lunedì 29 giugno 2015

Questione di punti di vista

Ieri sera, un amico mi ha girato l'immagine che vedete pubblicata in fondo a questo post. A livello di liberatoria, devo precisare che ho trovato la cosa molto divertente ma sessista. Ma tanto so già che qualcuno si arrabbierà e mi picchierà comunque. La dicitura cercava di vendermi l'immagine come quelle che andavano in rete un po' di tempo fa, quelle illusioni ottiche per cui la stessa cosa ad alcuni sembra un coniglio e ad altri sembra un papero ovviamente a me sembrava un papero. La battuta era che questa immagine, che non nasconde proprio nulla, fosse in realtà un immagine in cui c'era un gatto nascosto il quale è pleonasticamente evidente, giocando sulla sottilissima ironia che un uomo che guarda un sedere non veda null'altro.
Ciò che mi ha fatto ridere è stato come giocando sui punti di vista si può far credere ciò che si vuole, come nessuno sia egualmente normale. In funzione di come viene osservata una persona, può risultare completamente pazza quanto l'unica ad aver ragione su un determinato argomento. Un esempio cinematografico può sicuramente essere il film "Il lato positivo", che con una certa ironia rappresenta come la follia appartenga a tutti, ma solo alcuni tipi di follia vengono considerate socialmente pericolose. Come a dire che, in fondo, siamo tutti pazzi, ma alcuni lo sono più di altri. Sì, la morale di quel film è questa, mi dispiace avervelo detto se non lo avete visto. Insomma, in funzione di come si guardano le cose si può avere un'opinione o un'altra, pur essendo la realtà oggettiva uguale per tutti. La cosa che secondo me è straordinaria è poter scegliere la prospettiva con cui vedere le cose, anche se a volte siamo forzati a farlo in una determinata maniera. Io, per la mia esperienza personale, tendo sempre a cercare di vedere il bicchiere da sotto, vedendolo quindi mezzo pieno. In un momento di difficoltà, non mi lamento per quello che è andato male, ma penso a quello che posso fare bene per rimediare. Per questo nella foto vedo il sedere. Se così non fosse, lascerei che ciò che è immutabile, in quanto già successo, avesse la meglio su di me (volevo scrivere sopraffacesse ma non ero sicuro dell'esistenza di questa parola), destinandomi allo sconforto che nulla produce. Vedrei quindi solo il gatto.
In conclusione, penso che la cosa migliore sia vedere la ragazza, significato una positività nei confronti della vita, però è anche molto importante sapere che il gatto c'è, perché fa parte dell'interezza  dell'immagine. Insomma, una visone positiva, ma d'insieme.

giovedì 25 giugno 2015

Giulia? No, grazie

Ieri pomeriggio è stata presentata la nuova 3 volumi dell'Alfa Romeo. Lo so che non è una notizia che interessa a molti, specialmente quelli che leggono questo Blog, che cerca sempre di essere super partes e soprattutto unisex. Ma oggi voglio parlare di questo, e capirete perché. Mi scuso anticipatamente con il pubblico femminile, ma in fondo si tratta di giudizio estetico, non di tecnicismi da fanatico della benzina. Questo è quello che avrei voluto scrivere ieri quando ho visto le prime foto.

Gent.mo A.D. di Alfa Romeo,
Vi scrivo in quanto ho appena osservato in diretta la presentazione della vostra nuova vettura, tanto attesa, ovvero l'Alfa Romeo Giulia. Premetto di non considerarmi certo un esperto, al massimo un appassionato, per cui il mio parere può corrispondere a quello di tanti altri milioni di italiani che come me, oggi, hanno trovato sui giornali la presentazione di questa nuova vettura.
Vi scrivo per chiedere spiegazioni. Avete creato una enorme aspettativa per la presentazione, con la data di lancio nota ai più da mesi prima, manco si trattasse di una vettura da F1, e con nessuna notizia che è riuscita a trapelare durante tutti questi mesi, neanche una foto spia, neanche una indiscrezione. Solo tanti bozzetti di come ci si immaginava sarebbe stata. Ora, vedendola, in molti, tra cui mi ci metto anche io, si chiedono come mai non somigli ai meravigliosi bozzetti che si possono trovare in rete, e sia in realtà la vettura presentata. Non è orribile, non mi metto a sperare che sia uno scherzo, come ho letto sui social, dico solamente che è incolore. Se dovessi fare un paragone, direi che è come il maglione che indossa il vostro amministratore delegato Marchionne. Decisamente poco di stile, e, come dice mia nonna, si ha quasi "l'impressione che non abbia nemmeno un buon odore". Non sto dicendo che lui dovrebbe essere sempre perfetto come Winkelmann (A.d. Lamborghini), ma se l'immagine che si mostra di sé dovesse corrispondere ad un ideale estetico, quel maglione è proprio come la nuova nata di casa Alfa. Scialba e di cattivo gusto.
Guardandola si notano subito influenze esterne, quali i montanti posteriori BMW, e moltissime somiglianze con la Jaguar XE, quasi a voler significare una scarsa capacità di creare qualcosa di nuovo. Nemmeno le maniglie delle portiere sono originali (molto più innovative quelle della Giulietta!). Dopo auto come la Brera o la 4C, nessuno metteva in discussione il design Alfa, perché rovinare tutto? Non è bella, è copiata e le soluzioni tecniche sono il top di quello che su può avere in questo momento, ma non è abbastanza. Se vuoi eccellere, se vuoi rilanciarti in un mercato sovra-saturo devi innovare. Pensiamo alla Volvo XC-90, e le sue dotazioni avvenieristiche.
Sarà un'auto che probabilmente piacerà a chi un'Alfa ce l'ha già, o l'ha già avuta, ma non attirerà certo chi è abituato a comprare le tedesche. Insomma, la comprerà chi l' avrebbe comprata comunque. Perché i veri rivali dei tedeschi in questo momento sono i giapponesi, non certo FCA. Puntare sugli appassionati non è un discorso che si può fare con un mercato del genere e una filosofia aziendale puntata al rilancio del marchio. Esisteva già una macchina che corrispondeva alla descrizione di quello che sarebbe dovuto essere la Giulia, ovvero la Ghibli dei cugini Maserati. Motore potente, elegante, di gran classe non esclusiva ma "premium". Allora perché non continuare sul filone delle vere auto sportive, copiando quello che in Fiat hanno fatto con la 500 con la 4C (che è copiata dalla 8C, ma vabè)?
Non capisco veramente chi potrebbe essere interessato ad un'auto del genere. Una volta a Top Gear si scervellerarono per trovare una degna sostituta della Ferrari F458 Italia, e dopo una puntata intera giunsero alla conclusione che è da pazzi cercare altrove quando la "perfezione" esiste già. In egual misura, perché chi compra una S5, o una M6 dovrebbe volere una Giulia? Perché è italiana? Vi prego, non si tratta della nazionale di calcio. Perché piace? Non mi sembra che le concorrenti siano diverse o brutte. Perché è un'Alfa? Allora la avreste comprata comunque, facendo perdere valore alla scelta. Persino chi l'ha presentata ha detto che in quel segmento le auto si equivalgono.
Sono deluso, per aver aspettato tanto tempo un qualcosa che prometteva qualcosa che poi non ha mantenuto. Non penso che ne prenderò mai una, e ancor di più penso che il mio parere sarà simile a quello di milioni di appassionati, che proprio perché sono tali non si rivolgeranno ai vostri concessionari.
Ma in fondo che ve ne importa a voi, è solo business.

mercoledì 24 giugno 2015

Dillo con parole tue

Stamattina mi sono svegliato felice. Non lo so il perché, ma avevo quella sensazione che si ha quando compri qualcosa di nuovo, tipo un paio di scarpe, e non vedi l'ora di indossarle. Non è molto, quando ti alzi lo fai con il sorriso, come se tutto questo desse senso alla giornata. Lo so che io in realtà non ho niente di nuovo da utilizzare, per cui ammetto che all'inizio mi ha fatto un po' strano provare quella sensazione, però, essendo piacevole, non me ne sono certo lamentato.
Probabilmente è dovuto al fatto che ieri ho fatto una bella chiacchierata con una persona a cui voglio molto bene, dicendo qualcosa che pensavo da un po'. Dire che mi sono liberato da un peso sarebbe eccessivo, sia per la natura del dialogo che per il contenuto stesso, ma in un certo senso era così. Il fatto di interiorizzare i problemi è sempre stata una mia caratteristica, come di chiunque altro abbia sufficiente autostima da poter sostenere di riuscire a risolvere autonomamente i propri problemi. Per questa ragione, spesso mi capita quasi di litigare, se non essere risentito con una persona, senza nemmeno averci parlato, a seguito di un evento scatenante, per quanto blando possa essere. L'autore consiglia assolutamente di evitare un comportamento come il suo, nuoce gravemente alla salute. Questo genere di situazioni si risolve sempre quando si decide di arrivare ad un dialogo tra le due parti, rendendo pubblico ciò che prima era solamente privato, per quanto noto da parte di entrambe le persone. Non credo molto nel fatto che se due persone sappiano la stessa cosa, ma si rifiutino di parlarne l'argomento possa considerarsi esaurito, credo molto infatti che la possibilità di rendere pubblico anche ciò che è ovvio sia un modo per ufficializzarlo, per quanto noto a priori. Mi viene in mente un esempio fuori dal contesto, che nel mio caso è sempre sentimentale, ovvero l'esempio del crimine organizzato del Mezzogiorno: tutti sanno chi sono i boss e le loro famiglie, ma nessuno lo dice ad alta voce. Chi prova a rendere pubblico ciò che è ovvio ai più, come ha fatto Saviano, diventa automaticamente un bersaglio, quancuno che cerca di cambiare qualcosa che funziona. Ecco, crimine organizzato a parte, penso sia fondamentale discutere con le altre persone di ciò che ci disturba. Se un figlio sbaglia, il padre vuole che si scusi e prometta di non commettere più l'errore. Non basta vederlo contrito e pentito, serve l'ufficialità della cosa. Vuole che venga a chiedere scusa. Non è una mancanza di fiducia nel confronto di chi sa di aver sbagliato, ma dare la possibilità di dare una spiegazione, la propria versione, oppure la versione verbale di ciò che abbiamo pensato. Perché, diciamocelo, non si riesce mai a spiegare con parole proprie quello che nella nostra testa risulta essere chiarissimo. Io stesso in questo momento mi sto arrabbattando per cercare di esprimere in concetto che a me sembra chiarissimo e molto probabilmente risulta inconcepibile.
Chiedo scusa al lettore per questo articolo delirante che è stato scritto in più fasi e quindi difficilmente ha seguito un filo logico. Mi piace pensare di mascherare la mia ignoranza da "stream of consciousness" tipicamente di Joyce, in realtà si tratta solo della incapacità di chiudere un discorso
Cos'è che stavo dicendo?
Ecco appunto.

martedì 23 giugno 2015

Un po' di autocritica

Oggi voglio parlare di me. Sì, lo so che lo faccio sempre, e non ho mai parlato di altro, ma ammettere il problema non è il primo passo verso la guarigione?
Ieri ho avuto un po' di tempo libero nel pomeriggio. Sarà stato che mi ero tenuto libero, sarà che ero effettivamente troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa che non comprendesse lo stare sdraiato sul divano, ma avevo del tempo libero. Per puro caso, coincidenza, chiamiamola, ho riletto il Blog in cerca di un articolo che avevo scritto un po' di tempo fa, uno dei tanti motivazionali sul lunedì. Non è stato difficile trovarlo, anche se sono andato indietro di più pagine pensassi cominciano ad essere tanti, e mi è capitato di soffermarmi su altri articoli, magari quelli con il titolo più accattivante. Il risultato è stato strano, pure per me. Non solo di molti non ricordavo nemmeno di averli scritti evidentemente sto cominciando ad invecchiare, ma ridevo come un matto su alcune battute che facevo. Spero che aver detto che non me li ricordavo sia un'attenuante a questa seconda affermazione, non sono pazzo. Mi madre mi ha fatto esaminare. È bello poter ritrovare alcuni vecchi pensieri, che si ritenevano dimenticati, lì, a portata di mano. In fondo il Blog nasce anche per questo, oltre che per soddisfare il mio ego smisurato: evitare che, magari, il pensiero intelligente che ti viene mentre sei seduto in bagno (non aggiungo altro) e ti sei dimenticato lo smartphone, rimanga tra le mura del bagno stesso. Poter condividere questo pensiero è molto importante, non solo per quelli che potrebbero venirne a conoscenza, ma anche per chi ne è il vulcanico autore, che con brillanti eruzioni si ricopre di sagace lava, che si asciuga fino a diventare roccia, strato dopo strato. E come scavando lungo questi strati si scopre la storia del vulcano stesso, rileggendo i vecchi articoli si espone un pensiero che si evolve nel tempo. Che metafora profonda per uno che fino a 8 righe fa aveva espresso per la 150 esima volta che i pensieri migliori gli vengono mentre è sul cesso.
Sono sempre più convinto che ci sia necessità di introspezione, auto-analisi e auto-critica. Rileggiamoci, scriviamo lettere a noi stessi nel futuro (io ho cominciato così a scrivere), lasciamo traccia di quello che facciamo. Riguardando a ciò che abbiamo fatto possiamo capire sempre di più chi siamo, come siamo arrivati ad esserlo e, come è successo a me, stupirci di noi stessi.

lunedì 22 giugno 2015

Come eravamo

Ieri sera mi è arrivata l'ispirazione.
Lo so, non capitava da un po', inoltre una bella ragazza mi ha fatto notare che era un po' che non scrivevo, e se una bella ragazza ti dice di fare qualcosa lo devi fare, e subito, per cui eccomi qua.
Ieri sera, per l'appunto, ho ragionato su un bel pensiero. Guardavo un vecchio film, che nonostante passino gli anni mantiene intatto il suo fascino, oltre che delle battute senza tempo: Don Camillo e l'onorevole Peppone. L'avrò visto un milione di volte, ma mi fa sempre ridere, e non mi stanco mai di guardarlo. Sarà la maniera in cui è magistralmente recitato, le battute o anche il contesto (emiliano) in cui è ambientato, ma trovo che sia un capolavoro. La capacità di rendere in maniera così vivida una realtà che molti di noi conoscono bene, ovvero il dualismo tipicamente italiano del catto-comunista, che fa il mangiapreti di giorno ma quando ha bisogno si rivolge al curato, è sicuramente encomiabile. E poi sono uno spasso da vedere, recitazione di vecchia scuola, tipicamente teatrale, con espressioni del viso che fanno proprio immedesimare nella vicenda.
Arrivando al punto, tralasciando battute storiche di questo film, c'è un momento della storia che mi ha particolarmente colpito: durante l'esame di quinta elementare di Peppone, Don Camillo lo osserva attraverso la finestra, e arriva un bambino, che gli chiede di vedere il "suo papà mentre fa l'esame". È una scena molto dolce, semplice, ma abbastanza toccante. La cosa che mi ha fatto pensare è stato proprio quel bambino, con i suoi calzoncini corti e le sue espressioni dritte al punto. Contando l'epoca di cui è il film, in cui è ambientato, decontestualizzando il fatto che si tratta di un film e non della realtà, quel bambino potrebbe essere mio padre. Non che metta in discussione la paternità dei mie genitori, quanto più per il fatto che probabilmente quel bambino oggi ha 50/60 anni, tutti vissuti da allora, quando era un mezzo soldo di cacio che girava in braghe corte con un cane come amico.
Fa sempre senso vedere delle persone che si è sempre considerato superiori, più grandi, in una fase della loro vita in cui noi siamo più vecchi di loro. Anche se è inevitabile che chi è più grande di noi sia stato piccolo, è un'idea a cui è difficile abituarsi. Credo che la cosa che ci rende complesso questo pensiero sia che abbiamo sempre visto queste persone non solo come grandi, ma proprio come superiori, ignorando che se sono arrivate ad essere tali è anche perché hanno vissuto esattamente quello che noi viviamo in questo momento, o abbiamo già vissuto. Mio padre, e suo padre prima di lui, e via discorrendo, sono stati tutti bambini. E probabilmente lo sono stati in maniera molto simile a come lo sono stato io, solo in epoche diverse.
Fa anche strano guardare noi stessi, alle volte nella foto che abbiamo della nostra giovinezza, in cui ci riconosciamo, ma abbiamo anche l'impressione di non aver vissuto quel momento, solo per il fatto che non ce ne ricordiamo.
Trovo romantico il pensiero che qualcuno che considero adulto sia stato a sua volta bambino. Mi da fiducia in quello che sto facendo, la speranza di diventare anche io un adulto, magari anche un buon adulto. E magari un giorno un bambino guarderà le mie foto e si chiederà come è stata la mia infanzia, paragonandola alla propria.

giovedì 18 giugno 2015

Comunicazione di servizio

Non so se sia un mix micidiale di caldo, o di fatica, ma oggi proprio la giornata non va avanti. So di essere sullo stesso pianeta di altre 7 miliardi di persone, nello stesso stato con 60 milioni, nella stessa regione con 10 milioni e probabilmente nella stessa stanza con altre 30 persone, che magari soffrono come e più di me l'afa, ma fa comunque caldo. Ora come ora, non mi interessa che mal comune sia mezzo gaudio, quanto più sono interessato al fatto che non mi si impuzzolenti la giacca, perché portarla in tintoria a lavare e ritirarla una settimana dopo sarebbe veramente una fatica enorme. Ah, girare in giacca e cravatta anche d'estate. tutti quelli che ti vedono ti chiedono come tu faccia, a stare vestito di tutto punto, se, per puro caso, non abbia caldo. Certo che ho caldo, non sono mica fatto di alluminio.. ma te ne esci con qualche frase molto signorile come "no, sono abituato" oppure "questa giacca è freschissima, come non averla", e la conversazione finisce lì. Insomma, chi bello vuole apparire..
Ho faticato a trovare anche il tempo di scrivere sul Blog ultimamente, anche perché appena ho un secondo libero, esentato da ogni genere di impegno lavorativo-ludico-amoroso, mi capita di crollare come una pera matura, addormentandomi su letti, divani, sedili dell'auto o persino per terra. Fortunatamente la stanza qui è climatizzata, quindi, a favore di benessere termo-igrometrico, ci tengo a dire che mi dispiace aver trascurato un po' questa pagina, che fino ad ora mi ha dato grandi soddisfazioni. Voglio concedere anche una piccola anteprima, dicendo che ho intenzione di riordinare in una piccola raccolta tutti i post, cosa che sto già facendo, (che sono gia piu di 50!) per poi andare a creare una opera omnia in cui sia compresa tutta la mia grande genialità totalmente incompresa. Dovrebbero venire fuori 120 volumi alla modica cifra di 150€ (cad.), così potrò comprarmi una moto d'acqua e vivere il resto della mia vita felice. Intanto continuo a pensare, ma lo saprete presto.

sabato 13 giugno 2015

Il mondo visto dall'alto

In questo momento sto sorvolando la Polonia, per entrare all'interno dei sacri confini. Della Germania, ovviamente. Purtroppo non sono riuscito a trovare un volo di ritorno che fosse diretto, quindi sono costretto a fare uno scalo si spera breve nella città di Francoforte. Intanto mi godo questo viaggio in aereo, che secondo me è sempre piacevole. Sarà che il rumore dei motori a me concilia il sonno, sarà che il paesaggio sopra le nuvole è insolito, oppure solo il fatto che mi hanno appena portato da mangiare, ma mi è sempre piaciuto viaggiare con quello che mia nonna chiama "l'apparecchio". Sì, nonna ci vado con l'apparecchio all'estero.
Il paesaggio dall'alto è meraviglioso, come chiunque sia stato quassù può constatare, ma non voglio parlare di questo. Non parlerò delle nuvole, e di come possano essere una metafora che anche quando sotto piove, sopra ci sia sempre il sole penso siano state fatte numerose canzoni e poesie a riguardo. A me piace guardare il paesaggio da sotto le nuvole, perché da terra sono io, che normalmente, guardo gli aerei. E mi chiedo dove vadano, cosa vedano e soprattutto se mi vedano, così piccolo sulla terra. Perché mi vedono. Ma non per la mia imponente mole, bensì proprio come un aereo non è poi così grande, ma in cielo si vede, in egual maniera sono visibile io. Non è che gli aerei volano nella stratosfera, la terra non sembra nemmeno curva da quest'altezza, per cui forse mi vedono, come io vedo in questo momento le macchine e le case sottostanti. Certo, in cielo c'è meno roba da guardare che sulla terra, ma il discorso di proporzioni ci può stare. Esisto, anche per chi mi guarda dall'alto verso il basso.
Ora passiamo alla parte divertente: le mie ultime volontà. No, non sto progettando di dirottare l'aereo per farlo cascare contro un campo di cipolle in Polonia, che è la costruzione più importante del paese, a quanto vedo dalla loro cucina tipica, ma tutti quei messaggi che voglio lasciare nel caso l'aereo cascasse. Per favore, dite alla famiglia dell'hostess che la coca la volevo senza ghiaccio, ma anche a quella del passeggero asiatico affianco a me che se non la smetterà di guardarmi brutto perché gioco al giochino del papero (storia lunga) gli darò una battuta. Desidero che tutti i miei averi vengano bruciati con me in una pira funeraria, va bene anche il laghetto della buca 18 di Tolcinasco. Una palla da golf infuocata sarebbe il massimo per accendere il tutto. Dite a mia madre che una volta ho scoreggiato, ma ho detto che non ero stato io. Invece ero stato io.
Ricordatemi così.

P.s. se questo post vedrà mail la luce significa che sto comprando della cioccolata nel duty free di Francoforte, collegato alla WiFi. Altrimenti sono morto. O non mi sono riuscito a collegare.

giovedì 11 giugno 2015

Il bello della Polonia

Ultimamente sono via, per quello non sto scrivendo molto. Mi piace pensare che nel momento in cui mi fermerò avrò più cose da raccontare, ma se devo scegliere tra vivere un momento e raccontarlo, decisamente preferisco viverlo.
In questo momento mi trovo in Polonia, un paese a me decisamente sconosciuto. Dico questo perché a parte quelle 3 cose che sappiamo tutti (la seconda guerra mondiale, Auschwitz e Papa Giovanni Paolo II), mi rendo conto di essere in un luogo sconosciuto. Se non avessi cercato su internet prima di partire, non avrei nemmeno scoperto che qui non c'è l'Euro, la moneta unica a cui siamo tanto affezionati e abituati. Ci sono gli zloty, che per comodità, con gli altri italiani con cui siamo qui, chiamiamo "soldi". Il cambio è parecchio favorevole, nel senso che i numeri che si vedono qui sono di poco più alti di quelli che si vedono da noi, ma il cambio è di 1 a 4. Quindi la roba costa un quarto. Specialmente la birra.
Non sono un fanatico della birra, nel senso che tendo a berla solo per società, magari la sera tutti assieme. Non amo nemmeno pasteggiarci, ma per quello che si chiama "sindrome dell'hot dog svedese" (devo trovare un nome meno ambiguo), ovvero che se vai all'Ikea quando esci ti viene voglia di mangiare un Hot dog anche se non hai fame, ieri ci siamo presi una bella birra, da aperitivo. Intendiamoci, un litro di birra a stomaco vuoto farebbe barcollare pure un orso, ma in fondo era fresca, quindi è scesa abbastanza bene. Tutto per una cifra circa equivalente a 2€. Con la stessa cifra in Italia non ci prenderei nemmeno il piede di porco per scassinare un camion della Heineken.
Insomma, un po' storto, direi pendente a destra ma non ci giurerei, ho fatto un giretto per la città in questione, ovvero Cracovia. Molto ben tenuta, tanta storia, tanto medioevo, castelli, draghi, re, chiese, noia. Non si può dire che sia una brutta città, ma avreste potuto tranquillamente portarmi a Praga, o a Varsavia e non avrei saputo trovare delle differenze significative. Con questo non voglio sminuire la bellezza della città in sé, ma solamente esprimere il mio parere sull'omologazione di queste città del nord Europa. Ci sono chiese decorate in maniera tale da far girare la testa, e un bellissimo castello (che spero di andare a visitare presto) dove dovrebbe esserci la Dama con l'ermellino di un certo Leonardo Da Qualcosa, per cui sono contento di aver fatto un giro. 
Ho visto un posto nuovo e me lo ricorderò. Soprattutto per la birra.


P.s. per tutti quelli che se lo stessero chiedendo, o me lo hanno già detto, o lo pensano, la risposta è no. Decisamente meglio le italiane. Non penso che approfondirò nemmeno l'argomento.

lunedì 8 giugno 2015

Antonio, fa caldo..

Che caldo..
Vorrei cominciare in qualche altro modo, ma in questi ultimi giorni non si riesce a pensare veramente ad altro. Sì, perché quanto pare è arrivata l'estate. Fuori stagione, come ormai fa da qualche anno, senza preavviso, e puff, si passa in una notte da 22 a 36 gradi. Così, con la stessa velocità con cui una donna comincia a lamentarsi perché le fanno male i piedi quando ha su i tacchi. Sembra che non ci siano più le mezze stagioni, che quanto pare da modo di dire è diventato realtà, è così, di colpo, tutto si trasforma in deserto. L'escursione termica tra le zone in ombra e quelle al sole è simile a quella che si può avere sulla luna, per cui bastano già 4/5 minuti al sole per sentirsi come colpiti da un bastone sulla nuca. C'è chi si sta già premunendo di cappelli di paglia, anche se vista la temperatura io opterei per una lega di zinco e lamierino.
Ovviamente mi vengono subito in mente momenti di grande caldo della mia infanzia, come le pubblicità del the freddo con frasi ormai rimaste nell'immaginario comune quali "Mira il dito" oppure "Antonio, fa caldo..". Si comincia a dormire la sera con la finestra aperta, con conseguenti battute di caccia notturne alle zanzare che non si sa come riescono ad entrare. Considerando che tengo aperta solo l'unica finestra che ha la zanzariera, e che questa è solidamente impermeabile ai malefici insetti, l'unica opzione che hanno di entrare è quella di aspettare che io apra la porta di casa quando torno. Evidentemente fanno gli appostamenti sul pianerottolo in attesa che passi di lì.
La mia con le zanzare è una guerra in campo aperto, dove non ci sono regole o esclusioni di colpi. Nel momento in cui ne sento una ronzare attorno all'orecchio, mi sveglio e accendo tutte le luci in camera. Da bravo psicopatico ancora vi stupite? non ho quadri in camera da letto, proprio per avere solo muri bianchi, su cui risalti subito un puntino nero che si è appoggiato per un istante. Allora prendo la mia racchetta elettrificata ovviamente truccata da 3000 a 6000 Volt per aumentarne il potere distruttivo, e dopo essermi fulminato da solo almeno un paio di volte perché tocco per sbaglio la rete elettrificata, uccido l'infingarda. Così posso dormire tranquillo per la successiva mezzora, fino a che non arriva la sorella di quella di prima in cerca di vendetta e guai. È un ciclo che si ripete, insomma. Non preoccupatevi per me per la scossa, fa male ma passa subito. Una volta ho toccato un recinto elettrificato per cavalli, per sentire cosa si provasse. Solo dopo averlo toccato ho realizzato che un cavallo è molto più grosso di una persona e quindi serve più corrente per allontanarlo. Anche se agli umani dovrebbero bastare i cartelli con il simbolo dello shock elettrico. Non sarà certo un cartello a fermarmi, pensai. Genio.
Insomma, è cominciato questo circo di the freddo, pasta fredda e ventilatori che ci accompagnerà fino a settembre, sempre con il mito di andare in qualche posto, via, solo perché là è più fresco.
Ma proprio come girare il cuscino per sentirne il lato fresco, questa ricerca non riuscirà mai ad essere totalmente soddisfacente.

venerdì 5 giugno 2015

Bevi responsabilmente

Ieri ho avuto una bella idea su un articolo da scrivere qui.
Poi, come tutte le buone idee, se non la metti subito su carta, finisce poi che non trovi il tempo di realizzarla e te ne dimentichi. Avevo pensato a tutta una serie di argomentazioni, di discorsi, e ora non mi viene più in mente nulla. Per cui, in puro spirito mio, ricordandomi solo quello che sarebbe dovuto essere l'inizio, improvviserò.
Discutevo l'altra sera con un mio buon amico, il quale si occupa del marketing di una notissima azienda produttrice di liquori che piace tanto a una determinata spia cinematografica britannica ma non facciamo nomi se no è pubblicità, dell'impegno che si ha nel vendere una bottiglia si alcolici con scritto sopra "Bevi responsabilmente". Il pensiero a riguardo potrebbe fermarsi alla ben nota ovvietà che lega il consumo di alcolici ad altrettanto note patologie epatiche e cardio-valscolari, ma anche agli onori della cronaca di incidenti automobilistici del sabato sera. Questo, secondo me è riduttivo, non è abbastanza. Perché non c'è scritto "bevi poco", c'è scritto responsabilmente.
Cosa significa avere la responsabilità di ciò? Significa che anche se si può avere la capacità di bere oltre la media, mantenendo un livello di attenzione sufficiente da poter guidare, dobbiamo considerare le responsabilità delle nostre azioni. Siamo circondati da persone, sedute accanto a noi o che attraversano la strada, di cui siamo responsabili. Per la legge del più forte, in questo caso del più grosso, anche se ci dovesse attraversare la strada una persona anziana, più che una donna o un bambino, noi abbiamo la responsabilità che di evitare in ogni modo di fare del male a questa persona. In un certo senso ce lo prendiamo a carico. Nello stesso modo in cui chi è in macchina con noi ci è, in un certo senso, affidato. Nello stesso modo in cui il nostro corpo è affidato a noi e dobbiamo averne cura. L'alcoolismo è una malattia orribile, e questo è sotto gli occhi di tutti, ma gli alcolisti non sono tali perché hanno bevuto troppo, almeno non solo, ma perché non hanno messo responsabilità nelle loro azioni.
Se si avesse la possibilità di non procurare danno a nessuno, nemmeno a sé stessi, diciamo una ubriacatura saltuaria in un posto da cui non ci si muove, da soli, senza la possibilità di cagionare l'altrui male, sarebbe anche questo un bere responsabile, pur mancando la condizione di bere poco.
Poi non credo che scriverlo sulle bottiglie serva a molto, oltre che a creare un minimo di consapevolezza. Quando uno compra una Lamborghini, lo sa che esistono limiti id velocità, ma questo non lo ferma dal provarla a tutta velocità. Ma non è che rallenta solo perché potrebbe incorrere in un incidente, quanto più per paura di prendere una multa.
È questo quello che manca, il senso di responsabilità e di quello che si sta facendo. Consapevolezza, non colpevolizzazione.
Non è quindi un discorso di quanto si sta bevendo, bensì come lo si sta facendo.

Il presente articolo non è stato scritto sotto l'ausilio di alcool. Ogni riferimento a serate che potrei aver passato divertendomi molto e non ricordando nulla è puramente casuale. Durante queste serate nessun animale ha subito maltrattamenti, ma potrei accidentalmente aver baciato qualche ragazza brutta.

mercoledì 3 giugno 2015

L'ordine del tempo

Ho deciso di andare contro corrente.
Tutti voi vi aspettereste che io
L'autore si scusa moltissimo di aver fermato un periodo di colpo, ma non sapevo proprio come continuare coi congiuntivi/condizionali, per cui la seguente frase è stata modificata e messa in un tempo verbale gestibile. Che ignoranza.
Potreste pensare che, dato che non ho scritto per il weekend lungo, a cui si va a sommare il ponte, oggi non avreste trovato nulla sul blog. E invece no. Ho deciso di scrivere oggi perché ho un po' di cose da dire, come sempre, in fondo. È appena finito un weekend lungo (per me estenuante), perché fino a sabato sera ho lavorato e non ho preso il ponte di lunedì, per cui non ne esco propriamente riposato nel senso più lato del termine. Avrei decisamente bisogno di in periodo di pausa, in cui non pensare a niente, dormire e basta. Ma so che non sarebbe così.
Sì, perché va a finire sempre che in vacanza si fanno talmente tante cose che ci stancano di più di lavorare. Esattamente come durante l'anno si accumulano gli impegni, gli appuntamenti e le occupazioni, nello stesso periodo dell'anno si accumulano i desideri. Vorrei andare al mare, in piscina, fare una bella gita, andare a ballare e via dicendo. Quando si ha finalmente il tempo, se si pianifica anche in giorni di ferie il proprio tempo lo so che è un po' da maniaci, ma almeno si ha una dimensione di come organizzarsi e cosa si riesce a fare in una giornata di vacanza ci si rende presto conto che di tempo effettivamente libero, in cui sdraiarsi sul divano e contare le tanto agognate macchie sul soffitto, ne resta poco. C'è troppo da fare in vacanza, a tal punto che non sembrano più vacanze. Eh sì, anche andare in vacanza diventa impegnativo, come vi può insegnare chiunque abbia figli in una fascia di età che comprende l'utilizzo di un canotto o di generici gonfiabili da bagno delle dimensioni di un piccolo peschereccio. Io non ho figli, ma da bravo disturbato ossessivo compulsivo posso capire la problematica dell'organizzazione del tempo. Però sapete una cosa? Secondo me è giusto così.
È giusto che durante le vacanze ci si stanchi di più di quando si lavora, nello stesso modo in cui è giusto non riposarsi durante il lavoro. Con questa affermazione non desidero certo accollarmi le ire di tutti i pigri che leggono, o delle associazioni chi difendono la categoria non so se ce ne siano, ma ogni volta che qualcuno dice qualcosa di forte in maniera pubblica, c'è sempre qualche associazione nata al momento che si lamenta, quindi presumo che tuteleranno anche questo pensiero, intendo dire che abbiamo più energie di quante pensiamo. 
Esiste un limite di fatica, che può essere segnato da quando cominciamo a non fare più bene il nostro lavoro non vale chi lo fa già male il proprio lavoro, ma questo non significa che la fatica non sia parte del lavoro stesso, come che il divertimento sia parte delle vacanze. Il nostro umore, che influenza più di quanto pensiamo la nostra capacità produttiva, è strettamente legato al benessere derivante da una situazione di stress o riposo. Non penso che servano studi bibliografici a dimostrazione di ciò, per cui diamolo per assodato. Ora, avere la possibilità di fare, di relazionarsi con le persone durante il periodo di pausa e non stare semplicemente a dormire come vorremmo, in realtà incide in maniera positiva sul nostro stato d'animo. Perché diventa un modo di staccare la spina, un modo diverso di fare fatica. Diciamo che la batteria del lavoro si ricarica mentre quella personale si scarica. Magari la somma totale delle batterie sarà uguale alla fine, ma almeno per il lavoro avremo più energia motivazionale.
Detto questo gambe in spalla, che anche se è già caldo siamo solo a Giungo e manca ancora tanto alle vacanze.