partendo proprio dalla base, forse era quello che anziché vedere un chirurgo generale (che era al primo piano), avrebbe dovuto farsi fare una visita da un otorino o un oculista, in quanto ritengo che chi non sappia distinguere un tasto a freccia in giù da uno con la freccia in su probabilmente abbia problemi di orecchio interno o di equilibrio. Aveva premuto entrambi i tasti, sebbene dovesse andare in giù, quindi l'ascensore che stava andando in su, ovvero nel verso opposto, si è fermato comunque. Non pago, è salito comunque sull'ascensore, pur essendo stato avvisato dal segnale luminoso, che l'ascensore saliva. Ma siamo esser umani, e si può sbagliare. Magari era sovrappensiero, a me capita continuamente. Ieri ad esempio mi vergogno tantissimo a raccontarlo sono andato a sbattere contro un palo. Per strada. Camminando. Non stavo assolutamente guardando le due ragazze che giocavano a tennis nel campo vicino alla strada, sta di fatto che a un certo punto ho sentito un gran male alla parte sinistra della nuca, alla parte sinistra del petto e alla gamba sinistra. Anche se devo dire che le braccia hanno continuato ad andare in avanti per un po' prima di accorgersi che il corpo era abbracciato ad un pilone della luce, allora si sono fermate pure loro. Che figura, ho pensato.
Insomma, un po' di distrazione ci può stare, ma quello che non capisco è quello che è successo dopo. Ha premuto il tasto di chiusura delle porte dell'ascensore.
Ho sempre evitato di premerlo, e guardato con sospetto chi lo faceva, ma non per paura dei germi da contatto anche se ora che ci penso è anche igienico come comportamento, ma perché non penso che serva. Oggettivamente, abbiamo proprio bisogno di premere un pulsante che ci faccia risparmiare due decimi di secondo, in un viaggio di 10? Mi danno l'impressione di dover assolutamente andare da qualche parte, quelli che premono quel tasto, a tal punto che ho quasi paura di premere il tasto del mio piano, se differisce dal loro e si trova prima. Non li capisco, ma se ne vedono sempre di più. Leggendo un po' in giro si scopre che nemmeno tutti i tasti del genere sono realmente collegati alle porte, alcuni sono solamente finti, per creare un effetto placebo in chi li preme. Per dare la sensazione di controllare l'ascensore, e non sentirsi solamente dei passeggeri. Non so se quell'ascensore che ho preso io oggi avesse il tasto collegato o no, e forse non lo scopriremo mai, ma quelle porte si sarebbero chiuse comunque e sarebbe comunque salito. Certamente non sceso.
Per cui, chiudendo con una nota dolce/amara, caro sconosciuto con cui oggi ho preso l'ascensore, tu, con la tua fretta avrai anche deciso quando sarebbe partito, ma io, persona paziente, ho deciso dove andasse.


martedì 5 maggio 2015

Un giorno da ricordare

Caro Leo,
Ti scrivo questa lettera per un motivo strano. Non sai ancora leggere, e come l'altro tuo zio probabilmente non lo saprai fare per i prossimi 10 anni. Oppure come questo tuo zio non imparerai mai a farlo bene, e per questo imparerai ad improvvisare discorsi per evitare che ti facciano leggere in pubblico. Ma non è questo il punto.
Il punto è che ti scrivo per conoscerci, sebbene potrai farlo solo tra un po' con la vista e tra molto con la coscienza. Sei nuovo, tu e i tuoi grandi occhi scuri che mi dicono essere sempre aperti: hai voglia di vedere il mondo. Fossi in te pure io avrei voglia di vedere il mondo dopo 9 mesi a testa in giù nella pancia di tua mamma con qualcuno che continuamente le metteva il dito sull'ombelico (io). Hai spinto, calciato e alla fine sei uscito, come abbiamo fatto tutti noi, a vedere la luce. Non ti ricorderai niente di tutto ciò, del rumore, la luce, di quando è diventato tutto asciutto. Non me lo ricordo nemmeno io, ma non di quando è successo a me, ma quando è successo a te, perché sono rimasto a dormire e ho scoperto che eri stato scodellato a giochi fatti.
A vederti così mi ricordi il tuo papà, quindi mi dispiace. Speravamo tutti che fossi un pochino più bello, ma almeno segui i consigli della nonna su come tagliarti i capelli, tu.
Devi sapere che qui fuori, dove è asciutto, ci sono un sacco di cose da fare, specie per chi alle spalle ha solo poche ore di vita. Hai letteralmente tutta la vita davanti, quindi ci aspettiamo grandi cose da te. Avrai sempre affianco la tua famiglia, che ti vorrà per sempre bene, per il semplice fatto che ci sei. Avresti dovuto vedere la faccia di persone a te sconosciute come sono state felici di sapere che sei nato. Merito anche delle foto in cui hai un'aria stupita. Sì, non sai ancora parlare ma probabilmente sei già finito su Facebook, ma fidati di un professionista, le cui foto sarebbero meglio non girassero troppo, la cosa è inevitabile. Sei già famoso. I tuoi genitori sono totalmente inadatti a crescerti nel migliore dei modi, ma impareranno pure loro. Dagli tempo. Non crescerai nella giungla, ma potrai contare su di loro, 4 nonni, un numero imprecisato di bis-nonni/e 2 zii. In più ci sono anche io, su cui ti consiglierei di non fare troppo affidamento, perché significa che se stai chiedendo a me tutti gli altri ti hanno risposto picche. Imparerai a conoscere la vita, le cose belle e quelle uniche che rendono questa punto su cui camminiamo nell'universo così speciale. Vedrai cose che noi non immaginiamo nemmeno, gioie, dolori, amori, emozioni e dovrai essere forte per noi quando non lo saremo più. Dovrai trovare dentro di te quello che ti lasceremo noi, per poter parlare di te stesso.
Sei venuto al mondo una notte di un qualsiasi martedì. Magari non ci ricorderemo che giorno della settimana era, ma per te sarà la data che scriverai più volte in vita tua, oggi. E tutti noi ricorderemo dove eravamo, cosa abbiamo fatto, in un giorno che poteva essere come tanti, ma non lo sarà.
Perché da oggi siamo in uno in più.

domenica 3 maggio 2015

All'ombra delle colline

Ci sono giorni in cui non so cosa dire, in cui lascio vagare la mia mente libera di scrivere tutto quello che mi passa per la testa con i soliti risultati disastrosi, e poi ci sono giorni come questo, in cui le cose da dire sono tante, quasi troppe per un unico post.
Questo weekend infatti ho avuto il privilegio e l'onore di essere invitato ad un matrimonio in Umbria, per esser precisi vicino ad Assisi, paese che non conoscevo certo bene. In geografia, come mio fratello ha dimostrato, sono particolarmente scarso, in particolar modo per tutto quello che si trova tra le Marche e la Puglia. Diciamo che ho più un'idea vaga che precisa di dove si trovino le città. Però se mi date una mappa vi so indicare dov'è Roma. Lo so, il commento è "Ah beh, allora.."
Come già detto, non conosco bene la zona, ma ogni volta che ci passo ne resto affascinato. Le colline, l'appennino per noi pianurai di città, sono uno spettacolo unico, come sentire il vento, o vedere un castello medievale ben tenuto. È completamente diverso da quello a cui sono abituato tutti i giorni, e le la cosa che mi fa più senso è come due concezioni di vita diametralmente diverse sortiscano lo stesso effetto piacevole. Sia ben chiaro, non è un mistero il mio amore per la città europea di Milano, dove si vive veramente bene, specialmente in questo periodo appena inaugurato di grandissimo scambio e visibilità internazionale, ma penso che anche in un paese come Assisi si stia bene. Non ho niente contro la vita "campestre", anzi sono qui a descrivere come entrambi questi ambiti possano essere egualmente piacevoli da vivere, è solo che la cosa mi stupisce. Una volta, una mia saggia amica disse che "non riuscirei mai a vivere in un posto dove non c'è nemmeno H&M". Al di là della battuta, al di là della patina di superficialità che copre questo pensiero, e viene colto solo dai più arguti, c'è sicuramente una ragionamento non indifferente sotto: le sovrastrutture a cui siamo abituati oggigiorno, le comodità e la vicinanza con i beni di prima necessità delle moderne metropoli sono talmente inseriti nel nostro quotidiano da esser quasi equiparati ai valori personali. Abbiamo bisogno di queste comodità, perché siamo talmente abituati a viverci dentro che non sapremmo farne a meno, seguendo tra l'altro il flusso cognitivo di chi ha ideato questi centri di scambio universali, quali supermercati, centri commerciali, megastore di ogni genere e tipologia. Io stesso se dovessi comprare delle assi di legno o un trapano non cercherei, magari chiedendo, un falegname, ma guarderei sul mio smartphone il Leroy Merlin più vicino. Tutto questo viene a mancare in una realtà piccola, e diciamocelo anche, chiusa, quale Assisi. Dico Assisi per dare l'esempio, ma possiamo benissimo parlare di altri paesi come Recanati o Cremona. Paesini di stampo medievale, in cui sembra che il tempo si sia fermato, e con esso la gente che attraversa le piazze. Vedere una piazza davanti a una chiesa è una cosa che abbiamo fatto tutti, ma vi siete mai fermati a guardare la gente che l'attraversa? Io sì, ma solo perché ho preso bidone da ragazze con cui avevo un appuntamento in quasi tutte le piazze delle principali città italiane, rimanendo ore ad aspettare. Bisognava quindi cercar di fare di necessità virtù e trovarsi qualcosa da fare. Le piazze si dividono in due grandi categorie: i luoghi di ritrovo e quelli di passaggio. Cerchiamo di essere ancora più espliciti. Paragoniamo Piazza del Duomo a Milano a Piazza Maggiore a Bologna: la prima è crocevia di milioni di persone tutti i giorni,  ma non la vedrete occupata come Piazza Maggiore, ma attraversata. Ci si ritrova e poi si va altrove, non si resta lì. Non è quello lo scopo del trovarsi, è l'idea di un modo di fare che porta ad essere dinamici, ad andare da qualche parte che qualcuno ci sta aspettando, che c'è sempre qualcosa da fare. Un'idea diversa dalla tranquillità di una piazza come quella Maggiore, in cui ci troviamo lì e poi si vede, che come tutti sanno, si puo leggere come arriviamo lì e poi ci passa la voglia di muoverci.
Non penso che ci sia un modo giusto di vivere, penso che dipenda dalle persone. In quanto persona dinamica amo muovermi, amo fare, amo andare da qualche parte. Certo che un paesaggio come quello delle colline umbre nemmeno da in cima alla Madonnina lo vediamo.

P.s. Tantissimi auguri a Sara e Federico, novelli sposini. È merito loro se ho fatto questo viaggio per vederlo coronare il loro sogno durato un decennio. Ed è anche per questo che probabilmente tornerò lì solamente tra dieci anni. Perché per tornare a casa ci ho messo lo stesso tempo che ci avrei messo ad andare in aereo a New York.