mercoledì 30 dicembre 2015

Il Barone Rampante

In questi giorni,  in cui come molti di voi ormai sanno oltre ogni grado di sfinimento, ho avuto molto tempo per me.
Questo mi ha permesso di fare alcune cose che rimandato da tempo, alcune delle quali realmente desideravo di fare. Mi ero infatti procurato circa un mesetto fa una copia de "Il Barone Rampante" di Calvino, libro che avevo già letto ai tempi del liceo, ma allora avevo detestato. Vuoi per il fatto che non lo avevo letto con attenzione, vuoi perché questa disattenzione si era materializzata in un solido 4 nella recensione del libro, non ne portavo un gran ricordo. Ma si sà, il tempo porta consiglio, così, seguendo una buona idea che mi venne tempo fa, sto rileggendo con molta più calma e attenzione tutti i libri già letti. Il risultato ha dell'incredibile: mi trovo infatti ad adorare libri che non avevo capito per niente, e tuttora non ho ancora trovato un libro che non mi sia piaciuto. Questo mi fa anche capire perché certi testi si facciano leggere nelle scuole. Certo, magari a quell'età non si capisce, e soprattutto obbligare alla lettura è sbagliato.
Insomma, facendo buio alle 5, e dovendo aspettare fino alle 8 per la cena, e poi dopo cena, in un paio di giorni ho finito questo bellissimo libro. Per chi non conoscesse la storia, narra del Barone Cosimo di Rondò, che, per dispetto, a dodici anni decise di salire sugli alberi, e ci visse tutta la vita senza mai mettere più piede a terra. Certamente un personaggio interessante e originale, in cui è facile immedesimarsi. La tenacia delle proprie idee, la risolutezza delle proprie opinioni e dei propri obiettivi penso ci accomunino, anche solo l'idea che siano così. Il pensiero che presa una decisione, seppur tra mille difficoltà, questa rimanga siffatta in eterno, senza mai venir mutata. L'autore si scusa del lessico utilizzato, ma gli piaceva molto come era scritto il libro e sostiene che parlare così gli "dia un tono". Creativo. C'è un po' di Cosimo di Rondò in tutti noi, o almeno tutti vorremmo essere un po' come lui. Perché tra avventure, amori trovati e perduti e storie che hanno dell'incredibile, la vita del barone non ha niente da invidiare a quella di una persona che ha vissuto coi piedi a terra. Mi è piaciuto molto anche come nel libro, la stranezza di una vita sugli alberi, di cui non ci si riesce a capacitare mai, diventi sempre meno importante, fino alla mondanità: da capriccio diventa un'affermazione personale, poi una peculiarità, fino a diventare un vezzo. Quasi come un modo di acconciare i capelli. È la morale della gente, flessibile e capace di abituarsi a tutto, anche alle scelte illogiche.
Forse la morale del libro è proprio questa. Più della solitudine dell'intellettuale, che trova più compagni di viaggio che di vita, il libro vuole farci capire come non importi più di tanto l'immagine che si dà alla gente, perché ci si abitua a tutto, le epoche passano e i tempi, come i costumi, cambiano. Ciò che conta è la confidenza che poniamo in noi stessi, e nelle nostre scelte. Cosimo di Rondò è stato tante cose, ma mai si potrà dire che non fosse una persona risoluta.

Visse sugli alberi, amò sempre la terra, volo in cielo.

martedì 29 dicembre 2015

Fammici pensare

Sono ancora quassù, nella mia bella baita di montagna.

Tolti i vestiti fradici della giornata sulle nevi artificiali, sia ben chiaro, curate le ferite e fatta una doccia calda, mi ritrovo nella invidiabile condizione di essere pulito anche se questo capita più spesso di quanto pensiate, riposato e anche affamato. Sì, perché proprio come ieri sera sto aspettando che apra il ristorante. Che è un ristorante per modo di dire, dato che è il proprietario a cucinare, e gli ospiti siamo io e due coppiette. Al di fuori del mio target di interesse come età, non pensate sempre male, per cui non mi viene nemmeno voglia di socializzare.  Faccio tutte le mie cosine, che mi ero programmato i giorni scorsi, ma senza la frenesia per la quale se dovessi finire qualcosa prima non saprei che fare. Oggi, ad esempio, sono stato tutto il giorno a sciare, sempre da solo. Certo, ho fatto un sacco di chiacchiere con la gente che incontravo in funivia tutte le volte che risalivo, ma per lo più erano curiosi di sapere cosa fosse il "corno" che avevo montato sul casco. Per completezza, allego immagine qui sotto. Trattasi della prolunga per fare delle riprese con la GoPro, le quali mostreranno tutta la mia eroicità. O mediocrità. Non importa.
Oggi, come ieri, però non ho mai avuto la sensazione di essere solo, perché avevo sempre qualcosa a cui pensare. Nel momento in cui si trova un attimo di pace, per ragionare in maniera ampia sulle cose, le parole di conforto, le soluzioni ai problemi che ci attanagliano, prendono una forma diversa. È come se si sentissero i pensieri ad alta voce, e proprio come fare i conti è più facile se possiamo visualizzare i numeri su un foglio, si raggiungono numerose epifanie nel momento in cui si ha tempo di meditare. No, non sento le voci. Era per farvi capire lo stato meditativo.
Io penso decisamente troppo. Forse è anche perché ho troppo tempo per farlo, ma in questi giorni ho capito che lo faccio nel modo sbagliato, come qualcuno che davanti a una porta chiusa continua a ripetersi l'ovvietà di una serratura a lui contraria. Avere del tempo per sé, forse è la più grande vacanza che uno si possa prendere. Sto leggendo libri, facendo esperienze quelle che non mi uccidono, o meglio, per ora non mi hanno ancora ucciso, ma sento di essere me stesso al 100%, quasi con un livello di auto-consapevolezza maggiore.
Ieri sera, come avevo promesso e ho scritto, sono andato a vedere le stelle. Ho spaventato a morte il tipo che guida il gatto delle nevi la notte sulle piste che era venuto a farsi un goccetto prima di cominciare a lavorare, chissà perché le righe della pista erano tutte storte, perché mi ero messo seduto con la schiena al pozzo, per vedere meglio nel buio dove non era illuminato, e non mi ha visto fino a che non mi è passato a un metro, ma non voglio parlare di questo. Ha fatto un salto.. Dicevo, le stelle. Così belle, mi erano mancate così tanto, anche perché non le ho cercate per un sacco di tempo. Perché non ho mai alzato lo sguardo verso il cielo come ho fatto ieri, in questi ultimi anni. La pace che mi ha dato questa visione, l'idea che esistessero milioni di galassie fatte di gas che brucia milioni di chilometri di distanza grazie Pumba, mi avrebbe sicuramente aiutato durante alcune delle pagine buie di questa mia vita originale. Ero lì, a guardare in alto, con la bocca aperta, a cercare di capire se su questa terra fosse tutto troppo semplice o troppo complesso. Ma la risposta è qualcosa che voglio tenermi per me.
Se volete scoprirlo, venite qua anche voi.

L'autore è molto contento di aver trovato una chiusura ad effetto, cosa che gli riesce sempre difficile. Tuttavia, vuole informare il gentile lettore che non ha assolutamente nessun desiderio di invitarvi in questo posto, in quanto, quando ci vorrà tornare, non desidera certo trovarvi lì.

lunedì 28 dicembre 2015

E alla fine uscimmo a riveder le stelle

In questo momento mi trovo tra le nuvole.

Sì, non è un modo di dire, si tratta del posto dove sono realmente. Ma non sono su un aereo, né tanto meno in una fumeria d'oppio della Londra ottocentesca nonostante i miei baffi mi avrebbero garantito un accesso sicuro, ma sono in cima a una montagna. Ho trovato una bellissima sistemazione per qualche giorno, per ammazzare la noia tra le feste, uccidendo il tempo con un po' di aria buona, passeggiate e sci. Stranamente, come in tutti i miei racconti, pare che il tempo, che cerco di uccidere, provi a fare altrettanto con me, ponendo sul mio cammino, non sventure o terreni accidentati, ma quelle che molto spesso chiamo idee brillanti. Tipo quella che ho avuto oggi di non seguire il sentiero per il ritorno alla base dopo un'escursione, ma di procedere in linea retta fino al rifugio. Per mia fortuna mi ero portato dietro un coltello con cui sono riuscito a farmi largo nei passaggi più stretti del bosco, ma sono vivo, e questo è quello che conta. Approfitto per ringraziare Bear Grylls per avermi sostenuto con le sue trasmissioni, facendomi credere di essere un esperto di sopravvivenza. Se sono vivo devo esserlo per davvero.
Ma non voglio parlare di come sono scampato a morte certa e dolorosa, non anche stavolta, dato che è stato tutto registrato con la GoPro, voglio parlare di tecnologia. Sì, perché se penso alle mie giornate a casa, quando non c'è niente da fare, è un continuo rimbalzare di TV, computer, cellulare, streaming e ricomincia il giro. Ah, ogni tanto ci caccio dentro anche il blog, oppure un libro da leggere, ma sempre sul telefono. Insomma, sono sempre davanti ad uno schermo e la cosa non è giusta. Capirete quindi il mio disagio iniziale, quando qui, dove non prende bene e la batteria va risparmiata nel caso ci si perdesse nel bosco, mi sono trovato in una situazione non dissimile dagli anni 80. Elettronica ma non smartphone, quindi. Volete sapere come ho vinto la noia? Dormendo. Sono arrivato in cima alla montagna (Punta Regina, 2380 mt, 1100 di dislivello il 1 ora e mezza, scusate se è poco per uno fuori allenamento) e ho schiacciato una pennica in mezzo alla natura, e ho ricaricato le batterie. Ho scritto un po' e sono tornato giù, sopravvissuto, doccia e altra pennica. Ho provato a scrivere qualcosa sul blog ma proprio non mi veniva nulla. Ora sto aspettando che apra la cucina per andare a mangiare, il proprietario del BnB mi ha invitato con lui. Devo avergli fatto pena. Ma non volevo che questo pensiero andasse perduto. Che la giornata di oggi, vissuta come migliaia di altre giornate di miliardi di altre persone a cui non sono più abituato, andasse dimenticata.
C'è molto da fare se si alza lo sguardo dallo schermo. Io, dato che ce l'ho già in alto, stasera guarderò le stelle.
Che da qui si vedono per davvero.

martedì 22 dicembre 2015

Le parole che non ti ho detto

Rileggevo l'altro giorno un vecchio post, in cui parlavo dell'importanza di sapere, oppure non sapere le cose del nostro passato. E' curioso il modo con cui tramite i post, riesco ad avanzare all'interno del mio pensiero. Penso che sia un qualcosa che chiunque fa, eppure mi sembra sempre molto particolare. Tanto da doverlo denotare tutte le volte. In realtà, non sono del tutto sicuro che sia una cosa buona, sopratutto per il vecchio detto secondo cui, se scopri di essere dentro una buca, almeno smetti di scavare. Nello stesso modo probabilmente procedo io con i miei pensieri.
L'avanzamento di questo pensiero, all'interno delle mie quotidiane riflessioni, è tornato alla mia attenzione a causa di una discussione dell'altro giorno, in cui sostenevo insieme ad un amico di non riuscire a parlare chiaramente con una persona, in quanto ciò che avrei potuto dire sarebbe stato troppo da sopportare. In un certo senso cerco di trasformare sempre quello che penso per me, per i miei problemi, che sono confinati e ben noti, con quello che dovrei dire agli altri. In fondo un buon consigliere pensa sempre come si comporterebbe in una determinata condizione, dopodiché ragiona su come trasporre, traslare, e soprattutto tradurre, il tutto in un linguaggio intellegibile all'ascoltatore. Ciò che rende buono un consigliere, non è quindi la capacità di generare un pensiero positivo, ma è la proprietà di proiezione del proprio pensiero nei confronti di chi ci ascolta. Nel mio caso, quindi, non sono decisamente un buon consigliere. Non riuscendo a trasformare il mio pensiero personale in qualcosa di universale, mi trovo nella situazione di non poter dire ciò che penso. Qualcuno potrebbe obiettare che tutti siamo diversi, ognuno con i suoi problemi e le proprie esperienze, eppure penso che per un omologazione all'interno della vita umana, si possa considerare l'idea che ci siano delle somiglianze, anche se ognuno è fatto a modo suo. Determinate situazioni impongono vie d'uscita simili, anche se probabilmente non si potrà proporre la risposta facile e pronta ad ogni problema, si può provare almeno a fornire delle linee guida su come fare. La mia esperienza sarà sempre diversa da quella di qualcun altro, ma non sto parlando di me, sto parlando in generale, in quanto io sono fatto in una certa maniera prevalentemente sbagliata, credo.
La capacità di poter aiutare gli altri è molto importante come parte integrante delle nostre giornate, ci permette di sentirci utili. Una volta, parlando ad una mia cara amica, le dissi che a volte, fare qualcosa per gli altri è l'unica cosa che possiamo fare per noi stessi. Basti pensare che all'interno delle opere di misericordia della Chiesa, tra dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, c'è un importantissimo consigliare i dubbiosi.
Perché non importa sapere la risposta giusta per qualcosa che non può avere un'unica risposta giusta, a volte un consiglio basta per farci sentire meno soli, nelle scelte di questo mondo.

venerdì 18 dicembre 2015

Zitto e balla con me

Questa mattina mi sono svegliato contento.

Trovo che sia curioso che la maggior parte dei miei post comincino così. Anche un po' monotono e ripetitivo, a dirla tutta. Sarà che sono spesso allegro, oppure che mi succedono cose divertenti, ma è la verità. La mia vita improbabile è colorata da spunti di immaginazione che mi permettono di vedere tutto in un ottica diversa dalla semplice monotonia quotidiana. Un po' come se un marinaio in alto mare sorridesse tutte le volte che qualche pennuto sorvolasse l'imbarcazione. Non ci si lamenta della monotonia del mare, ci si stupisce dell'inaspettato.
Come dicevo, la mia immaginazione, che è una cosa bellissima da avere, mi fa viaggiare moltissimo, ma trova il suo apice di proiezione sulla realtà con la musica. La musica infatti, parte quotidiana della mia vita in tutte le sue forme, permette di immaginare, sognare e figurarsi scenari, così vividi che possono intaccare le nostre reali emozioni. Leggevo in questi giorni che Adele, una cantante professionista di altissimo livello, durante uno dei suoi ultimi concerti, si è messa a piangere mentre cantava una delle sue canzoni notoriamente tristi. Non ci ho trovato nulla di male, anzi, ho pensato che fosse una cosa normalissima. La musica ci porta in luoghi sconosciuti, ma spesso anche in posti conosciuti dove non vorremmo tornare. Non è un caso che quando si è innamorati, o meglio ancora quando ci si lascia si ha l'impressione che tutte le canzoni parlino della persona amata, e per la prima volta si ascoltano le parole, non solo la melodia. Ogni canzone racconta una storia, quindi è bello che viaggiando, si possa immaginare tutto quello che ci sia dietro questa. Avevo un amico che nella musica vedeva i colori: mi diceva frasi tipo "non senti questa canzone? È ovviamente arancione!" Ammetto di averlo sempre trovato un filo strano pure io, ma pare lo facesse pure Raffaello, e chi sono io per contraddire una delle Tartarughe Ninjia? Io non riesco a vedere i colori dalle canzoni, ma riesco a vedere storie, anche elaborate. Per questo mi piace montare i video al pc, per trovare sempre la musica perfetta per le immagini che scorrono.
E così torniamo a stamattina, perché mi sono svegliato con una canzone gioiosa, ovvero Shut Up and Dance with Me dei Walk The Moon. È molto meglio svegliarsi con la carica di energia di una canzone come questa specie se alle 6 di mattina, anche perché il testo è interessante. Ho immaginato un ragazzo timido che incontra una ragazza bellissima, che lo invita a ballare per vincere la sua timidezza, e lei diventa l'amore della sua vita. Molto commedia anni 90, forse ne ho viste troppe. È stato bello, quando la canzone è finita ero veramente contento per loro. Certo, si tratta di due persone che non conosco e soprattutto non esistono, però mi ha fatto sorridere. Se avessi avuto una ragazza sarei corso in mezzo alla strada per andare da lei con la sola forza delle gambe, per dichiararle tutto il mio amore o per "andarmela a riprendere". Credo sia principalmente per cose come queste che non ho una ragazza. In effetti spiega molte cose.
Insomma, il potere della musica è geniale. È bello avere una colonna sonora per ogni momento della giornata, dà più credito all'idea di essere i protagonisti di una storia molto interessante.
La nostra vita.

giovedì 17 dicembre 2015

My better is better

In questi giorni ho lavorato per 12 ore di fila, senza nemmeno fare la pausa pranzo.

Adesso qualcuno si arrabbierà non ho fatto la pausa pranzo l'ho fatto semplicemente perché altrimenti avrei dovuto lavorare 13 ore, non 12. Purtroppo questa settimana fa parte di quella settimana dell'anno terribile, in cui bisogna chiudere tutti i conti, visitare tutte le persone degna di nota, e cercare di essere gentile carino con tutti almeno fino all'inizio del 2016. No, non sto parlando della settimana di lavoro prima di Natale, ma proprio dell'unica settimana del'anno in cui anche io lavoro. Che lavativo. No, sto scherzando. Fino a un certo punto.
Ma come si affronta una giornata del genere? Come si comincia alle 5:30 del lunedì mattina per fare qualcosa tipo 350 chilometri ogni giorno con la macchina? Mi capitato spesso di pensarci, in queste lunghe giornate, a cosa mi desse la forza di uscire dal letto, ad un orario così mattiniero, e tornare così tardi che solo oggi pomeriggio ho visto casa mia illuminata dalla luce del giorno. In più, tutto per la prospettiva di una giornata così faticosa. Alla fine credo che si riduca tutto un semplice concetto di autostima. Io ne ho sicuramente troppa, e questo non sono sicuro che sia una vera e propria colpa. Mia madre, qualche anno fa, mi regalò un libro, il cui titolo era qualcosa su "pilastri dell'autostima". Scelsi deliberatamente di non leggerlo. Ma non per il contenuto, nemmeno per la copertina, perchè un libro non si giudica da fuori, si giudica dal numero di pagine, e quello ne aveva troppe. Certo, a volte me la credo troppo, e penso addirittura di essere di più di quanto sono in realtà.
Ma non è forse questo il segreto del successo? Spingersi oltre i propri limiti, ma soprattutto avere confidenza nei propri mezzi? Ho trattato questo argomento tante altre volte, ma secondo me è sempre bello ripeterlo. La confidenza in sé stessi deriva dalle proprie esperienze, dalla propria vita, e da tutto ciò che abbiamo provato, quindi anche le delusioni che ci sono capitate. Ieri mattina, guardandomi allo specchio, ho detto qualcosa di molto forte. Lo fanno fare a te perché sei il migliore. Sicuramente non è vero, questo penso sia evidente a tutti. Però, una frase detta alla mia immagine riflessa, che mi ha suonato in testa tutto il giorno, mi ha dato la forza di affrontare una delle giornate più difficili dell'anno e non ho avuto bisogno di chiedere aiuto a nient'altro, nemmeno all'energia del cibo, per arrivare fino in fondo. Non voglio fare una celebrazione di me stesso, per questo basta leggere una qualsiasi altra pagina del blog, voglio solo far notare come la capacità di credere in quello che si fa, nei propri mezzi, sia fondamentale per far pendere l'ago della bilancia verso il successo, e non verso il fallimento. In alcuni casi un "posso farcela" è più che sufficiente, invece in altri, di maggiore sforzo, è richiesto un "sono il migliore". Andare a parlare con una perfetta sconosciuta ma perchè finisco sempre a fare questi esempi? è un fallimento in partenza se non si crede nelle proprie potenzialità. Il leader, non è colui che non fa mai domande o che dà ordini, è colui che infonde sicurezza negli altri perché ha fiducia in se stesso. Non dubita le proprie decisioni perché ne accetta le conseguenze. Riprendendo un concetto già espresso, è coraggioso.
Tutti noi siamo pieni di difetti, imperfezioni e falle che ci rendono fantastici agli occhi di chi ci ama. E nel momento in cui qualcuno ci ama per le nostre imperfezioni, anche noi dobbiamo fare lo stesso. Perché, in fondo, amare se stessi è il primo passo per permettere agli altri di fare lo stesso.

lunedì 14 dicembre 2015

La solitudine dei numeri primi

Come sta in questo momento Holly Holm?

Penso che questa domanda, con cui comincio questa riflessione, necessiti una spiegazione, almeno per in non addetti ai lavori. Sono un grande appassionato di sport in tutte le sue forme atletiche, per cui spesso sconfino, nel mio interesse, anche al di fuori delle normali discipline mainstream, fino ad arrivare alla conoscenza  piuttosto blanda, lo ammetto di sport quali boxe, pugilato e arti marziali in genere. Alcuni di voi,  i più sensibili, obietteranno che picchiarsi non è considerabile uno "sport", ma bisogna vederne il lato romantico della cosa. Sì, parlo di romanticismo con i pugni. Pensate solamente all'impegno, la dedizione che  gli atleti ci mettono nell'allenarsi, avere un obiettivo, dedicare la propria vita, come una missione, alla realizzazione di un risultato. Non è settemplice colpire più forte degli altri, è mettersi in gioco con tutti se stessi, dimostrare che io, persona, sono più forte di te. Non che questa volta sono stato più fortunato. 
Gli appassionati di questo genere i sport, sapranno sicuramente che il mese scorso c'è stato un incontro importante per la conquista del titolo UFC tra Ronda Rousey e Holly Holm. Non pretendo che chi legge qui si intenda di MMA (mixed matrtial arts, quelli che si picchiano nelle gabbie, per intenderci), specialmente quelli che leggono giornali di bassissimo livello ad esempio quelli stampati su carta rosa, non se ne sono neanche accorti, non fosse che ultimamente questa Ronda Rousey è diventata abbastanza famosa. Per le sue doti atletiche o per la medaglia d'argento nel judo ottenuta alle olimpiadi forse? Assolutamente no, perché è carina. Per gli estimatori del genere, ovviamente. Ha fatto un mezzo calendario e la gente ha cominciato a parlarne, ed essere interessati allo sport. Non faccio lo stinco di santo, anche io mi sono interessato perché è carina, ma non è questo il punto. Campionessa imbattuta per 12 incontri di fila, si è deciso di organizzare un incontro con un'altra campionessa imbattuta per 8 incontri, per il titolo e la cintura. 
L'incontro è finito dopo poco. La  beniamina di tutti, Ronda, una macchina da guerra che tutti credevano imbattibile, è stata allontanata con un diretto al volto, giusto per metterla in traiettoria del piede sinistro delle Holm, che l'ha mandata al tappeto con un calcio in pieno volto. Bum. Incontro finito.
La Rousey, campionessa navigata, ha recentemente raccontato in un'intervista che, sebbene non abbia riportato fratture al volto, non riesce a parlare bene, oltre che mangiare nemmeno una mela dopo più di un mese. Tutti si sono preoccupati per lei, a ragion veduta: l'eroe caduto lascia tutti stupefatti. Il dio ferito apre un mondo di possibilità, e le cose per lei non saranno mai più come prima, quando era la migliore di tutti. Un curriculum invidiabile, macchiato in maniera indelebile. Certo, magari rimarrà l'unica sconfitta, ma ci sarà sempre. Ma la domanda dell'inizio mi ritorna in mente.
Sì, perché si pensa sempre, per umiltà o pietà, a chi perde. Chi invece ha dimostrato di essere più forte di quanto si pensasse come sta? Come ci si sente ad avere raggiunto un obiettivo che si credeva troppo lontano per chiunque, ad avere ancora forza di correre dopo il traguardo? Immagino che si senta quella sensazione da tutto qui? L'idea di avere perseguito i propri obiettivi, non è solamente pareggiata dalle aspettative positive che si avevano, ma implementata dai dubbi che si nutrivano in merito prima che se ne potesse prendere parte. L'idea di avercela fatta è una sensazione bellissima, completamente diversa da come ce la si potrebbe aspettare. Anche per il fatto che le attenzioni di tutti, in questo momento, sono altrove.
Ci si sente anche soli, lassù in cima, a volte, ma fa parte dei sacrifici affrontati per arrivare fino a lì. Ma non si può faticare tanto per poi rimpiangere di aver centrato l'obiettivo. Perché sarebbe un vivere in azioni che appartengono al passato, e quindi come dico sempre sbagliate. Bisogna considerare tutto come il punto di partenza. Cara Holly, insomma, non ti preoccupare se l'atteggiamento della gente è cambiato nei tuoi confronti da quando sei passata da sfidante a campionessa. Il bello deve ancora venire.
Non bisogna mai dimenticare l'atteggiamento che si aveva quando eravamo degli sfidanti, perché è questo che ci rende dei campioni. Nella vita come sul ring.


mercoledì 9 dicembre 2015

La teoria della Bruschetta

Cari amici,
già immagino i vostri commenti al post dell'altro giorno. "Perchè ci chiama amici? Noi non ti conosciamo". No, non quelli, ma tutte le vostre considerazioni in merito alla mia connessione superveloce installata nella mia supercasa. Bene, è con grande piacere che ho l'onore di comunicarvi che in questo momento vi sto scrivendo sotto l'ausilio di una potentissima rete Wireless! Lo so, massima gioia per tutti, anche se devo dire che trovo strano che a casa mia la rete appena installata si chiami Fast-qualcosa, quando io avevo sottoscritto un contratto con Voda-qualcosa. Forse sarà per il fatto che il tecnico Tele-qualcosa ha avuto la cortesia di non presentarsi all'appuntamento senza nemmeno avvisare, per altro, quindi non sto scrivendo da casa ma nuovamente dalla wifi dell'ufficio. Pazienza. Ci vuole calma nella vita, ma non abbastanza da arrivare a non pretendere niente dagli altri, che è sbagliato. Significherebbe non avere fiducia nel prossimo, ma non voglio parlare di questo.
Ieri sera ero a cena in un ristorante. Mi piace sempre uscire a cena la sera, specie se si tratta di lavoro. Sfortunatamente, non creo mai degli eventi mondani a casa mia che implichino l'uso della cravatta sono strano, ma non così tanto quindi è piacevole, di tanto in tanto, andare a una cena vestito bene. Questo comporta soprattutto il doversi comportare di conseguenza, con le buone maniere che mi sono state insegnate, e mi sono costate innumerevoli sgridate da pare dei miei. Come tenere i gomiti, le mani, le posate, il timing del mangiare, quando aspettare e quando darci dentro come uno che ha attraversato il deserto con i ranger alle calcagna. Ma c'è sempre un momento che divide, in queste cene importanti, perché non so mai come comportarmi. Il bon ton insegna che una buona preparazione dei piatti non comporta mai l'indecisione sul comportamento da tenere, ad esempio deve essere sempre palese se mangiare con le mani o con le posate. Sembra una scemenza, ma è così, motivo per cui alle cene di gala non viene mai servita la frutta, proprio per questa fatale indecisione. Il momento clou dell'indecisione è proprio agli antipasti, con la Bruschetta.
Sì, perché la bruschetta è tanto buona quanto traditrice. Il pane perfettamente tostato, passa da una condizione malleabile a una fragile, anaelastica. Il pomodoro in superficie invece, quanto più è buono e succoso, tanto più riesce ad ammorbidire un solo lato del pane. La condizione isotropica del pane (non ci sono punti di rottura preferenziali) dovuti alla tostatura, unita all'instabilità strutturale portata dal pomodoro, implica la situazione in cui appena si addenta la bruschetta, questa si rompa. Con le conseguenze che il pomodoro cade nel piatto nel migliore dei casi o sui calzoni molto più probabile. Capita anche che cada nel palmo della mano che sta reggendo il pane, con quella strana sensazione di fresco che si prova a causa del pomodoro bagnato.
Il motivo per cui voglio parlare di questo, è perché l'approccio che sia la bruschetta, spesso è ben esemplificativo di come si affrontano i problemi. Mi spiego meglio, se ci fate caso, ci sono persone che la bruschetta la studiano un po' prima di mangiarla, dopodiché la addentano, senza però attaccare con violenza, nella speranza che si rompa esattamente dove ci sono i denti, quindi che non vada niente al di fuori del loro controllo. Questo raramente succede, anche per l'approccio indeciso che si ha. È un comportamento in cui l'approccio non è perfettamente deciso al problema, quindi difficilmente porta dei risultati. Altre persone invece addentrano con forza la bruschetta cercando di forzare il punto di rottura con le proprie capacità. Questo è un approccio deciso ai problemi, in cui si cerca di essere artefici delle proprie decisioni, in modo da limitare il più possibile le conseguenze. Questo, seppur un approccio condivisibilmente deciso,  non è garanzia di ottimo risultato. Infine, degno di nota in mezzo a tanti altri, c'è un terzo caso: quelli che la bruschetta non la mangiano perché gli è già capitato che gli si rompesse in mano, e vogliono evitare ulteriori brutte figure. Questi sono quelli che hanno paura di sbagliare, a tal punto di non riuscire a prendere una decisione.
Non voglio stare a parlare di quale sia l'approccio giusto, voglio solo mettere il punto su una cosa. La bruschetta non è che l'antipasto, se ci si comincia a fare dei problemi su questo, probabilmente bisognerebbe riconsiderare tutta la cena.
Detto questo, voglio augurare a tutti un buon weekend.
Be brave.
Per la cronaca, a me ieri sera il pomodoro è caduto sui calzoni. Li laverò.

Una connessione impegnativa

Sembrava impossibile, ma ce l'ho fatta.

Stamattina mi ritrovo a casa perché sta per arrivare il tecnico che, finalmente, mi dovrebbe installare la rete ADSL in casa. Il che è una grande vittoria per tutto il team io, il mio ego e le altre varie personalità che abitano la casa, in quanto finalmente potrò fare tutto quello che prima mi era proibito, quale installare aggiornamenti nei vari dispositivi di casa e anche tutte quelle cose che facevo esattamente allo stesso modo con la rete mobile fino ad ora. Detto così non sembra un gran affare. Mi fa abbastanza senso questa cosa, perché sottoscrivere un contratto internet fisso è prendersi un impegno, e per questo avevo evitato, fino ad ora, di farlo. Scegliere di legarsi a una compagnia telefonica per 24 mesi, nel mio caso, significa essere più o meno sicuri di rimanere in questa casa per i prossimi due anni. Capirete che per me, che il mio continuum-spazio temporale si ferma a sabato prossimo, non dico l'anno prossimo, possa essere un grosso impegno. Ma è uno di quei rischi che vanno corsi, come dicevo nel post di lunedì. Non ho una prospettiva a lungo termine, ma se non si comincia da qualche parte, non si inizia mai.
In questo ultimi giorni di attesa ho avuto modo di pensare a lungo al concetto di impegnarsi in qualcosa di così longevo, essendo stato un weekend lungo e meditativo. Ho infatti passato buona parte di questo ponte ragionando, nella pace dei sensi, sulla mia vita. E per meditativo intendo dire che ho dormito come una pietra in fondo al mare, a spanne direi negli ultimi 3 giorni la bellezza di 40 ore. Ma dicevamo, la disponibilità ad impegnarsi.
Impegnarsi in qualcosa di grande è importante, perché ci permette di fare qualcosa di grande, ci permette di raggiungere risultati che stupirebbero noi stessi, e quindi a volte vale la pena di correre un rischio. In fondo è questo che fanno gli imprenditori, che sono coloro che mettono a rischio il loro stesso capitale a fronte di un risultato altrimenti irraggiungibile. Non è chi prende la strada più facile, che permette di arrivare prima in alto, anche se quest'ultima espressione è vera. Anzi, l'imprenditore è colui che prende le scale al posto della scala mobile, confidando che le proprie gambe gli permettano di arrivare in cima prima di quelli che stanno immobili a non fare fatica sul sistema automatico. Nessuno vi dirà mai, vantandosi, che è riuscito a salire fino in cima di un palazzo facendo usando solo le scale mobili o gli ascensori, così sono buoni tutti.
Il mio impegno di quest'anno è stato quello di aprire un blog. Sapevo che sarebbe stata dura, perché ci sono stati un sacco di giorni in cui non sapevo cosa scrivere o avrei fatto meglio a non scrivere, ma è stato bello. Questo è il mio post numero 100, e fa un sacco di piacere arrivare a un numero così considerevole, sapendo che è aperto malapena da Marzo 2015. Significa che avevo un sacco di cose da dire, oltre che, se le visite continuano ad aumentare, che la gente apprezza quello che faccio. Sarebbe stato molto più facile non fare niente, e starmene sul divano con quell'aria meditativa che contraddistingue le mucche quando dormono, eppure mi sono impegnato, e ora posso godere dei risultati del mio lavoro. E anche se non ho portato in salvo l'antico vaso con un aereo e 3 amici ubriachi di Amaro Montenegro, posso dirlo.
Sembrava impossibile, ma ce l'ho fatta.

lunedì 7 dicembre 2015

La paura e il coraggio

Che cos’è il coraggio?

Una vecchia storia che ci raccontavamo ai tempi del liceo dice che una volta un professore di italiano diede questa domanda come tema ai suoi alunni, da sviluppare per fagli capire meglio come la pensassero, mediante un tema descrittivo. Uno degli alunni, preso il foglio, ci scrisse sopra una sola frase, e lo consegnò al professore. Sulla pagina bianca c’era scritto solamente “il coraggio è fare questo”.
La leggenda dice che lo studente fu premiato con un 10 nel suo tema, apparentemente coraggioso. La cosa bella di storie come queste, che assolutamente non hanno niente di veritiero e sono assolutamente scorrelate con quello che vogliono esemplificare, è la capacità di concentrarsi su un unico punto, la cosa per cui l’esempio sarebbe calzante. Si potrebbe obiettare che il coraggio non si limita ad un’azione di forza, ad un singolo momento, ma sarebbe limitativo pure questo. Consegnare un foglio bianco è da spacconi, non certo da coraggiosi. Allora come si può dare un esempio realistico di un’azione che ci rimandi al coraggio? Da qui sono partito facendomi questa domanda, perché essere coraggiosi è una caratteristica a cui tutti ambiamo, anche perché, diciamocelo, è una delle migliori. Coraggiosi sono gli eroi delle storie che hanno infiammato la nostra fantasia da bambini, coraggiosi sono gli atleti e le persone del mondo che hanno modellato la nostra giovane concezione di adulti e poi coraggiose sono state le persone che come noi affrontano ogni giorno e ammiriamo. Non è qualcosa che si può valutare, solamente se ne possono vedere gli effetti, un po’ come a dire che non esiste un modo di dire “molto coraggioso”. La migliore definizione di coraggio che riesco a dare è avere al consapevolezza delle proprie azioni. Ma questo necessita delle spiegazioni, perché è legato in maniera vincolante al concetto di paura.
Tutti abbiamo presenti i cavalieri, gli eroi delle favole: essi sono consapevoli della loro forza e dal loro coraggio deriva l’assenza di paura. Senza macchia e senza paura, si diceva una volta. Crescendo abbiamo capito che però non esiste possibilità di non provare paura, e in certi casi è anche un bene averla. La paura ti permette di evitare di prendere alla leggera le questioni che riteniamo importanti, quindi in un certo senso ci fa stare sull’attenti. La paura è qualcosa di buono, in fondo, che cerca di preservarci . Ma proprio come un frigo che congela gli alimenti, la paura ci mantiene bloccati dove siamo, senza la possibilità di muoverci, di agire, di essere umani. È qui che entra in gioco il coraggio. Il coraggio è la consapevolezza delle proprie azioni oltre la paura. Perché quest’ultima ci sarà sempre, e cercherà sempre di fermarci. Ma il coraggioso non è colui che non bada alla paura in qualsiasi cosa, quello è il temerario, o peggio, lo sprovveduto, ma è colui che, con consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie potenzialità, quindi anche della paura e dei rischi, non lascia che qualcosa lo freni dal perseguire i suoi obiettivi. Coraggioso è chi si lancia, senza la paura di cadere, come un uccello che non ha paura che si rompa il ramo sopra cui si sta riposando. Non perché è sicuro del legno che lo sostiene, ma perché ha fiducia nelle sue ali. La paura ci sarà sempre, in tutto quello che faremo, bisogna solo avere la capacità di vedere oltre. Quasi come se fosse una scommessa, in cui quello che possiamo guadagnare è molto più di ciò che potremmo perdere.
Per cui la domanda che ci dobbiamo porre ogni mattina, guardandoci nello specchio, non dovrebbe essere se siamo coraggiosi, ma se in questo giorno che sta iniziando ci lasceremo battere dalla paura. La paura di vivere per davvero. 

venerdì 4 dicembre 2015

Il bue nella nebbia

Lentamente, ma ci siamo arrivati.

Ogni anno si ripropone la stessa storia. Finalmente, tra l'altro, è arrivata anche la nebbia in città, che potrà essere brutta e triste fin che si vuole, e oscurare il bel tempo che invece splende in altre parti del Belpaese, ma fa molto inverno. Poi per me, ragazzo di pianura, dà una sensazione di pace indescrivibile quindi non ci provo nemmeno. La sera, quando vado a correre al buio al parco con la nebbia, senza vedere a più di 10 metri di distanza, non si ha la sensazione di di non vedere dove si sta andando, anche se è vero, ma è come essere avvolti da una barriera protettiva, quella sensazione di stare dentro una bolla. Certo, non è proprio il massimo della sicurezza, se qualcuno arrivasse con una pistola oppure un coltello non lo vedrei fino a che non me l'avesse puntato contro. Non sono del tutto sicuro di aver aggiustato bene il congiuntivo di questa frase, nel caso fatemi sapere. Ma in fondo è anche questa la magia della nebbia. Di conseguenza, oltre la nebbia, arriverà anche la magia del Natale, che è come l'alcool, inebriante e gioioso, ma lo sento sempre di meno. Casa mia, oltre essere nel gelo più totale oramai mi sono acclimatato a 16 gradi e canto la colonna sonora di Frozen, il resto è lusso, non è minimamente addobbata per il natale, anche se mio fratello sostiene che da qualche parte io nasconda un bue e un asinello. Veri. Non ci sono mai a casa, quindi non ho molto tempo per pulire. Anche se il bue e l'asinello nel presepe c'erano per scaldare, quindi non sarebbe una cattiva idea averceli veramente. Tra l'altro sarebbe anche sicuro perchè i buoi, come le mucche, possono salire le scale ma non scenderle vi sfido a provare il contrario, quindi non riuscirebbe nemmeno a uscire da solo. L'autore si scusa moltissimo di questa digressione, ma sta veramente cercando online dove reperire un bue.
Siamo arrivati in questo periodo dell'anno, tempo di tirare le somme quindi è doveroso, oltre che divertente, fare un resoconto di tutto quello che è successo quest'anno. E sicuramente è stato un anno ampiamente soddisfacente, con un sacco di cose belle che sono successe, sono anche riuscito a non fare cose troppo stupide e non uccidermi, che è un successo senza paragoni, ma si ha sempre più spesso la sensazione che il tempo voli via velocemente, senza nessuna capacità di controllarlo. Quest'anno è passato con una rapidità impressionante, ho fatto tantissime cose, ma ce ne sono state tante altre che avrei voluto fare, mi riservo per i buoni propositi del 2016. Che in realtà sarebbero quelli del 2015, che avevo pensato nel 2014, e mi ero ripromesso di fare nel 2013. Proprio nel pieno stile di chi impara dai propri errori. Vero, si potrebbe dire che l'anno non è ancora finito e che siamo solamente all'inizio dell'ultimo mese, eppure pensando alla velocità con cui può  passare il tempo, e anche il caso di cominciare a pensare velocemente alla fine, perché sarà finito prima che ce ne accorgeremo. E a cosa fare per capodanno, ponendo la classica domanda, così, per generare un po' di scompiglio. Io fortunatamente non so se ci arriverò a capodanno, essendo successivo alla mia vacanza introspettiva e meditativa sulla neve. Che in realtà sarà una continua ricerca della ripresa perfetta con la GoPro. Come Schumacher. Mi troverò qualcosa da fare per festeggiare nel migliore dei modi un anno che comincerà sulla scia di una stagione fantastica. E mi basta pensare che il 2016 potrebbe essere come il 2015 per essere contento.
Intanto però godiamoci questi giorni di limbo, in cui tutto è magico. Sarà la magia del Natale?