martedì 5 gennaio 2016

Into the Wild

Oggi si ricomincia.
Come primo giorno lavorativo dell'anno, ho pensato bene di cominciare alla grande, e approfittare di svegliarmi un po' prima per scrivere un post. Il problema è che non mi viene molto da dire sul mondo del lavoro, se non la demoralizzante prospettiva che non ci saranno altre vacanze per i prossimi 7 mesi, per cui ho deciso di parlare di qualcosa che avevo già affrontato, almeno in parte negli ultimi post di prima della fine dell'anno.
Ieri sera, complice l'arrivo della WiFi in casa sembra che finalmente ce l'abbiamo fatta! ho approfittato per fare un uso massivo di Netflix, piattaforma a pagamento per vedere film e serie tv in streaming, ovvero tramite internet. Questo mi ha ovviamente portato ad una iniziale indecisione sul titolo da scegliere, il primo di una lunga serie che ho già selezionato, da vedere come primo film della prima sera. La scelta, guarda caso, è ricaduta su un titolo che ho sentito nominare molte volte durante la mia vacanza meditativa in montagna: Into the Wild. La storia narra di come un ragazzo americano di nome Chris Maccandless, stanco della sovrastruttura sociale all'interno della quale le persone si ritrovano spesso intrappolate contro il loro volere, decida di vivere una vita "wild", ovvero selvaggia. Sostiene che le carriere, le scelte di vita siano un'invenzione del XX secolo (dalla rivoluzione industriale in poi), e che l'uomo abbia bisogno di molto meno per sopravvivere, e ancor in maniera maggiore, per essere felice. Viaggia in giro per l'America dopo aver bruciato tutti i suoi soldi, senza documenti d'identità, sfruttando la carità della gente per andare avanti, sempre però con il suo fermo ideale di vita al di fuori degli schemi. La sua maturazione personale, che passa attraverso gli eventi che gli capitano, le persone che incontra, gli arriva a far comprendere che la sopravvivenza del singolo non sia legata alla sussistenza di altre persone attorno a lui, ma che l'isolamento non gli permette di condividere ciò che vive, e la bellezza di cui gode. Il bilancio morale, quindi, seppur all'inizio pendesse verso la scelta del protagonista, quando si arriva alla fine tragica fine, aggiungo ci fa guardare Chris come un esempio completo, del quale possiamo godere degli esempi positivi e negativi, quindi neutro. Impossibile non pensare che Chris si sia spinto troppo in là, desiderando troppo ardentemente questa vita wild che poi ha pagato a caro prezzo. Infatti, seppur avendo vissuto una vita nomade, le sue esperienze sono state piacevoli fino a che ha avuto contatti con le persone, che lo hanno aiutato e guidato.
Lo stare da solo in montagna, è sicuramente stata una versione allungata e censurata di questa esperienza, ma per certi tratti ho riconosciuto la sensazione. La libertà, la natura, la bellezza che ci circonda e che troppo spesso ignoriamo, ci portano a vedere il mondo con occhi diversi, con nuove prospettive. Pensiamo di riconsiderare quello che stiamo vivendo in funzione di un po' di tempo per noi, ci riproponiamo di vivere la nostra vita in maniera diversa, dopo queste esperienze, ma finisce sempre che veniamo inghiottiti dalla normalità e monotonia dei nostri giorni, a cercare di raggiungere obiettivi messi per noi su un piedistallo da qualcun altro. Chris ha avuto la forza di affrontare la sua scelta e di perseguirla, ma come chi si incapponisce e va avanti senza capire, ha commesso il fatale errore di non voler vivere nel mondo, ma da solo. E' quindi diventato cocciuto, non testardo, e ne ha pagato le conseguenze.
Per quanto riguarda me, penso di aver capito cosa è meglio fare, e la morale che ci sta dietro a queste esperienze, sia mie che altrui. Mi trovo completamente d'accordo con la frase finale del film, la rivelazione dell'effettività della felicità:
La felicità è reale solo quando condivisa.
Nella vita di Chris come di chiunque.

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