venerdì 29 gennaio 2016

Canta che ti passa

È un po' che non scrivo.

Di questo penso che se ne siano accorti tutti, non è certo una novità andare sul blog e non trovare nessun genere di aggiornamento. Questo principalmente è dovuto un vuoto creativo che sto attraversando nell'ultimo periodo, per di più conseguente alle poche cose interessanti che mi succedono. Certo, aggiungerei anche come sempre più spesso mi capita il fatto che rileggendo i miei vecchi iscritti privati, intendo quelli che non pubblicamente sul blog ma che tengo per me, ho scoperto che ero molto più bravo in passato a scrivere, soprattutto quando sono stato scaricato dalle mie passate ragazze, ma non credo sia questo il punto. In questo momento sto attraversando un momento in cui sono abbastanza apatico, faccio fatica ad essere presente, tanto è vero che la domanda che mi viene posta più spesso è  "ma ti droghi"?
Sono stato molto occupato, nell'ultima settimana, tra lavoro non necessariamente pressante, e imparare bene a suonare l'ukulele. So che può sembrare strano, soprattutto alla mia età, cercare di imparare a suonare uno strumento musicale. Non nego che pur avendola spacciata come una risoluzione del nuovo anno appena cominciato, non è questo il motivo per cui l'ho fatto. La musica è qualcosa di estremamente rilassante, e ho sempre ammirato chi aveva le capacità per suonare uno strumento. Mi sono detto, come al solito, che da qualche parte bisognava iniziare, ma sempre con quel tocco unico e personale che cerco di infondere in tutte le mie opere.
Con la mia faccina felice, sono andato quindi in un negozio di strumenti musicali, e senza sapere assolutamente cosa stavo facendo penso questo trasparisse dalla mia faccina felice, e ho comprato un ukulele. Perché l'ukulele? Perché è più piccolo di una chitarra, è un qualcosa che si può suonare da soli e mette allegria, e soprattutto è poco ingombrante. Per cui posso portarmelo dietro ogni volta che voglio bagno compreso, e mettermi lì e suonare quei quattro accordi che compongono le canzoni principali della musica leggera moderna. Studiando gli spartiti, si scopre infatti che la maggior parte delle canzoni ha lo stesso identico giro: Do, Sol, La minore e Fa. Il tutto sta nel ritmo, nel modo in cui si colpiscono le corde, non assolutamente nel modo in cui si premono i tasti. Girando questi quattro accordi, si riesce a fare quasi il 80% delle canzoni conosciute, e diciamocelo, anche quelle da spiaggia che tutti apprezzano e di cui tutti conoscono le parole. Questo è un punto a mio vantaggio, così non devo imparare le parole delle canzoni. Solo suonarla ritmo.
Non voglio però parlare di come sia estremamente facile plagiare una canzone già esistente proprio per la mancanza di diversità all'interno degli spartiti musicali, le note sono pur sempre 7 per tutti, voglio parlare di come avere una passione come questa possa permettere di staccare dalla vita quotidiana. Ad esempio, pensate di poter tornare a casa, dopo una stancante giornata di lavoro, e mettervi seduti sul bordo della finestra guardando fuori, a suonare una canzone, magari anche allegra, ma con un ritmo lento e dolce. Ah, quasi dimenticavo che uno degli altri grandi vantaggi del rispetto alla chitarra è che si riesce a suonare molto più piano, senza dare fastidio ai vicini. Questo rende il tutto ancora più dolce e soffice, e ci si isola in un mondo dove un paio di ore a suonare passano in un lampo. Sì, penso di poter dire che ormai raggiungo lo stesso livello di tranquillità dal suonare che dallo scrivere. E considerato che faccio entrambe le cose abbastanza male direi che ormai siamo sullo stesso livello di esperienza. Ma suonare, come scrivere, mi piace molto, per cui continuerò a farlo, anche se vi garantisco che non mi metterò a scrivere canzoni. Inoltre già sperimentato, ovviamente, alle ragazze piace molto quando suoni per loro.
Il tutto sta nello smettere al momento giusto.

venerdì 22 gennaio 2016

Storia di un pollo che volerà

Vi è mai capitato di ripetere talmente tante volte una parola in mente, fino al punto in cui smette di avere senso?

Questo è uno di quei momenti in cui le parole perdono di significato. Come quando si guarda una bella ragazza negli occhi, o quando ci scappa una pera in ascensore con il nostro capo. Qualche giorno fa, ho scritto ad un mio amico per sapere se potesse essere disponibile ad organizzare una scorribanda una delle sere successive: la risposta è stata abbastanza laconica. "Domani niente".
Lo so che queste parole non significano molto oltre quello che è palese, ovvero che questo mio amico, la sera successiva sarebbe stato occupato a fare cosa non so, eppure, da inguaribile romantico, mi piace vedere il lato nascosto delle cose, il significato più recondito. Come se volessi dare un senso a queste due parole. Mi sono rimbombate in mente, proprio come dicevo all'inizio, fino ad assumere un significato completamente diverso, o almeno, diverso da quello che avevo immaginato all'inizio. Dovete sapere che questo mio amico ultimamente è un po' giù. E' un tipo solitario, e per quanto affabile e gentile, tende molto ad isolarsi nel suo mondo. Io gli propongo spesso di uscire perchè mi diverto molto con lui, diciamo che è il tipo di ragazzo con cui puoi fare quei discorsi un po' nerd senza però sbottonarti il trench, non so se mi spiego. Quindi potrete immaginare che la sua risposta domani niente mi ha lasciato un po' perplesso. Non per l'attività della sera, ma per la speranza deposta nel giorno successivo: se infatti la parola domani può essere interpretata solamente come un'idea quanto mai indefinita di futuro, e niente più, la parola niente contiene un mondo, dentro di sè. Mi piace molto questo vorrei tanto usare un termine tecnico tipo "metonimia" o "assonanza" oppure "iato", tutte cose che ho imparato (e dimenticato) al liceo, ma andrò con contrasto tra i significati possibili e la parola niente, a tal punto che mi ci sono costruito sopra un bel film. Può essere veramente che il domani sia vuoto, senza speranza, come un pollo che desideri volare, se non con le aquile, almeno con le anatre? Possiamo veramente avere una consapevolezza tale delle nostre potenzialità da dire con un certo grado di certezza che il domani sarà vuoto?
Personalmente ho sempre stimato chi sogna in grande, come il gatto che si guarda allo specchio sperando di diventare un leone. Stimo le persone che non si metto da parte solo perchè pensano di non farcela, che tutto sia contro di loro, e che sta scritto così. Questo mi porta a pensare che gli individui, nel loro essere, cerchino costantemente di raggiungere un grado di consapevolezza di loro stessi sempre maggiore, osando di più, cercando il limite fin dove si possono spingere, inseguendo i nostri sogni anche se sono al di sopra delle nostre possibilità, anche se la speranza che qualcosa di bello succeda è estremamente remota. Eppure c'è chi ha paura di fallire, di rimanere deluso, di a tal punto da non provarci nemmeno. Ma questo non deve fermarci da cercare continuamente di essere migliori, per avere un futuro migliore,  E' quindi brutto non avere speranze in quello che deve ancora avvenire, fino ad uno stato di disillusione che automaticamente porta all'apatia. Domani sarà anche un altro giorno grazie, signora Rossella, e proprio per questo deve partire da noi l'idea che porti frutto. 
No, domani ci sarà qualcosa, qualcosa di grande. Non niente.


mercoledì 20 gennaio 2016

Storia del semaforo giallo scuro

L'altro giorno mi è arrivata una multa.

Non è un bel periodo, questo di gennaio. Ci sono un sacco di scadenze da rinnovare, bollette che arrivano, insomma, un sacco di spese. Mettiamoci in conto anche che non è che a fine anno si sia guadagnato più di quanto si fa di solito, viene subito da pensare di cercare di essere più parsiomoniosi. Allora si pensa che magari, anziché uscire 3 sere a settimana lo so che sono un po' tante, si può uscire solo 2, o una sola, oppure che la spesa deve essere più controllata, cercando di non fare andare a male nulla. Il che è contemporaneamente facile, dato che sono sempre fuori, e difficile, dato che in casa mia regna sovrana la temperatura polare di 15 gradi sì, dentro casa, quindi vanno a male solo le cose che stanno nel frigo, quelle fuori no. Inteso, da dichiarazione precedente, che sul riscaldamento non riusciamo a fare di più, anche se la mattina esco dal letto e vado in mutande in bagno come tutti, seppur con 10 gradi in meno, sono poche le cose su cui si può stare attenti per risparmiare ulteriormente. Perché, facendo una rapida cernita, non è che il 90% delle nostre spese siano impreviste, anzi: sono quasi tutte spese programmate, o prevedibili, di cui però ci dimentichiamo nel momento in cui vediamo la busta paga.
Il problema è quando si propongono spese accessorie non preventivate, quali una multa per il peggior selfie della storia: quello che mi ritrae la nuca mentre attraverso un incrocio con il semaforo rosso. Pazienza, cercherò di essere più prudente d'ora in avanti. L'importante è non lasciare abbattersi da cose come queste, perché lamentarsi non servirebbe a nulla. Non siate stupiti quindi se vi dico che anche oggi il buon umore mi accompagna, a tal punto che mi ritrovo spesso a cantare in macchina. Non che la cosa sia straordinaria, ma dietro c'è tutta una performance, soprattutto quando devo cantare Ariana Grande che, per chi non la conoscesse, a discapito del nome è un mezzo soldo di cacio di donna che è alta la metà di me e peserà un terzo. Strano che poi la gente mi guarda brutto al semaforo. Detto questo, nei prossimi giorni dovrò passare da un commissariato di polizia a fare la mia donazione al Corpo dell'Arma per quest'anno spero, per ringraziarli del lavoro fatto per noi per rendere contemporaneamente le strade più sicure e eccezionalmente meno scorrevoli. Specie quando si immettono in carreggiata creando il panico in quelli che devono superarli.
Insomma, la morale che deve passare da tutto questo è che nella difficoltà, con l'atteggiamento giusto, una soluzione si trova sempre, a patto di essere disponibili e propositivi. Se ci sono dei conti da pagare, è inevitabile farlo, ma non si può rimpiangere come evitare di farlo, bisogna invece ragionare come andare avanti dal momento presente in poi.
Basta cercare di essere parte della soluzione, e non del problema. E che il buonumore ci accompagni.

sabato 16 gennaio 2016

Il ragazzo della serenata

Ieri sera mi è capitata una cosa strana.

Sì, lo so che a me le cose strane capitano abbastanza spesso, ma è sempre divertente rendere partecipi gli altri. In fondo "la felicità è reale solo se condivisa".
Dicevo, ieri sera, dopo la solita cena da orso del sabato sera, mi ha chiamato una mia amica per passare la serata da lei, con alcuni amici. Quel genere di serata tranquilla, che invitando me si trasforma in una serata epica passata a ridere. A dir la verità non so come siano le feste senza di me, quindi quello che ho appena detto mi sembra pretenzioso, ma vabbè. Così, per svolgere un servizio pubblico, mi sono infilato le scarpe e sono andato sotto casa di questa mia amica.
Dovete sapere che ho un piccolo vezzo uno solo?: quando devo suonare il campanello di una ragazza, devo dire una scemenza diversa ogni volta. Così, nel tragitto tra la macchina e la porta penso alla geniale uscita con cui esordire, e quindi trovare ogni volta una cosa nuova. Spesso sono battute che abbiamo fatto, oppure imitazioni quella della falsa fidanzata cornificatrice del ragazzo è un classico, ma finisco sempre per dover inventare ogni volta qualcosa di nuovo. Ieri sera, come dicevo, è stato diverso. Ero andato a casa di questa mia amica perché facevano una festa, e ci eravamo ripromessi di suonare assieme. Questa mia amica infatti suona la chitarra, e suonando io l'ukulele io mi stupisco di chi si stupisce ancora di queste stranezze ci eravamo ripromessi di fare una jam session assieme. Suonato il campanello, quindi, ho deciso di fare una serenata per lei prima di entrare. L'idea mi era sembrata carina, anche perché era la prima volta che mi avrebbe sentito un suonare e glielo avevo promesso da un po'. Le è anche piaciuta molto il che mi ha fruttato un pezzo di torta extra nel dopo, però è successo una cosa strana. Mentre stavo suonando per lei al campanello, e la sentivo ridere dall'altra parte dell' altoparlante, è passata una coppia che stava uscendo dal palazzo. Mi hanno visto suonare il mio chitarrino, che in mano a me sembra ancora più piccolo, e mi hanno sorriso. Non un sorriso di scherno, non un sorriso di compatimento, ma un bel sorriso di chi apprezza un gesto romantico. Come a dire che non ce ne sono più di persone capaci di suonare una serenata per una ragazza, pure se al citofono. Le persone rimangono spesso stupite dall'originalità che cerco di avere nei rapporti umani: pensieri gentili, gesti plateali e maniere all'antica, sono solo un modo per far capire a una persona che cosa questa possa significare per noi. Siamo troppo abituati a dire le cose come stanno, ma la forma con cui le diciamo, almeno per quanto riguarda i sentimenti, è quasi di pari importanza al contenuto. Ci stupiremmo a sentir parlare Leopardi nei confronti di Silvia chiedendo "se tipo le andrebbe forse di andare a bersi qualcosa", e sarebbe un po' come sentir dire da Boccaccio che Laura aveva i capelli ricci e basta. No, mi rifiuto di pensare che i tempi siano cambiati, e ne ho anche le prove. Perché se questi gesti fossero visti male, venissi schernito per questi, capirei di sbagliare qualcosa, che effettivamente il mondo è cambiato, che le donne sono più emancipate, e che il mio approccio è sbagliato. Ma la natura umana è immutata da secoli, se non millenni, basti leggere qualcosa di Ovidio, come l'ars amatoria, per capire che il contenuto, imbellettato da questa forma, non è altro che sincerità e voler bene.
Se non mi credete, provateci voi stessi. Provate a portare un fiore a una bella ragazza.
La sua faccia vi dirà se avevo ragione io o meno.

mercoledì 13 gennaio 2016

Il figlio del Perozzi

Ieri sera era una splendida serata, per cui, dopo aver sbrigato tutte le scartoffie che riempivano la mia scrivania, sono andato al parco a correre.
In questo periodo dell'anno, il sole tende a tramontare lentamente verso le 18, e in giornate limpide come quella di ieri, dopo la nebbia, lo smog e la pioggia, si finisce sempre per stupirsi dei colori del cielo al tramonto. Durante il mio allenamento, mi piace salire di corsa in cima ad una collinetta del parco, un dislivello di una trentina di metri. Costruita artificialmente con le macerie degli edifici bombardati durante la seconda guerra mondiale, rappresenta l'unico punto in rilievo nel raggio di chilometri, circondato solo da palazzi e pianura. Se il cielo è terso, da lassù, scrutando in mezzo ai rami che l'avvolgono completamente, si riesce a vedere tutta la città, e il sole che le tramonta dietro.
Non c'è da stupirsi se si potrebbe scrivere un post anche solo sulla bellezza di tutto questo, ma non è il punto. Perché mentre arrivavo su, nella penombra della scalinata, ho visto due biciclette legate ad un cestino della spazzatura, che appartenevano a due ragazzi non so se maschio o femmina, ne ho visto solo l'ombra, che stavano seduti in cima alla collina, osservando il tramonto. Come stavo per fare io. Quello che mi ha colpito non è stata la vista di queste due persone, dato che può capitare di vedere qualcuno lassù al buio, quanto più la scia odorosa che emanavano tutt'intorno. Se dovessi descriverla in termini gentili, penso utilizzerei un odore "non proprio legale", se sapete cosa intendo. Questo, anche se stavo correndo in salita, mi ha dato da pensare.
Ho ragionato sulla differenza di posizioni delle loro figure e la mia. Entrambi ci stavamo godendo il tramonto sulla città, provando magari le stesse emozioni, ma con un atteggiamento diverso. Loro rilassati, spensierati, vivendo il momento, e io affannato, al lavoro per un futuro migliore almeno fisicamente, per stare meglio con me stesso. Mi ha fatto pensare a chi me lo fa fare, di uscire a giorni alterni, la sera, al buio, con la nebbia o con la pioggia, ad allenarmi. È forse una condanna, lavorare per qualcosa di futuro? Qual'è il punto di tutto questo? Hanno ragione loro, a vivere la vita come se fosse un gioco o io che la stavo vivendo come se fosse una condanna? Mi è quindi tornato in mente questo stesso dialogo, fatto dal mitico Perozzi di Amici Miei, quando suo figlio lo sgrida perché vuole andare a divertirsi con i suoi amici invece di pensare alla famiglia. È grullo chi la vita la prende come un gioco, oppure come una condanna?
Personalmente ho sempre pensato che, in qualsiasi ambito, sia sempre meglio non prendersi troppo sul serio, perché altrimenti si finisce per perdere la visione d'insieme delle cose. Chi vive la propria vita come una condanna, designata solo al mero dovere di assolvere i propri compiti, molto spesso finisce per sacrificare alcune cose che non sarebbero obbligatorie, se solo si riuscisse ad avere più elasticità. Non sapete in quante discussioni io, imcapponendomi su una posizione, a un certo punto mi son reso conto che le mie motivazioni non reggevano. Allora l'orgoglio entra in gioco, e si finisce per fare il contrario della propria volontà. Nemmeno però prendere tutto a ridere è una filosofia che può essere considerata valida universalmente, ci vuole moderazione.
La conclusione a cui sono arrivato, nell'elaborazione di questo pensiero, è confusa almeno quanto la mente dei due fumati in cima alla collina. Come si usa dire, la giusta misura sta nel compromesso, un po' di serietà e un po' di spensieratezza. D'altra parte io la mia parte di lavoro l'ho già fatta.
Significa che stasera posso stare a casa a riposarmi.

lunedì 11 gennaio 2016

La fine del lieto fine

Che fine hanno fatto le storie con il "lieto fine"?

Ieri sera ragionavo proprio su questo, dopo aver guardato l'ennesimo film e l'ennesima serie tv che si chiude con un colpo di scena sensazionale, ma che lascia perplessi i fan più romantici. Mi capita sempre più spesso di parlare con persone disilluse dall'idea che il lieto fine sia qualcosa di reale, che possa succedere per davvero. E non sto parlando solo dell'opportunità che succeda qualcosa di bello, ma anche di un sonoro, quanto speranzoso e vissero per sempre felici e contenti. Cosa ci ha portato a dimenticare questa frase?
Trovo che la necessità di sperare che qualcosa di bello possa succedere vada oltre la convenzionale pazienza e lo stimato buonsenso: è infatti qualcosa di istintivo, non certo una scelta. Dei possibili scenari che costituiscono il nostro futuro, quello da noi desiderato è probabilmente quello in cui cui la prospettiva è quanto più rosea. Siamo ottimisti di natura, e se pessimisti, lo siamo per scelta. Ma bisogna capire di chi sia questa scelta, se nostra o dettata da convenzioni sociali, se interiore o trasposta. Il cinismo e il pessimismo sono dei meccanismi di difesa, dettati dalla paura che qualcosa di bello non possa succedere anche solo per il fatto che esiste una possibilità che le condizioni che ci porterebbero ai nostri obiettivi non si verifichino. Ma come può essere possibile che poi succeda se nemmeno noi ci speriamo? Perché la speranza si manifesta in una serie di azioni, pensieri e opere che definiscono il risultato finale. L'ottimismo è propositivo, attivo, il pessimismo passivo e disillusionale. Per cui non devo chiedere il permesso a nessuno se mi da fastidio che nemmeno negli esempi di massa che abbiamo oggigiorno, non ci sia l'idea che le cose belle succedono. Non sarà una rappresentazione fedele della realtà, perché non bisogna nemmeno negare che le avversità esistano, ma la gente ha bisogno di sperare. Ha bisogno di credere che in mezzo alla pochezza morale e alla corruzione dei costumi, che sono il simbolo di questa epoca, possa crescere la speranza di qualcosa di bello. E magari sarà anche solo un fiore in mezzo ad una terra creduta sterile e ricoperta di rifiuti, ringrazio Wall-E per l'esempio ma ci basterà. Basterà a far credere di nuovo una persona, o più persone, che sapendo che qualcosa di bello può succedere, vivranno in maniera più consapevole.
Magari io mi sbaglio, e resterò deluso più volte di chi invece non prova nemmeno per la paura di fallire. Ma se esiste una scala, da 1 a 10, di chi spera che qualcosa di bello succeda, io voglio essere il 10. Per me, perché vivo meglio, e per chi sta vicino a me, perché l'altrui esempio dà speranza e fiducia.
Perché è impossibile avere un lieto fine se non si crede nelle favole.

sabato 9 gennaio 2016

Non aprire quella porta

È da un po' che ho in mente di fare una cosa, ma ognuno di noi ha il suo modo di affrontare decisioni non perfettamente certe.

Sto parlando di quelle situazioni, casualmente ripetibili, in cui non esiste l'oggettività di cosa sia giusto fare, vuoi per la mancanza di dati a supporto della scelta, vuoi per un coinvolgimento emotivo. Nel mio caso è ovviamente il secondo. Ma andiamo con ordine, in maniera da poter far comprendere anche il lettore meno attento. Tra cui soprattutto io stesso quando rileggo prima di pubblicare.
Tra pochi giorni sarà il compleanno di una certa persona, che ho un po' ignorato negli ultimi tempi. Non avevo molto piacere di sentirla, e a quanto so, questa persona non aveva nessun piacere di sentire me. Il discorso però è che ormai sono passati anni dall'ultima volta che abbiamo avuto uno scambio di opinioni, o ci siamo semplicemente risposti ad un amichevole "come va?". La verità è che avevamo entrambi notizie dell'altro tramite amici e conoscenti, e, a dirla tutta, questo ci è bastato, specie per il sentimento di risentimento che abbiamo provato a lungo, l'uno nei confronti dell'altro. Dicevo, la mia intenzione, ciò che mi frullava per la testa era quella di scrivere una lettera a questa persona.
Ma perché una lettera, e soprattutto, per dire cosa? Ecco, sono qui a scoprirlo. Ognuno ha il suo modo di processare i pensieri: c'è che pensa, io scrivo. A dir la verità, come ho detto, non sono nemmeno sicuro che sia una buona idea, quindi sono anche qui per fare chiarezza. Perché vedere nero su bianco i nostri pensieri ci permette di osservarli con occhio critico, ben più difficile quando sono solo rappresentazioni nella nostra testa. Per me scrivere lettere è un modo di mandare un messaggio scontato ma vero, per cui, oltre gli auguri, mi piacerebbe raccontare come sto, cosa ho combinato in questi ultimi anni e quindi la persona che sono diventato. Mi permetterebbe anche di fare il punto della situazione su me stesso. Una sorta di vetrina di quello che sono diventato. Anche perchè non potrei certo parlare a questa persona raccontando di lei, sarebbe solo l'accertamento di quello che sono venuto a sapere. Mi permetterebbe di fare il punto della mia vita, ed è qualcosa che da bravo narcisista non ho ho problemi a fare. Sarebbe una possibilità in più di introspezione, un'occasione per raccontarmi. Sempre a patto che dall'altra parte ci sia qualcuno disposto ad ascoltare.
Vedete? Già mi sto convincendo a non farlo e che non sia una buona idea. Mi ritornano in mente tutti i momenti in cui ho pensato che fosse un successo avere egregiamente chiuso quella porta per sempre, e di come una parte di me sia diventata quello che è anche grazie a questa chiusura. Perché quindi andare a rivangare già che è passato, oppure ciò che c'è stato dopo? E' veramente possibile che le strade di due persone divergano a tal punto che mai più, nella vita, per quanto possano essere state vicine prima, non si rincontrino mai più? Il mondo è piccolo, si dice sempre, e ci viene da pensarlo tutte le volte che incontriamo per caso un nostro amico in un luogo sperduto, ad esempio all'estero. Però può succedere. Basti pensare a tutte le persone di cui non ci curiamo, che non vedremo mai più in vita nostra. Quell'amico delle elementari, quella ragazza conosciuta in montagna, quella sconosciuta con cui hai parlato in un bar, la nostra vita è piena di questi esempi. La mia, in particolare, di ragazze dal bel viso di cui non so nulla. Quindi non mi stupisco se no, non ho la necessità di riaprire una porta chiusa con successo. Mi piace parlare di me, ma le motivazioni per cui sarei portato a farlo sono sbagliate, o almeno, non sono sufficienti a giustificare lo sforzo. Inoltre ci sarebbero troppe cose da dire, finirei a raccontare tutto in 9 stagioni come How I Met Your Mother
Come ho già detto, ci sono cose della nostra vita di cui non avremo mai la certezza, di cui non avremo mai una conoscenza profonda, e porte chiuse dietro cui non vedremo mai più. 
Anche perchè, se sapessimo tutto, che gusto ci sarebbe? 


martedì 5 gennaio 2016

Into the Wild

Oggi si ricomincia.
Come primo giorno lavorativo dell'anno, ho pensato bene di cominciare alla grande, e approfittare di svegliarmi un po' prima per scrivere un post. Il problema è che non mi viene molto da dire sul mondo del lavoro, se non la demoralizzante prospettiva che non ci saranno altre vacanze per i prossimi 7 mesi, per cui ho deciso di parlare di qualcosa che avevo già affrontato, almeno in parte negli ultimi post di prima della fine dell'anno.
Ieri sera, complice l'arrivo della WiFi in casa sembra che finalmente ce l'abbiamo fatta! ho approfittato per fare un uso massivo di Netflix, piattaforma a pagamento per vedere film e serie tv in streaming, ovvero tramite internet. Questo mi ha ovviamente portato ad una iniziale indecisione sul titolo da scegliere, il primo di una lunga serie che ho già selezionato, da vedere come primo film della prima sera. La scelta, guarda caso, è ricaduta su un titolo che ho sentito nominare molte volte durante la mia vacanza meditativa in montagna: Into the Wild. La storia narra di come un ragazzo americano di nome Chris Maccandless, stanco della sovrastruttura sociale all'interno della quale le persone si ritrovano spesso intrappolate contro il loro volere, decida di vivere una vita "wild", ovvero selvaggia. Sostiene che le carriere, le scelte di vita siano un'invenzione del XX secolo (dalla rivoluzione industriale in poi), e che l'uomo abbia bisogno di molto meno per sopravvivere, e ancor in maniera maggiore, per essere felice. Viaggia in giro per l'America dopo aver bruciato tutti i suoi soldi, senza documenti d'identità, sfruttando la carità della gente per andare avanti, sempre però con il suo fermo ideale di vita al di fuori degli schemi. La sua maturazione personale, che passa attraverso gli eventi che gli capitano, le persone che incontra, gli arriva a far comprendere che la sopravvivenza del singolo non sia legata alla sussistenza di altre persone attorno a lui, ma che l'isolamento non gli permette di condividere ciò che vive, e la bellezza di cui gode. Il bilancio morale, quindi, seppur all'inizio pendesse verso la scelta del protagonista, quando si arriva alla fine tragica fine, aggiungo ci fa guardare Chris come un esempio completo, del quale possiamo godere degli esempi positivi e negativi, quindi neutro. Impossibile non pensare che Chris si sia spinto troppo in là, desiderando troppo ardentemente questa vita wild che poi ha pagato a caro prezzo. Infatti, seppur avendo vissuto una vita nomade, le sue esperienze sono state piacevoli fino a che ha avuto contatti con le persone, che lo hanno aiutato e guidato.
Lo stare da solo in montagna, è sicuramente stata una versione allungata e censurata di questa esperienza, ma per certi tratti ho riconosciuto la sensazione. La libertà, la natura, la bellezza che ci circonda e che troppo spesso ignoriamo, ci portano a vedere il mondo con occhi diversi, con nuove prospettive. Pensiamo di riconsiderare quello che stiamo vivendo in funzione di un po' di tempo per noi, ci riproponiamo di vivere la nostra vita in maniera diversa, dopo queste esperienze, ma finisce sempre che veniamo inghiottiti dalla normalità e monotonia dei nostri giorni, a cercare di raggiungere obiettivi messi per noi su un piedistallo da qualcun altro. Chris ha avuto la forza di affrontare la sua scelta e di perseguirla, ma come chi si incapponisce e va avanti senza capire, ha commesso il fatale errore di non voler vivere nel mondo, ma da solo. E' quindi diventato cocciuto, non testardo, e ne ha pagato le conseguenze.
Per quanto riguarda me, penso di aver capito cosa è meglio fare, e la morale che ci sta dietro a queste esperienze, sia mie che altrui. Mi trovo completamente d'accordo con la frase finale del film, la rivelazione dell'effettività della felicità:
La felicità è reale solo quando condivisa.
Nella vita di Chris come di chiunque.